Gigi Cavenago: "Dopo 20 anni di fumetto, voglio godermi l'animazione"

Il suo “Così Zeke ha scoperto la religione” è stato uno degli episodi più apprezzati dell’ultima stagione della serie Netflix “Love, Death + Robots”. Non male per essere il primo lavoro da art director in un settore, quello dell’animazione, in cui lo si può definire a buona ragione ancora un quasi esordiente. Gigi Cavenago ha alle spalle 20 anni di fumetti che lo hanno reso tra i più apprezzati disegnatori italiani. Le sue copertine per Dylan Dog, i suoi lavori su storie come “Mater Dolorosa” o “I racconti del domani”, la partecipazione ai disegni nel crossover “Dylan Dog/Batman” e i sempre più numerosi manifesti di eventi disegnati testimoniano uno stile fresco, un pittorico digitale dai colori brillanti. Con lui abbiamo ripercorso i passi della sua storia artistica, partendo proprio dai lavori più recenti. Partirei dalla fine, dal suo lavoro più recente, “Love, Death + Robots”. È stata la sua prima esperienza da art director nell'animazione, com'è stato questo tipo di lavoro? È capitata, come un fulmine a ciel sereno. Stavo già facendo qualcosa nell’animazione come character designer e mi stavo rendendo conto che le mie cose giravano nel settore, però non mi aspettavo che mi avrebbero dato un ruolo che praticamente viene subito dopo il regista. E come è andata? Sono stato molto onesto con lo studio Titmouse, ho detto loro che non lo avevo mai fatto, ma mi hanno messo subito a mio agio, dicendomi che quella era la loro scelta ma se non me la fossi sentita mi avrebbero dato un altro ruolo e assicurandomi che comunque mi avrebbero guidato e che in un paio di mesi avrei capito come muovermi. E così è stato. Alla fine per me è stato come disegnare un fumettone. Ho pensato che comunque mi occupavo di disegni fermi e che si trattava di disegnare. E ha funzionato. Non so se ha controllato le recensioni sugli aggregatori come Rotten Tomatoes, Metacritic o IMDB, ma il suo episodio è sempre tra quelli col rating più alto di tutta la stagione. L'ho sentito. Io sono andato giusto su IMDB e su un topic su Reddit. Però tutte le mattine cercavo le ultime video recensioni e venivano da tutto il mondo. Ho sentito gente che, in tutte le lingue, commentava il mio episodio, e anche se la quarta stagione è andata un po’ in sordina rispetto alle altre, noi eravamo quasi sempre nella top 2, e l’altro episodio variava sempre, non ce la giocavamo mai con lo stesso. So che la sceneggiatura non l'avete scelta ma vi è stata data. Qual è stata la sua prima reazione quando l’ha letta? Sinceramente pensavo che avrei dovuto disegnare un astronauta perso nello spazio che incontrava un'entità aliena, che avrei dovuto studiare questi soggetti, e invece quando ho letto che si trattava della Seconda guerra mondiale e dell’equipaggio di un B-17, ho subito pensato che fosse la sceneggiatura che nessuno aveva voluto. Sa proprio di mattone in una serie che ha episodi con i tirannosauri che corrono nella galassia. In più era una sceneggiatura complicata e forse anche per questo siamo partiti con un po’ di carica in più ed è venuto bene. Come si è preparato? Non ero tranquillo perché non solo c'era da studiare tutto l'aspetto storico, capire tutti i posizionamenti di un B-17 ma c’era anche da creare la parte sovrannaturale. Un essere che in sceneggiatura si chiamava il cherubino, un angelo caduto per cui era stata pensata un’estetica impossibile da far funzionare col budget che avevamo, con quattro teste che riprendevano i simboli degli evangelisti… E come l’ha risolta? A un certo punto ho detto: se questo lo chiamano il cherubino, io gli metto una faccia da cherubino e il resto lo faccio mostruoso. È anche una storia che