La carica degli anime. Perché dilagano fra cinema e streaming

Più o meno durante il periodo della pandemia, è cominciata una vera e propria corsa agli anime: tutti li vogliono e tutti sono disposti a fare la loro offerta per averli. C’è stato un chiaro ribilanciamento negli equilibri dell’industria audiovisiva, con il Giappone che si è riposizionato tra i vari protagonisti del mercato globale. Intendiamoci: questo non è un fenomeno che si limita ai soli anime, ma che ha coinvolto anche un certo cinema e una certa tv. Secondo un articolo dello scorso aprile di Screenrant, nel catalogo di Netflix sono presenti circa 160 anime. Questo, però, non è un numero definitivo: ogni mese vengono annunciati nuovi arrivi e rimossi altri titoli. Gli anime nella tv italiana dagli anni '70 agli anni '90 Del ruolo incredibile che il linguaggio dell’animazione sta avendo all’interno dell’immaginario comune abbiamo già parlato. È interessante capire, a questo punto, in che modo la programmazione di – per esempio – Crunchyroll, un’altra piattaforma streaming, e Netflix si può inserire in un contesto come quello italiano. . In Italia c’è sempre stata una programmazione più verticale, legata agli anime e – più in generale – ai cartoni animati. È una tendenza che va indietro nel tempo, che inizia intorno agli anni Settanta e che si è velocemente consolidata, passando dalle televisioni locali a quelle nazionali. Dietro l’arrivo degli anime in Italia ci sono state sicuramente diverse ragioni, prima tra tutte la disponibilità di un contenuto con cui riempire i propri palinsesti. All’epoca, però, non si pensava ancora al legame potenziale con i manga o con altri linguaggi: gli anime costavano poco, erano animati e potevano parlare a un pubblico potenzialmente ampissimo di giovani. Tanto, insomma, bastava. L’attenzione stessa che si aveva per l’adattamento dei dialoghi dà un’idea abbastanza chiara della considerazione di cui godevano gli anime. Al di là di tutto, sono rimasti e sono diventati una parte importante dell’infanzia e dell’adolescenza di migliaia e migliaia di ragazzi. E intorno agli anni Novanta, parallelamente alla messa in onda degli anime sulle reti generaliste come quelle Mediaset, molti editori pensarono bene di creare delle fanzine dove discutere degli anime, della loro storia e provare ad allargarsi – anche se di poco – al fumetto. Per un periodo, la programmazione degli anime si è sovrapposta, accavallandosi, a quella dedicata ai ragazzi. E quindi i programmi-contenitore, spesso, ospitavano titoli diversi. Più avanti, intorno agli anni Duemila, MTV ha creato una vera e propria serata dedicata agli anime, facendo un lavoro incredibile di selezione, offerta e divulgazione. Titoli come Full Metal Alchemist hanno avuto il successo che hanno avuto perché sono passati in chiaro, il martedì sera, su MTV. Tempo di streaming Tutti questi discorsi, però, appartengono a un’altra epoca. Oggi quelle generazioni che seguivano con attenzione la programmazione di Italia1, dal post-pranzo al tardo pomeriggio, sono cresciute, hanno altri impegni e altri interessi – non per forza alternativi all’animazione giapponese. Le generazioni di oggi preferiscono un altro tipo di fruizione: più immediato, semplice e istantaneo. Non sembrano avere più senso i palinsesti con un nuovo episodio ogni settimana. In molti, sono disposti ad aspettare la fine di una serie tv prima di recuperarla – figuriamoci, poi, se si parla degli appassionati di anime. Ci sono chiaramente delle eccezioni a questo discorso, come la serie animata di One Piece, tratta dal manga più venduto di sempre, che viene pubblicata di domenica. E con il tempo, queste eccezioni si sono addirittura allargate, finendo per diventare una regola a parte. I distributori non comprano più i diritti di un anime concluso per poterlo ridoppiare e adattare: vogliono seguire la programmazione giapponese, così da non perdere nemmeno un giorno. Per questo motivo, il modo in cui si stanno muovendo Netflix e Crunchyroll è interessante. Perché stanno riadottando, benché in streaming, una programmazione strutturata, con uscite centellinate e un piano di distribuzione preciso. Solo negli ultimi giorni, su Netflix, sono arrivati l’anime di DanDaDan, tratto dall’omonimo manga pubblicato in Italia da J-Pop, il nuovo anime di Ranma ½ e Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, film campione di incassi dello scorso inverno. A breve toccherà anche all’anime di Dragon Ball Daima, serie che si ispira all’opera di Akira Toriyama, che ne riprende i personaggi, ma che non è basata su alcun fumetto. Nel caso di DanDaDan non stiamo parlando di una storia così diffusa e conosciuta; in Giappone, e in parte anche in Italia, sta andando bene, ha un suo nutrito gruppo di lettori, ma non è lo stesso all’estero – non è lo stesso, per esempio, negli Stati Uniti, dove il mercato editoriale è decisamente più frammentato. È evidente, però, che si sta ricreando una certa dinamica in cui il pubblico, anche se in streaming, è disposto ad aspettare per vedere un nuovo episodio della serie che gli piace. E questo a prescindere dal materiale di partenza. Una cosa del genere, se ci pensiamo, succede ancora con reti come Hbo e con serie come House of the Dragon – le persone sono così desiderose di sapere come va avanti la storia da ritagliarsi un momento preciso, la domenica sera, per non rimanere indietro. Il peso degli anime sul pubblico Con gli anime, però, è diverso. C’è, in un certo senso, qualcosa di più. E in parte questo deriva dall’animazione, che avvicina molto più facilmente pubblici diversi, e in parte dal contenuto stesso delle storie. Sulla carta, DanDaDan è una serie assurda: i due protagonisti si incontrano a scuola, quasi per caso; e si sfidano: lui crede negli alieni, lei nei fantasmi; chi riuscirà a dimostrare all’altro di avere ragione vincerà la scommessa. Non c’è altro. Da questo punto, poi, ci si sposta velocemente a situazioni intrise d’azione, di combattimenti e di tinte horror. I disegni, così come le animazioni, sono l’elemento principale di DanDaDan. E la fedeltà che c’è nei confronti del manga, e di intere sequenze del manga, è altrettanto straordinaria. La sigla, sui social, è diventata virale. Appassionati e meno appassionati la stanno ricondividendo e usando per i loro reel. E intanto Netflix e Crunchyroll hanno raggiunto una centralità nuova, a suo modo diversa, all’interno della vita quotidiana delle persone. Che possono recuperare gli episodi già usciti in qualunque momento, dove vogliono, e che, allo stesso tempo, partecipano a un fenomeno di massa: è importante vedere quell’anime per poterne parlare e discutere con gli altri, come si faceva con alcune serie tv. Per l’ennesima volta, diventa chiaro il peso che gli anime e più in generale l’animazione hanno su un certo tipo di pubblico.