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È stato tutto bello - Storia di Paolino e Pablito, la recensione del film

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Alessio Accardo

Stasera arriva su Sky Cinema,  il biopic sentimentale sul più leggendario calciatore italiano, raccontato da Walter Veltroni.  In contemporanea anche su Sky Cinema 4K e Sky Documentaries,  sabato 24 dicembre alle 14 e alle 21 su Sky Sport Calcio e in streaming su NOW

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Le avete viste le masse oceaniche che si sono riversate per le strade di Buenos Aires in questi giorni, dopo la vittoria dei Campionati mondiali di calcio del Qatar da parte della Nazionale argentina? Oltre due milioni di persone accalcate lungo Avenida 9 de Julio, la strada principale di Baires dominata dall'Obelisco. Festanti, invasate, ebbre di piacere.
 

Come valutarlo quel rito collettivo pagano? Una forma parossistica di alienazione di massa? La quintessenza istituzionalizzata dell’evasione dai problemi della vita quotidiana? Uno sfogo psicoemotivo stordente dai tratti esasperatamente dionisiaci? Gioia pura e disinteressata o nuovo oppio dei popoli? Il culto secolare del gioco del calcio è forse tutte queste cose insieme, ed è anche comparabile con una malattia infettiva e contagiosa, tanto da prenderne il nome: tifo.

Ecco, tutti coloro che sono stati affetti prima o dopo, in qualche misura, da questa febbre non possono perdersi È stato tutto bello  - Storia di Paolino e Pablito (in onda mercoledì 21 dicembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in contemporanea anche su Sky Cinema 4K, Sky Documentaries, sabato 24 dicembre alle 14 e alle 21 su Sky Sport Calcio, in streaming su NOW e disponibile on demand, anche in qualità 4K.) penultimo documentario diretto dall’ex Sindaco di Roma, nonché vicepresidente del Consiglio, Walter Veltroni, che da alcuni anni si è dato al cinema. Non se lo possono perdere perché racconta la storia di uno dei miti assoluti di questa religione dei nostri tempi: Paolo Rossi, per sempre Pablito, sebbene vi fu un tempo in cui fu semplicemente Paolino.

Inizia in modo spiazzante il doc di Veltroni, con un frammento d’archivio che ricorda l’uccisione dello studente Paolo Rossi, assassinato nel 1966 da un gruppo di studenti di estrema destra. E prosegue con altri celebri “Paolo Rossi”, come il dirigente del Psu (Partito socialista unitario) della prima Repubblica, o come il famosissimo comico nato a Monfalcone e consacrato al “Derby” di Milano. Lo fa per chiarire immediatamente due cose: che dietro a quel nome comunissimo si nascondeva il più ordinario degli italiani; e per denunciare la cifra stilistica del film, che è uno spaccato della storia contemporanea del nostro Paese, reso attraverso il racconto della vita di uno dei suoi cittadini più illustri.

È un figlio del popolo e della bella provincia, il futuro campione: padre magazziniere nei molti lanifici di Prato, città regina dell’industria tessile toscana dove di lì a non molto un’azienda su otto sarebbe passata in mano ai cinesi; e una madre casalinga, che ai suoi figli non ha mai fatto mancare niente. A raccontarlo è Rossano, fratello maggiore di Paolo con cui condivideva una stanzetta piccina. Dalla sua voce veniamo a sapere dell’apprendistato del calciatore in erba tra gli alberi dell’uliveta, dove dimostra subito un senso innato del dribbling. E il divertimento ricavato come si può: erigendo dighe di fortuna lungo il fiume Bisenzio, per poter pescare meglio.

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Walter Veltroni presenta il docufilm su Paolo Rossi

Grazie ad alcune ricostruzioni “fictional” della fase della sua infanzia e prima adolescenza, e a un meticoloso lavoro di ricerca d’archivio, Veltroni ci offre subito la possibilità di entrare nell’intimo universo del giovane Paolo. Ci sfila davanti agli occhi ogni sorta di reperto: foto ingiallite e quaderni di scuola. Le formazioni coi giocatori accosciati nel Torneo Ferrovieri della stagione calcistica 1967-68. E ancora le prime esperienze pedatorie con il Santa Lucia e L’Ambrosiana. Il primo tesserino da calciatore, ancora dilettante, per la Cattolica Virtus. E una dichiarazione del papà, Vittorio, il quale nel 1972 acconsente al trasferimento del figlio alla Juventus, con una striminzita scrittura privata che rivista oggi, in tempi di contratti plurimiliardari, fa tenerezza.

L’epifania di Luciano Moggi, che era ancora un misconosciuto dipendente regionale delle ferrovie dello Stato; e quella del già blasonato general manager della Juventus Italo Allodi. E ancora le lettere (lette dallo stesso Veltroni) che Paolino scrive al suo parroco, Don Ajmo, cui confessa tutti i malumori e le paure di un ragazzino di provincia scaraventato all’improvviso nella metropoli piemontese, all’epoca teatro di violenti scontri sociali.

