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C’è tempo: l’intervista a Stefano Fresi, protagonista del film

Cinema

Barbara Ferrara

C'è tempo, primo film di finzione diretto da Walter Veltroni, ti aspetta alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in prima tv, domenica 13 ottobre. La storia racconta di "un viaggio di conoscenza" e di un incontro di anime molto diverse tra loro. Nel cast, Stefano Fresi (vincitore quest'anno del Nastro d'Argento come miglior attore in una commedia), un giovannissimo Giovanni Fuoco, Simona Molinari, Francesca Zezza e Jean-Pierre Léaud, leggenda del cinema europeo d’autore. 

La fotogallery del film

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Domenica 13 ottobre, in prima visione su Sky Cinema Uno, vi aspetta C'è tempo, prima opera di finzione di Walter Veltroni, una storia che è "un viaggio di conoscenza" interpretato da Stefano Fresi, Giovanni Fuoco, Simona Molinari, Francesca Zezza e Jean-Pierre Léaud, attore simbolo della Nouvelle Vague e alter ego di François Truffaut. In attesa della messa in onda, continua a leggere e scopri cosa ci ha raccontato Stefano Fresi, sul set, un quarantenne precario che nella vita fa l'osservatore di arcobaleni e il guardiano di uno specchio a Viganella, paesino sperduto dove vive con sua moglie Luciana.

C’è tempo è il suo il suo primo film da protagonista, com’è andata sul set?
E’ stata un’esperienza molto intensa dal punto di vista umano, c’è stata una serie di grandi incontri, prima con Walter che già conoscevo e con cui ci siamo conosciuti molto più profondamente, per me è stato molto importante. E’ una persona con una passione incredibile per il cinema e per le storie da raccontare. Con Simona Molinari è nata un’amicizia grandissima, con Giovanni Fuoco è stato un amore folle e con tutta la troupe c’è stato sempre un rapporto di amicizia tanto che si andava ogni sera insieme a cena. La grande sensazione era che tutti stavamo facendo una cosa bella e ognuno aveva la sua responsabilità e la sua parte di merito.

Al suo personaggio non piace la solitudine, ma dice di voler star solo, inizialmente dice di odiare i bambini, poi però guai a toccargli il suo Giovanni. Alquanto contradditorio, o no? Certo, ma questo è quello che ci insegna il film: c’è sempre tempo per cambiare, può accadere un episodio sconvolgente nella tua vita che ti costringe a rimettere tutto in discussione, le tue certezze e i pilastri su cui si fonda il tuo essere. Allora scopri che sei disposto a cambiare, ti accorgi che magari un istinto paterno lo hai sempre avuto e forse ti piace anche, ti occupi di questo fratellino come fosse un figlio.

Com’è stato calarsi nei panni di un personaggio come Stefano?
Stimolante, come tutte le volte quando interpreti altri da te, soggetti distanti dal tuo mondo, c’è sempre un lavoro interessante da fare. Stefano Orsoni è un personaggio che ha avuto la sua realizzazione, è un ricercatore e ha avuto la sua gratificazione professionale, è un esperto in quello che fa, ma vive di stenti e non ha una vita matrimoniale risolta anzi, è totalmente critica. Io sono profondamente diverso da lui.

Sul set, Giovanni le chiede quando si smette di essere i bambini e lei risponde che le persone buone non smettono mai di esserlo, cosa intende?
La grandezza dei bambini è quella di essere senza filtri di fronte a ciò che si ha di fronte e difficilmente sono cattivi, anche quando danno del ciccione o del quattrocchi al compagno non lo fanno con cattiveria, si prendono in giro, si punzecchiano, non è la cattiveria cosciente, sono le sovrastrutture sociali successive che ti fanno intuire cosa sia l’offesa volontaria. Io credo che chi rimane più attaccato all’infanzia è più tranquillo, è più disposto all’incontro con altro da sé, senza giudizio.

E’ così che si sente anche lei?
Certamente, non potrei fare questo lavoro altrimenti. Io coltivo la mia parte infantile e da quando sono diventato padre si è decuplicata. E’ successo nove anni fa.

La tutela legale di un ragazzino è un impegno gravoso: se nella vita reale le accadesse una cosa del genere?
Sarebbe sicuramente un’occasione di incontro quindi cercherei di capire quali sono i reali bisogni della persona che si trova a essere sola al mondo e quanto io possa essere la persona giusta per occuparsene. Se fosse sangue del mio sangue me lo prenderei senza dubbio.

La macchina con cui attraversate l’Italia è la sua, c’è un perché dietro questa scelta? 
E’ stata una delle prime magie di C’è tempo, eravamo a tavola con Walter che mi raccontava il film, quando mi dice che trattandosi di un road movie mi immaginava in giro per l’Italia su una macchina d’epoca, un maggiolone decapottabile: io avevo fatto restaurare il mio solo due settimane prima. Lui è impazzito, era un segno. E’ stato fantastico.

Nella vita, si è mai sentito fuori tempo?
No, devo dire che ho avuto la fortuna di trovarmi sempre a tempo, nel posto giusto, al momento giusto. Sono sempre stato dentro i miei tempi con un grandissimo rispetto del passato e grandissime speranze per il futuro.

Ricorda il suo primo arcobaleno o ne ricorda uno in particolare?
Ne ho uno in particolare, ma non è il primo; lo vidi dopo una giornata di pioggia estiva ed ero in vigna con mio nonno, stavamo curando l’uva, a un certo punto ci siamo girati e c’era un arcobaleno completo campeggiava da una parte all’altra. E’ stato molto emozionante vederlo con lui e ancora oggi, quando vedo un arcobaleno, il pensiero immediato è a lui che non c’è più.