E' stato presentato al Torino Film Festival il film documentario di Monica Repetto che vuole dare voce ai sopravvissuti delle lotte politiche degli anni settanta. Un film corale per non dimenticare ferite ancora aperte
Erano gli anni Settanta. Erano gli anni di Piombo. La cronaca ce li ha fatti conoscere e anche il cinema non li ha mai dimenticati. Quello che Monica Repetto ha fatto nel film documentario “1974-1979-Le nostre Ferite” è stato dare voce alle persone comuni. Non a caso la descrizione ufficiale del film, presentato Fuori Concorso al Torino Film Festival, è la “straordinaria “normalità” degli anni di piombo della gente sopravvissuta alla violenza politica e al terrorismo negli anni Settanta”. E così nel film si trovano i racconti delle casalinghe femministe, di un aspirante manager, di studenti e poliziotti: tutti “con un piede impigliato nella storia, voci sommesse che aspettavano di essere ascoltate”, dice la regista. L’affresco di un’epoca così vicina a noi, un film corale realizzato anche attraverso originali repertori familiari in Super8 e testimonianze che raramente conquistano le prime pagine.
LA STORIA
Luigi frequenta il collettivo universitario di Medicina di Roma e Francesco il liceo Augusto, entrambi vengono feriti a distanza di pochi giorni dai neofascisti nel 1974. Nella Roma delle radio libere Nunni e Anna sono femministe del collettivo casalinghe colpite dai mitra e dalle molotov dei NAR mentre va in onda “Radio Donna” nella sede di Radio Città Futura. Vincenzo è un poliziotto del sud, unico scampato a un conflitto a fuoco con i brigatisti rossi a Piazza Nicosia. Renzo è un bancario colpito insieme ad altri nell'unico attacco compiuto da Prima Linea contro una scuola. La storia di ogni personaggio si sviluppa con un prima e un dopo segnati dalla ferita che gli è stata inferta. Guardiamo agli uomini e alle donne in carne ed ossa, ai loro percorsi di vita, agli affetti, al lavoro, alle convinzioni, alle idee e alle emozioni. Ogni storia individuale è collocata nel contesto della Storia collettiva. Tra mobilitazione e disimpegno, le immagini della leggerezza si alternano con quelle della crisi, dell’impegno civile, delle lotte per i diritti, in un crescendo che tracima nella violenza sempre più efferata.
NOTE DELLA REGISTA
«Per acerbi limiti d’età – dichiara la regista Monica Repetto - non ho fatto in tempo a vivere quegli anni. Non sono una ex del ’68. Sono nata nel 1965 in una famiglia in cui la politica era un film in bianco e nero con Don Camillo e Peppone. Non sono una ex del ’77. A 12 anni vivevo isolata in una campagna brulla che si stava ricoprendo di capannoni di cemento. Sono una contraddizione ambulante. Dico no alla cultura di classe ma ne sono il frutto. Da questa posizione che mi sta scomoda ho guardato a quei Settanta, decennio cerniera per l’occidente capitalistico, fine del ciclo espansivo del dopoguerra, dominato da un forte conflitto sociale e da una irriducibile forza d’immaginazione. Partendo da qui volevo strappare le cose dal paesaggio indistinto, che per noi in genere è il passato degli altri, la vita degli altri quando non eravamo presenti. Ho cercato tra testimonianze, immagini in super 8, archivi e faldoni, perché mi interessava quella zona d’ombra in cui le narrazioni si sono incagliate, tacendo, forzando, idealizzando, negando e a volte anche manipolando».