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Inshallah A Boy, arriva al cinema il film giordano premiato a Cannes - La recensione

Cinema

Vittoria Romagnuolo

L'opera prima di Amjad Al-Rasheed, proposta come candidata all'Oscar per la Giordania, è il viaggio lento e coraggioso di Nawal, una giovane sposa rimasta sola in un mondo governato dagli uomini dove neppure le donne si spalleggiano perché incapaci di pensare in un mondo patriarcale. Al centro della vicenda la questione della proprietà, spunto non molto discusso quando si parla di donne e Islam, che ha imprescindibili risvolti pratici e umani

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Quando si parla dei diritti del genere femminile nel mondo arabo, come in altre zone del mondo dove la donna vive in una posizione subalterna rispetto all'uomo, vengono in mente gruppi di donne che compiono gesti di protesta (come era successo in Iran col taglio simbolico dei capelli), scene di manifestanti spinte dai venti di una primavera tinta di rosa e cose simili.
La lente di Amjad Al Rasheed, il regista di Inshallah A Boy, invece, ingrandisce la storia di una donna sola, che con la sua vicenda drammatica e fin troppo ordinaria, rischia di diventare evanescente fino a perdersi nel caos della città di Amman, in Giordania.
L'irrimediabilità di destini di cui non si è padroni, le regole di una società che imprigiona come una gabbia, la disperazione di una donna che cerca di alzare la voce in un mondo di uomini che le impongono il silenzio. Queste, alcune delle tematiche di Inshallah A Boy, pellicola che si è distinta all'interno della selezione di Final Cut in Venice (nel contesto della Biennale Cinema) e che, dopo un riconoscimento al Festival di Cannes, è stata selezionata come candidata all'Oscar per la Giordania. Il film, opera prima di Amjad Al Rasheed , arriva nelle sale dal 14 marzo distribuito da Satine Film.

Inshallah A Boy, la trama

Nawal (che ha il volto dell'attrice Mouna Hawa), una giovane donna poco più che trentenne, si ritrova di colpo da sola con la sua bambina, Nora, a seguito della morte del marito con cui stava provando ad avere un secondo figlio. La donna, che lavora come badante di un'anziana disabile, deve fare i conti con i ritmi estenuanti della sua nuova vita e con le richieste economiche del fratello di suo marito che le fanno scoprire una realtà patrimoniale molto precaria.
La Sharia in Giordania impone alle donne rimaste vedove di dividere i propri beni con la famiglia dello sposo alla quale tocca anche il dovere di occuparsi della eventuale prole di femmine del defunto. Con la successione Nawal rischia di perdere la casa e anche il diritto di crescere sua figlia. Tutto cambierebbe se avesse avuto un figlio maschio la cui presenza sposterebbe gli equilibri facendole riacquistare ogni diritto. Schiacciata dai debiti e con le spalle al muro, dal momento che tutti i test di gravidanza sono negativi, non le resta che prendere tempo mentendo e dicendo a tutti, al fratello, al cognato, ai giudici, di essere incinta. Nel frattempo, determinata a difendere sé stessa e lo spazio che tutti le vogliono sottrarre, si mette alla prova e inizia a pregare. Allah le mostrerà la strada da percorrere nell'oscurità.

Tutto sulle spalle di una donna (la bravissima Mouna Hawa)

La macchina da presa segue ostinatamente Nawal mostrando tutte le sue preoccupazioni, i dubbi, il dolore, la ricerca di una soluzione che la spinge verso territori che non aveva pensato di esplorare. Non immaginava, ad esempio, di arrivare a mentire, perché è peccato, così come accompagnare un'altra donna ad abortire un figlio non desiderato. Neppure immaginava di dover vendere i suoi mobili e dover dormire per terra per saldare i debiti o di installare una app per incontri nella speranza di trovare un uomo che le possa garantire quella gravidanza che risolverebbe parecchi problemi. Buona parte del film si svolge in interni (anche perché una vedova non può uscire dopo che è calato il sole) e tutti sembrano schiacciare Nawal che si sente oppressa come un topo in gabbia (immagine che poi diventerà concreta nella pellicola), con i pensieri aggrovigliati come i capelli che scopre solo quando è da sola tra le sue mura domestiche quando può togliere l'hijab.
Nawal è una donna ordinaria, priva di particolare astuzia, eppure troneggia in ogni caso tra gli uomini della sua vita: il defunto marito bugiardo, il fratello vigliacco, il cognato avido e senza scrupoli, i giudici ottusi.
Nessun uomo è giusto in questo universo dove le donne non si spalleggiano perché incapaci di pensare in un mondo patriarcale. La pellicola si regge sull'interpretazione di Mouna Hawa, attrice di Haifa che ha recitato in Libere, disobbedienti, innamorate del 2016, che anche quando non parla fa udire la forza delle sue grida silenziose.

La fede autentica, quella che induce a sperare

Favorito da una scrittura firmata da due donne, Rula Nasser e Delphine Agut, il regista Amjad Al-Rasheed mette in scena una storia che parte da uno spunto autobiografico che fa luce sulla questione della proprietà, un aspetto non molto discusso quando si parla di donne e Islam, che - come dimostra la pellicola - ha imprescindibili risvolti pratici.
Il regista si pone volutamente in maniera neutrale nei confronti dei suoi personaggi. Tutti possono rivelare un lato cattivo o diventare amorali se posti in una determinata situazione e la fede, quella autentica, è l'elemento che induce a sperare, non semplicemente il perimetro entro il quale la società permette ai soggetti di muoversi.
Inshallah A Boy, primo film giordano della storia approdato a Cannes, già detentore di vari premi ottenuti nei Paesi arabi, in Cina e negli Stati Uniti, sarà proiettato in ventuno sale selezionate distribuite su tutto il territorio nazionale. L'elenco è disponibile sui canali ufficiali di Satine Film.