Lo storico cult del 1975 ha lanciato definitivamente Steven Spielberg, cambiando la storia del cinema ma anche incidentalmente quella del protagonista del film. Lo squalo è stato da allora in poi visto come una minaccia da eliminare, portando l’animale quasi all’estinzione. Una deriva insospettabile e di certo non voluta, di cui oggi il regista si rammarica pubblicamente
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Steven Spielberg nel 1975 era uno dei più grandi talenti di Hollywood, un nome in rampa di lancio dopo due ottimi film come Duel e Sugarland Express. Gli mancava però un successo popolare, che arrivò solo quello stesso anno con Lo squalo, un capolavoro di suspance che portò a casa tre Oscar e si guadagnò il titolo di film con il maggior incasso della storia per l’epoca. Un successo su tutta la linea, che cambiò la storia del cinema ma anche incidentalmente la reputazione dei pescecani. Oggi a quasi mezzo secolo di distanza il regista confessa di sentirsi in parte colpevole della psicosi collettiva che ha scatenato verso gli squali e che, ahinoi, potrebbe portarli presto addirittura all’estinzione.
Fauci crudeli
Lo squalo rivoluzionò l’intera industria del cinema, creando di fatto il concetto di blockbuster come lo conosciamo oggi. Ci riuscì giocando tutto il film (anche per ragioni di budget) più sulla paura della minaccia che sullo squalo in sé per sé, usando magistralmente elementi come l’iconica colonna sonora di John Williams per creare ansia nello spettatore. Di fatto Lo squalo di Spielberg era un mostro che faceva paura anche quando non appariva sullo schermo, era l’epitome di un terrore ancestrale per ciò che non si vedeva, un killer le cui azioni erano inspiegabili e quindi anche difficilmente prevedibili. Il meccanismo funzionò paradossalmente così bene da trascinare quella paura anche fuori dalla sala, trasformando lo squalo nel pericolo numero uno dei mari anche per chi non ne avrebbe presumibilmente mai visto uno. Il cinema ne approfittò, tanto che si stima che ben il 96% delle pellicole con un pescecane dopo il 1975 ha finito per dipingere l’animale come un antagonista efferato (e affamato). Steven Spielberg aveva aperto la strada a uno stuolo di imitatori, che vedevano nello squalo una minaccia su cui poter costruire in fretta anche un discreto b-movie. Lasciando perdere i nostrani tentativi di plagio ai limiti del tragicomico, come lo scult Cruel Jaws - Fauci crudeli di Bruno Mattei, in anni recenti si è assistito addirittura a veri e propri “tornadi di squali” in pellicole dichiaratamente trash come Sharknado. Per trovare degli squali buoni si è dovuto cercare nel mondo dell’animazione, con opere come Shark Tale o il cartoon degli anni Novanta Street Shark (a sua volta quasi un’imitazione delle Tartarughe Ninja). Una tale campagna di distruzione mediatica non era certo nei programmi di Steven Spielberg, che ora si rammarica di aver creato una psicosi che ha portato a danni non indifferenti per questi poveri animali.
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“Questa è una delle cose che ancora temo. Non di essere mangiato da uno squalo, ma che gli squali siano in qualche modo arrabbiati con me per la frenesia dei folli pescatori sportivi avvenuta dopo il 1975”, ha confessato Spielberg alla BBC. Il regista si è detto sinceramente dispiaciuto dei danni arrecati all’immagine dei pescecani che, dopo la sua opera, sono stati additati come una minaccia costante per l’uomo e un rischio potenziale da estirpare alla radice. Giova qui invece ricordare che lo squalo non è qualcosa da eliminare dalla natura e che, probabilmente, la sua mera esistenza non deve preoccupare la maggior parte dei nuotatori. “Se abbiamo la possibilità di portare i bambini ad ammirare gli squali in natura, li vedranno sotto una luce diversa”, ha spiegato la biologa marina Jillian Morris al National Geographic. “Vedendo che gli squali si comportano in modo molto diverso rispetto ai racconti che hanno sentito per tutta la vita, i bambini rimangono stupiti e spesso si crea un legame con gli squali che conserveranno nel cuore per tutta la vita”. È sicuramente azzardato arrivare a definire questi predatori del mare “i migliori amici dell’uomo” ma è anche vero, come dice Morris, che “c’è molta disinformazione sugli squali”. L’aver dipinto questi animali come macchine di morte ha avuto conseguenze nefaste: stando a uno studio pubblicato dalla rivista Nature, la popolazione mondiale dei pescecani si è ridotta del settanta per cento dal 1970 e la colpa sarebbe di una vera e propria mattanza ingiustificata. Una continua strage che miete numerosissime vittime, tanto che si parla ormai di circa cento milioni di esemplari uccisi ogni anno. Al Washington Post, il direttore del laboratorio scientifico marino alla California State University Chris Lowe non ha nascosto quanto certi numeri siano stati influenzati anche dalla cattiva pubblicità fatta ai pescecani a partire dal 1975: “Lo squalo è stato un punto di svolta. Ha portato la gente a pensare in modo negativo riguardo gli squali, cosa che ha reso molto più facile dare loro la caccia in modo sproporzionato”. Il povero Steven Spielberg non avrebbe mai immaginato una deriva simile: cercava solo un archetipo per spaventare gli spettatori. Oggi lui è il primo ad essere dispiaciuto e non gli resta che augurare un sincero “in bocca..allo squalo” a quella specie troppo a lungo bistrattata. Il pescecane, da parte sua, potrebbe provare a difendersi citando Jessica Rabbit e la sua immortale frase: “Non sono (tanto) cattivo. È che mi disegnano così”. Speriamo funzioni.