Le prime esperienze giovanili con i coetanei Claudio Gentile e Sergio Brio, pure loro alle prime armi, in tutte le categorie giovanili: Allievi, Beretti, Primavera, e poi l’esordio in prima squadra. Dal 1972 al 1975, quando Paolino diventa Paolo ma non ancora Pablito. Quando nel giro in pochi anni si rompe per tre volte il menisco, la croce dei calciatori.

Poi il Lanerossi Vicenza dove l’allenatore G.B. Fabbri lo trasforma da ala destra alla Garrincha a centravanti di rapina. Aiuta la squadra a salire di categoria dalla B alla A segnando 21 reti; l’anno dopo ne segna ben 24 vincendo la classifica dei cannonieri, ad appena 21 anni.

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Mondiali 1982, 40 anni fa l’Italia batteva in finale la Germania. FOTO

Trattandosi di Veltroni, non manca la parentesi politica: i mondiali del 1978 sono giocati nell’Argentina dei colonnelli, quella in cui una giunta militare fascista era giunta al potere grazie a un colpo di stato, un golpe per l’appunto. E così, mentre nei campi di calcio la “Selección” vinceva il suo primo campionato del mondo, nei Garage Olimpo di Buenos Aires i giovani erano torturati e uccisi, o fatti scomparire come desaparecidos. Fu proprio lì, durante quei mondiali che – come dice il regista-politico – “non si sarebbero mai dovuti giocare”, che un giornalista veneto gli affibbiò quel nickname, Pablito, che gli resterà appiccicato addosso per sempre.

Un’epopea italiana quella narrata da Veltroni, per intonare la quale chiama a raccolta - grazie a quel tesoro inestimabile che sono le Teche della Rai, e non solo - i massimi testimoni dei nostri tempi. L’exploit al Vicenza ce lo racconta la voce inconfondibile di Gianni Minà, subito seguito dalla commossa dichiarazione di Ilario Castagner, l’allenatore del Perugia dei miracoli. E qui la storia si colora di cronaca giudiziaria, grazie a Gian Piero Galeazzi collegato con Paolo Valenti per la storica puntata di “90° minuto” in cui dà conto di un fatto inaudito: una macchina della polizia si trova parcheggiata sulla pista d’atletica dello Stadio Olimpico per arrestare qualcuno. È lo scandalo del calcio scommesse, passato alla storia come “Totonero”. Dodici arresti eccellenti alla fine delle partite, tra cui i laziali Giordano e Manfredonia e il presidente del Milan Felice Colombo, accusati di concorso in truffa. E naturalmente Paolo Rossi, per cui fu chiesta la radiazione a vita. A spiegarcelo vengono convocati altri due giganti del giornalismo italiano del ‘900: Tito Stagno, storico direttore della “Domenica sportiva“e Gianni Minoli qui presente in due puntate di “Mixer”.

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Camera approva odg, intitolare stadio Olimpico a Paolo Rossi

Quindi, per raccontare l’apoteosi dopo la caduta, Veltroni convince i due massimi sodali di quell’impresa, Antonio Cabrini e Marco Tardelli” a tornare ai bordi della piscina dell’Hotel El Castell, che fu la sede del ritiro della nazionale azzurra nella mitica seconda fase dei mondiali di Spagna, quella che vide la resurrezione del reprobo Rossi, il quale nel giro di quattro partite assurse dall’inferno della gogna mediatica al rango di mito perpetuo. In un clima reso terribile dalla ostilità della stampa sportiva che, fino al giorno prima di quel trionfo, organizzava processi sommari televisivi in cui si giubilava l’odiato commissario tecnico Enzo Bearzot e il suo pupillo Pablito.

C’è ancora spazio per ascoltare Sandro Pertini, il presidente-partigiano, gridare al cielo: “E’ la mia gioia più grande da quando sono Presidente della Repubblica!” e per assistere sgomenti alla tragedia dello Stadio Heysel, dove la Juventus stellare di Boniek e Platini vinse la più tragica e inutile delle Coppa dei Campioni.

Ecco, da questa sommaria rassegna di fatti, si sarà capito che il film di Veltroni è non soltanto il commosso epicedio del campione più amato dello sport più popolare del mondo, ma anche un compendio, ora gioioso ora drammatico, della Storia d’Italia dell’ultimo scorcio del Novecento. Attraverso la biografia di un piccolo grande uomo come tanti, la cui vita – come dice lui stesso, in uno dei tanti preziosi materiali d’archivio – è stata come un ottovolante, piena di cadute e risurrezioni. Di discese ardite e di risalite.

 

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I funerali di Paolo Rossi a Vicenza: l'ultimo saluto a Pablito. FOTO