Denise Negri intervista il regista del documentario sull'ex fuoriclasse giallorosso: "Un campione di tutti che giocava ogni partita come se ci fosse in ballo la sua stessa vita"
Mi chiamo Francesco Totti, il documentario sul fuoriclasse e simbolo della Roma, è l'evento principale del primo sabato della Festa del Cinema di Roma (LO SPECIALE). Denise Negri ha intervistato il regista, Alex Infascelli.
Questo documentario riesce ad emozionare anche chi non segue il calcio o non ne è appassionato...
Penso che tu ti sia emozionata per un motivo semplicissimo: perché ci siamo emozionati per primi io e Francesco nel realizzarlo. La tua emozione è l'emozione dello spettatore che non è causata solo da ciò che vede, ma perché percepisce tutto ciò che c'è dietro la lavorazione. Francesco si è emozionato, io mi sono emozionato davanti alla sua emozione, tu ti sei emozionata... siamo tutti emozionati!
Di Totti tutti pensano di sapere tutto... quale strada volevi percorrere per questo film?
Non ero preoccupato di essere inedito o sensazionale a tutti i costi. Volevo che questa fosse soprattutto la versione di Francesco anche su cose che già sapevamo, perché un conto è saperle, un conto è sentirle raccontare da lui. E quindi l'inedito c'è: non nell'oggetto in sé, ma nel gesto di Totti di renderlo unico, con la propria voce. Senza voler stupire, ma volendo sottolineare, confermare, dare una tridimensionalità ad aspetti della vita, sia sua che nostra, di cui forse c'eravamo dimenticati.
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Com'è che si diventa Totti, Del Piero, Messi... com'è che si diventa un campione?
Alcuni sportivi sono geni del proprio sport, come fossero degli scienziati: hanno studiato, si sono informate, hanno “riformattato” i propri corpi... e poi ci sono quelli con il dono. Apparentemente sembrerebbero più interessanti i primi, quelli che sono stati fautori del proprio successo, ma io trovo più interessanti i secondi: quelli che hanno un dono sono manlevati dall'ego, non si dicono “bravo”, non si danno pacche sulle spalle perché sanno che il loro dono è arrivato dall'alto, e così com'è arrivato può andare via. Per cui giocano ogni partita come fosse l'ultima, e si ha la sensazione che in quei 90 minuti mettano in gioco tutto sé stesso, la propria vita.
Penso che il tuo film possa appassionare tutti, a prescindere dalla loro fede calcistica... è un film su un uomo.
È un film su tutti noi, e in questo senso non ci sono colori o magliette che tengano, specialmente in questo momento in cui è lampante quanto i confini e le bandiere siano roba superata: sono in pochi a crederci ancora, e li stiamo spingendo fuori. Ed è un bene che sia così: penso che la specie umana debba sentirsi un gruppo unico e lottare per conservarsi, e in un certo senso io e Francesco abbiamo provato a incoraggiare questo processo, dal basso...