proprio per questa commistione tra l'ambientazione storica e la lore esoterica ha dei richiami a un universo che è quello dell’Hellboy di Mike Mignola. So che tra l’altro lei è un grande fan del personaggio e dell’autore. Sì. E io col mio stile ho cercato di semplificare. C’erano scene con un sacco di comparse, schiavi dei nazisti che non abbiamo mai capito chi fossero. Pensavamo che in cgi avrebbero fatto folle immense di gente e noi abbiamo ridotto al minimo giocando tutto sullo stile. Poi magari se ci fosse stato un personaggio col cappello invece che a Hellboy si sarebbe pensato a Indiana Jones, però Mignola è quello che ha raccontato meglio di tutti questo connubio di sovrannaturale e Seconda guerra mondiale, quindi come si fa a prescinderne. Non è stato comunque il suo primo lavoro nell'animazione. Era già stato graphic designer per “Spider-Man: Across the Spider-Verse” e sta lavorando a “Beyond the Spider-Verse”. Cosa ci può dire? Del film che deve ancora uscire niente. Sul primo posso dire che è stata un'occasione, mi hanno chiamato quando era già uscito il trailer e mancava poco all’arrivo in sala ma avevano bisogno di aggiustare alcune piccole sequenze. Ke hanno fidate allo studio Titmouse e pensavo sarebbe stata una cosa una tantum ma quelli di Titmouse hanno visto che facevo domande, davo suggerimenti, e credo che sia stato questo a darmi a farmi sembrare un buon candidato per fare l'art director. Ora ha un ruolo più ampio anche sul prossimo film animato di Spider-Man. Su “Across the Spider-Verse” abbiamo lavorato su una sequenza di 13 secondi in totale, su “Beyond” stiamo lavorando a delle scene in preproduzione. Mi chiedono idee e sketch, e la cosa bella è che non si tratta solo di disegno, posso proporre altro ed è forse il lavoro più divertente che ho fatto finora in animazione. Dopo l'art direction, in cui tutta l'ansia è sul prodotto finale, adesso sto lavorando alle primissime fasi per cui il mio lavoro è buttare giù idee e il mio lavoro finisce lì, che vengano approvate o no c'è poi un processo così lungo che non mi riguarda. Nel 2023 è uscito “Dylan Dog/Batman”, crossover molto ambizioso al quale ha lavorato con Roberto Recchioni e Werhter Dell’Edera. Come è stato lavorare sui personaggi DC Comics in quel contesto? È stato bello. Mentre ci lavoravo ero stato chiamato anche da Mark Millar per lavorare a “The Magic Order” ed ero stanco dal lavoro fatto su “I racconti del domani”. Così quando mi hanno proposto 200 pagine a colori tutte fatte da me ho fatto fatica ad accettare e ho chiesto l'aiuto di Werther Dell'Edera. E forse proprio questa è stata la cosa più emozionante. In più per me Batman e Dylan sono sempre appartenuti a due mondi completamente diversi, mi chiedevo come avremmo fatto a unirli, pensavo che avremmo portato in qualche modo il mondo di Batman in una dimensione più horror. Poi Roberto ha mandato la sceneggiatura ed era molto giocosa e leggera, nel senso buono. Poi si è aggiunta Giovanna Niro a fare i colori e devo dire che l'aiuto di Werther ha dato molto più senso di dinamismo e di humor rispetto a quello che ho io. Quella con Werther Dell'Edera è una collaborazione peculiare, come vi siete organizzati? Anni prima lui aveva fatto la stessa cosa con Gabriele Dell'Otto e mi era piaciuto molto vedere come disegnatori che sono quasi agli antipodi potessero unirsi serenamente e come quelle tavole fossero contemporaneamente di Dell'Otto ma con uno storytelling tutto di Werther. Ha avuto un ruolo di layout artist io avevo la libertà di reinterpretare e modificare tutto quello che mi mandava. E in alcuni casi gli dicevo di non stare a disegnare una scena intera, uno sfondo, ma bastava mi mandasse una foto per orientarmi. È