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Tutti i cani muoiono soli, al cinema il film del regista sardo Paolo Pisanu. L'intervista

Cinema

Barbara Ferrara

Dopo l’anteprima e il successo al Bifest di Bari, dove riceve il Premio Gabriele Ferzetti come miglior attore protagonista per Orlando Angius, il primo lungometraggio del regista sassarese Paolo Pisanu esce al cinema l'11 maggio

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Sullo sfondo di una Sardegna desolata, Tutti i cani muoiono soli racconta l’incontro “mancato” tra un padre e una figlia, la storia di due destini che nonostante il legame di sangue indissolubile, si incrociano sfiorandosi appena, senza toccarsi mai nel profondo. Nella solitudine e nell’incomunicabilità di un rapporto inesistente, si consuma la vana speranza di una ragazza sola al mondo e l’ultima chance di un uomo che non ha più niente da perdere. Il film d’esordio di Paolo Pisanu, premio Gabriele Ferzetti come miglior attore protagonista per Orlando Angius, ci parla del tempo perduto e lo fa attraverso gli occhi dei suoi protagonisti. Rudi (Orlando Angius), malvivente di quartiere e motore principale dell'azione, e sua figlia Susanna (Francesca Cavazzuti) che non vede da molti anni e che, dopo la morte della madre e l’incalzare di una malattia degenerativa, gli bussa alla porta in cerca di aiuto. Insieme, lei inerme su una sedia a rotelle, lui sfuggente nell'incapacità di prendersene cura, faranno i conti con l’ineluttabilità di un dramma esistenziale, "annunciato" con violenza nella prima scena del film.

 

Alla vigilia dell’uscita al cinema, giovedì 11 maggio, abbiamo raggiunto il regista sassarese Paolo Pisanu. Ecco cosa ci ha raccontato di questo suo debutto cinematografico scritto a quattro mani con Gianni Tetti, prodotto da Damiano Ticconi, distribuito da Fandango e che vanta un cast interamente autoctono, eccezion fatta per il cameo dell’attore romano Federico Pacifici.

l'intervista 

 

Partiamo dal titolo, come nasce?
Nasce da un'idea dello sceneggiatore Gianni Tetti, dopo varie discussioni sul senso del film, insieme abbiamo pensato che la paura di arrivare soli alla fine della propria esistenza fosse uno dei temi dominanti, così a lui è venuto in mente "Tutti i cani muoiono soli", titolo che mi ha immediatamente convinto.
 

Al Bifest di Bari avete vinto il Premio Ferzetti, come miglior attore protagonista per Orlando Angius, non male come esordio.
Sì, siamo stati contentissimi, è sicuramente un grande riconoscimento per il lavoro e la dedizione di Orlando, ma è anche un premio per tutti coloro che hanno creduto nel film. Vorrei sottolineare inoltre l’interpretazione della co-protagonista Francesca Cavazzuti, magistrale nel rendere in maniera così efficace un personaggio estremamente complesso, fatto di sguardi e di immobilità. Fin dal principio questi due ruoli sono stati pensati e scritti per loro e sono convinto che soltanto loro avrebbero potuto renderli così bene come hanno fatto.


Angius è al suo debutto come protagonista, non si direbbe data l’interpretazione straordinaria: come lo hai aiutato a calarsi nel ruolo?
Insieme abbiamo fatto un percorso sul personaggio che lui ha perfettamente compreso, è stato un lavoro “a togliere” tutto ciò che era superfluo, per concentrarci su ciò che realmente serviva. Angius nasce con il teatro ed è stato bravo a staccarsi da quel tipo di attitudine per calarsi nel ruolo di Rudi, quando ci è entrato non lo ha più perso. Fuori dal set è una persona dolce e solare, nel film ha quella faccia dura di chi ha vissuto la vita, e sa smuovere dentro.  


Nel primo frame si guarda allo specchio, in realtà nel corso del film sembra che nella sua vita non lo faccia.
Esatto. Il film nasce da alcune paure, tra queste, non fare mai i conti né col tempo che passa, né con i propri sentimenti. Rudi questo tempo lo fa passare salvo poi ritrovarsi solo, tra i rimpianti e la malinconia. Partire con Rudi che si guarda allo specchio è stato come preannunciare il finale, con lui che cerca se stesso senza trovarsi, sparerà e non cambierà. 


Nessuna speranza di riscatto? Eppure una chance gli si presenta.
Rudi è quello di sempre, non cambia, né perché ha una figlia, né perché qualcosa gli accade. Io sono il primo a non credere che nella vita si cambi perché ci capita qualcosa, nella vita si cambia perché si sceglie consapevolmente di farlo. 

 

Il film è anche la storia del tempo perduto, c’è qualcosa che rimpiangi nella tua vita?
Io ho sempre una particolare inquietudine, quella di essere fuori tempo, essere sempre un po’ dopo quello che avrei dovuto, ho paura di non essere a tempo, di restare un po’ fermo, diciamo che il tempismo non è il mio pezzo forte. Fare un film è però un bel modo per sentirsi nel tempo effettivo in cui si vive, sei sicuro di essere nel qui e ora.

 

Che valore ha l’ambientazione del film? 
Direi che ha la stessa valenza dei personaggi, fotograficamente Sassari si distende dalla periferia anonima al mare deserto di Platamona, “non luogo” turistico d'estate e malinconico d’inverno. Attraverso le location, insieme a Luca Noce (scenografo ndr), abbiamo ricercato la forza visuale nel colore del mare, ma anche nell’uso del suono e del vento. L’ambientazione mi ha aiutato a connotare i personaggi. 

 

C’è stata una parte difficile durante le riprese?
Sì, c’è stata a causa del Covid, c’era l’ansia che qualcuno si ammalasse, è stata dura, ma tutti sono stati bravi nell’essere prudenti, compatti e attenti. Durante la prima settimana non sapevamo neppure se avremmo potuto continuare a girare o meno. Trascorso questo primo momento tutto è stato più semplice.


Progetti futuri?
Ho in programma un altro film che ho scritto sempre con Tetti e sarà prodotto da Ticconi, ma è ancora in fase di sviluppo. Spero di poter iniziare a girare nel 2024.

 

Francesca Cavazzuti nel ruolo di Susanna
Alessandro Gazale nei panni di Pietrone