In Evidenza
altre sezioni
Altro

Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher: la recensione del film

Cinema

M.Beatrice Moia

Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher , in questi giorni al Cinemino di Milano. A seguire la recensione  del film.

Condividi:

Lazzaro è felice. Lazzaro felice di essere vivo. Felice della pioggia che gli cade sul viso, del vento che gli suona nelle orecchie, della luce del sole che gli scalda il cuore. Forse perché Lazzaro è la pioggia, è il vento, è il sole. È un ragazzo ma è anche ciò che lo circonda e che, abbracciandolo, lo rende felice. È silenzioso, obbediente, lavora sodo la terra che si estende intorno alla villa della marchesa Alfonsina De Luna, la sua padrona e degli altri 53 schiavi strappati, ignari, alla modernità. Tutti nati, cresciuti e invecchiati nella convinzione di essere mezzadri di proprietà della marchesa. Ma Lazzaro è felice. Non sente la fatica, non sente la stanchezza, non parla, non gli serve. E si incanta ad ammirare la natura, il mondo, le persone. Si è ritagliato un suo angolino di paradiso, in cima a una montagna, una grotta con tanto di angolo cucina: qualche tazzina e un pentolino per fare il caffè. È qui che porta Tancredi, figlio della marchesa, stanco del “grande imbroglio” a cui la madre costringe i contadini. Come e perché possa perpetuarsi un inganno simile nell’era della globalizzazione non è dato di sapere. E il film, carico di suggestioni e di rimandi, magistralmente diretto da Alice Rohrwacher, con Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, sorella della regista, Tommaso Ragno, Luca Chikovani, Agnee Graziani, non si attarda a specificarlo. Ma è particolare trascurabile per un’opera che non vuol essere tanto racconto coerente quanto potente allegoria di una condizione umana. Gioco di contrasti, intreccio di paradossi, saldatura tra realtà impossibile e sogno possibile. L’amicizia tra Lazzaro e Tancredi appartiene a quest’ultima categoria. Un’amicizia nata in un tempo che è insieme atavico e contemporaneo, dolcemente bucolico e duramente urbano, in una prospettiva che sembra appianare le contraddizioni, mentre le esalta e le fa diventare stridenti. Eppure quella è la prima vera amicizia di Lazzaro. E lui, ora, è ancora più felice. Ma Lazzaro cade, precipita in un burrone, un salto di metri e metri, giù nell’abisso. E il tempo passa. Il grande inganno è svelato, i contadini, liberati, diventano senzatetto urbani. Moderni ladruncoli senza speranza e futuro.

Lazzaro è morto. O almeno sembra. E infatti continua a soffiare tra le spighe di grano, continua a ululare alla luna nonostante il branco l’abbia abbandonato. Ma non è così. Lazzaro ora è lupo – perché proprio un lupo l’ha risvegliato - è pioggia che bagna, è sole che scalda il mondo. Lazzaro non vive ieri o domani ma solo oggi e nell’oggi panteista il sole non tramonta mai e il tempo è solo una parola. Lazzaro-lupo trova Lazzaro-uomo che si sveglia di nuovo. E Lazzaro redivivo va in città alla ricerca del suo amico Tancredi che trova ormai anziano e corrotto dal male, dal troppo umano. E trova i vecchi compagni di terra, invecchiati, ormai uomini e donne fatti e finiti. Lui no, per lui il tempo non è mai passato, Lazzaro nel suo corpo glorioso di eterno fanciullo viene riconosciuto da Antonia, un tempo poco più di una bambina. E la parte rimasta pura e incorrotta di Antonia lo riconosce, e vede davanti a sé un’entità speciale, morto e risorto, eterno ragazzo. Lei si inchina e lo riaccoglie in famiglia, in quella piccola comunità di ex contadini che povera era e povera è rimasta. E così Lazzaro, che prima raccoglieva il grano ora raccoglie la “monnezza”. Ma Lazzaro è felice. Anche nel momento del sacrificio, alla fine, sorride, è felice. Mentre riceve calci e pugni dalla polizia e dai clienti della banca in cui viene scambiato per un rapinatore, Lazzaro sorride. E quando spira appare di nuovo il lupo, il Lazzaro-lupo, simbolo di vita senza fine, speranza inesauribile e messaggio di gioia e libertà per tutti.