Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Manuel di Dario Albertini, in questi giorni al Cinemino di Milano . A seguire la recensione del film.
Manuel ha diciotto anni. Ma non è come gli altri ragazzi della sua età. Lui è più maturo. Lo dice lui stesso, nel film, all’assistente sociale che lo interroga per assicurarsi che Manuel possa prendersi cura della madre agli arresti domiciliari. E Manuel è pronto, sì, non ha il minimo dubbio nell’accettare la responsabilità a cui va incontro.
Manuel ha diciotto anni. Ma non è come gli altri ragazzi della sua età. Manuel è responsabile. Lo è di se stesso, perché è cresciuto da solo in una casa-famiglia. Lo è nei confronti dei più piccoli. Perché, nell’istituto, preferisce occuparsi dei bambini, leggere loro le favole, piuttosto che passare le serate davanti alla tv. Lo è nei confronti dei più bisognosi. Perché se vede Frankino, che non conosce, ma che chiaramente è in difficoltà, corre ad aiutarlo. Non importa quello che sta facendo, molla tutto e corre. Prima ci sono gli altri. Non importa se un vecchio amico gli propone un lavoro redditizio lontano da casa. Prima c’è sua madre. Che ha bisogno di essere accudita. Due anni di arresti da passare con Manuel che è l’unica sua possibilità. Anzi no, meglio, è suo figlio.
Manuel ha diciotto anni ma non è come gli altri ragazzi della sua età. Gli altri diciottenni sono figli. Lui è già padre. Non biologicamente, certo. Manuel, però, con grande senso di paternità, accudisce, cura, lenisce. Mette gli altri davanti a sé. Manuel sacrifica la sua libertà. Anzi, forse, la usa nel modo migliore, più autentico e profondo. La usa per costruire quel bene che è anche verità. La usa fuori e dentro l’istituto. Inconsciamente, o forse no, vive per qualcosa di più grande. Manuel non è un eroe e questa non è una favola. È la realtà trasformata da Dario Albertini, il regista, in racconto cinematografico per essere conosciuta da tutti. Per trasportarci a Roma, in quell’istituto dove Manuel è cresciuto veramente e con la sua parlata romana, la sua testa dura e il suo sguardo pieno di dolore e di speranza, ha avuto il coraggio di andare contro corrente e di dare tutto per una madre che a lui non ha dato nulla. Anzi no, Manuel mi corregge, gli ha dato la vita. E questo dono, che ora può essere ridonato, vale il sacrificio. Che forse non è altro che il senso ultimo e più pieno della vita.