Deu ci seu, un film sul valore della sconfitta. Intervista al regista
CinemaIl 15 giugno del 1997 il Cagliari giocò e perse lo spareggio per la permanenza in A contro il Piacenza. La partita fu disputata a Napoli e 20 mila tifosi sardi varcarono il mare per poter tifare la loro squadra. Un documentario diretto da Michele Badas e Michele De Murtas racconta la loro odissea
Un viaggio che sembrava non dover finire mai, una partita maledetta, una retrocessione dolorosa. Deu Ci Seu, film di Michele Badas e Michele De Murtas, racconta lo spareggio per restare in Serie A che Cagliari e Piacenza giocarono a Napoli il 15 giugno del 1997 e molto di più. Racconta di un popolo che, in un momento di difficoltà, si è unito e riconosciuto come tale, diventando protagonista quando pensava di essere solo spettatore.
Il film, presentato al Biografilm di Bologna a giugno e distribuito in alcune sale sarde, sarò proiettato mercoledì 4 ottobre in un incontro con gli autori all’Anteo di Milano CityLife (qui si possono acquistare i biglietti della proiezione) col supporto della società e del presidente Giulini, poi sarà lanciato un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso per coprire le spese delle immagini di repertorio e poterlo distribuire sulle piattaforme (tutti gli aggiornamenti saranno pubblicati sui canali social del film).
Michele Badas è un classe 1983 e quel sabato, a Napoli, c’era. Il ricordo vivido di quel viaggio e quella giornata diventata snodo cruciale nella costruzione dell’identità del tifoso cagliaritano e in buona misura anche dei sardi lo hanno spinto a impegnarsi in un’impresa tutt’altro che semplice, come ha raccontato a Sky TG24.
In un mondo in cui è comune raccontare successi e vittorie, che si culla spesso nella nostalgia di un passato trionfale, voi avete scelto di raccontare una sconfitta. Perché?
Da tifosi del Cagliari siamo abituati a perdere, io poi sono particolarmente affascinato dalle storie di perdenti. Ma questa storia ha qualcosa di più, questo viaggio è ricordato come qualcosa di epico, a Cagliari e in Sardegna mi è capitato tante volte di sentir parlare di questo spareggio. E di fronte a tanti reduci che continuano a ricordare una sconfitta, viene naturale chiedersi perché. Il film cerca di dare una risposta.
Quanto è durata la fase di ricerca del materiale d’archivio necessario per montare il documentario?
La lavorazione di questo film è durata veramente tanto. L’idea ci è venuta 7 anni fa, abbiamo iniziato a lavorare in maniera completamente autoprodotta e, un po’ per la carenza di budget un po’ per la difficoltà a trovare le immagini d’archivio, abbiamo abbandonato diverse volte il progetto nel corso degli anni. La prima cassetta trovata è stata quella del reportage fatto dalla nave dal giornalista locale Antonello Lai. Questo ritrovamento ci ha dato la spinta per lavorarci ma piano piano ci siamo accorti che trovare le altre immagini era complicato.
Come avete scelto i protagonisti e i testimoni da intervistare?
Questa è stata la parte più facile, forse. Trovare qualcuno che ha fatto quella trasferta a Cagliari non è così difficile. Cagliari ha 200 mila abitanti e sono partite 20 mila persone. Sia le autorità sia i frequentatori della Curva sono stati semplici da trovare e coinvolgere, abbiamo avuto l’imbarazzo della scelta.
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Deu ci seu significa “Io ci sono”. Voi c’eravate a Napoli il 15 giugno del 1997?
Io personalmente c’ero, avevo 14 anni e ricordo che dovevo assolutamente andare. Ovviamente non potevo farlo da solo e tramite degli amici di mio padre riuscii a trovare degli accompagnatori. Deu ci seu è un’espressione per dire che non mancherai a un certo evento e si rifà alle magliette che fecero per l’evento.
Il film racconta una piccola odissea quasi contemporanea. E dico quasi perché in realtà tanto è cambiato in questi 27 anni.
Sì, sono cambiate un po’ di cose. Nel ’97 non esistevano le compagnie low cost, la continuità territoriale per andare in “Continente” era ancora agli albori. L’aereo era un privilegio per pochi e per partire c’era un solo mezzo: la nave. Ma viaggiare in nave per noi sardi significa fare un viaggio di 13 o 14 ore, i protagonisti del film ce ne hanno messe 22 per arrivare a Napoli. Il film si apre con una citazione di Gianni Brera, che disse che la Sardegna entrò in Italia grazie allo scudetto del 1970. Il film smentisce un po’ questa cosa, quella partita sancisce di fatto l’alterità rispetto al resto della Penisola. Il calcio è anche un pretesto in questo film per raccontare la condizione di insularità.
Mourinho una volta ha detto che chi sa solo di calcio non sa niente di calcio. Ma si potrebbe in qualche modo anche dire il contrario o quasi: chi non sa niente di calcio si perde tanti aspetti del sociale che nel vostro documentario emergono.
Esatto. C’è anche un bel filone di lavori documentaristici che partono dal calcio per raccontare il sociale. Scrivendolo ci siamo resi conto di quanto parlasse di noi, di problemi che sono anche attuali. Ed è anche un po’ uno spaccato della società sarda, abbiamo rappresentato varie situazioni sociali divise tra i vari settori dello stadio. E in questo film si ritrovano tutti, in un certo modo.
Uno dei temi che emergono più forti è quello dell’insularità, di cui si è parlato tanto anche recentemente. Un tema che vuol dire isolamento – e ancora di più voleva dirlo all’epoca – ma che vuol dire anche specificità, identità.
Sì. C’è una scena emblematica nel film, una in cui il giornalista Antonello “Tziu” Lai racconta dello spuntino globale in nave. Il traghetto si trasforma nella location di una sagra che ospita tutte le specificità di vari paesi, perché il Cagliari è la squadra di tutta l’Isola, e queste identità emergono su quella nave. E al ritorno dalla trasferta, dopo la sconfitta e quell’Odissea, nei personaggi una nuova coscienza.
Pensi che in Italia manchi una cultura del fallimento degna di questo nome?
Sicuramente. Non solo in Italia, direi un po’ in tutto il mondo viene celebrata sempre la vittoria. La sconfitta non è mai un valore. In questo film invece è molto importante il messaggio sulla dignità della sconfitta, del perdente. Perdono tutti ma in un certo modo riescono a vincere: rientrano a Cagliari e vengono accolti come degli eroi perché hanno intrapreso questo viaggio.
Deu ci seu - Crediti
Regia: Michele Badas e Michele De Murtas
Scritto da: Michele Badas, Michele De Murtas, Nicolò Falchi
Prodotto da: Claudio Marceddu
Produttori esecutivi: Michele Badas, Michele De Murtas
Montaggio: Andrea Lotta
Direttore della Fotografia: Alberto Badas, Claudio Marceddu, Matteo Piras
Musiche: Michele De Murtas, Matteo Piras, Tristano Pala