stato un lavoro molto pragmatico: lui si è concertato sullo storytelling e al resto ci ho pensato. La storia doveva avere il mio stile, ma lo storytelling e le inquadrature sono suoi. Il fumetto è poi approdato anche negli Stati Uniti ed è andato piuttosto bene. Che effetto le ha fatto pensare che un team italiano fosse dietro una storia con personaggi così iconici in America? Mentre lo facevamo era non era così strano, i rapporti con la DC li manteneva la Bonelli, noi non ci abbiamo mai parlato e sembrava di fare una cosa tra di noi. La sorpresa è stata quando è uscito negli Usa e abbiamo visto le video reaction o i post sui social. Lì non conoscono Dylan Dog e non ci aspettavamo questo riscontro. Anzi, io avevo anche paura che uscendo qualsiasi cosa legata a Batman lì sarebbe passato inosservato. Invece è piaciuto, un po’ il passaparola, un po’ il fatto che a sfogliarlo è piaciuto e un po’ anche per il ritmo più leggero e divertente. Come è nato il suo stile e quali sono gli artisti che l’hanno formata? Come tutti ho avuto una lunga fase di evoluzione e ricerca. C’è il periodo in cui ti piace qualcuno e cerchi di fare come lui, poi non ti piace più per qualche ragione oppure il fumetto che vorresti disegnare verte più sullo stile di qualcun altro. Io ho avuto la mia fase in cui volevo essere Mike Mignola, volevo solo disegnare come lui, ma poi sono stato preso nello staff di “Jonathan Steele” e ricordo che mi promisero una storia in stile Mignola per poi darmene una in continuity piena di ragazze sexy e cosa che non c’entrano niente con Mignola. E se anche fossi stato una perfetta copia di Mignola, mi sarei reso conto che i lettori di “Jonathan Steele” erano abituati a un altro stile, quindi sono passato a guardare autori più versatili. E verso quali autori si è rivolto? Gente come Goran Parlov, Corrado Mastantuono, Massimo Carnevale. Poi c'è stata la fase in cui non mi piaceva come inchiostravo e mi piaceva molto vedere la freschezza con cui lo faceva Jordi Bernet. Poi ti capita sotto mano uno Stuart Immonen, che in quegli anni era esploso, e allora ti guardi pure lui. È un mangiare e un costruirsi un metabolismo. Adesso ho meno riferimenti, forse il più grosso, soprattutto quando faccio le cose pittoriche, è Fred Pinter, che illustrava le copertine degli Oscar Mondatori. Più che essere quello che vado a guardare, è diventato quello che mi fa venire voglia di dipingere, anche se in digitale. Su Dylan Dog ha avuto l'opportunità di lavorare con i due sceneggiatori che hanno segnato gran parte della storia di questo personaggio, Tiziano Sclavi e Roberto Recchioni. Come si differenzia l'approccio del lavoro di loro due? La grossa differenza, secondo me, è che Roberto scrive anche per il disegnatore mentre Tiziano ha il suo mondo interiore e poi tu lo devi reggere a livello visivo. Detto in parole povere: io venivo da “Mater Dolorosa” con le splash page di duelli tra vascelli nel mare in tempesta, con l'acqua che prendeva la forma di un teschio e tante altre cose divertenti da disegnare; Tiziano invece mi dava una sceneggiatura con persone che parlano in una stanza, quindi all'inizio mi sono chiesto come avrei fatto a far emergere le pagine, poi per fortuna i mondi di Dylan Dog sono comunque interessanti: per esempio c'era Safarà, questo negozio pieno di oggetti interessanti, e a me piace quando uno legge un fumetto e si sente in un posto e non in quelle vignette con pochi sfondi, coi personaggi sospesi nel vuoto. Voglio che i lettori si sentano in un luogo specifico e quindi ho lavorato più di scenografia, sui dettagli. Gran parte delle sue storie hanno a che fare con gli incubi. Che rapporto ha con la paura? Bellissimo. Non sono più così vorace di horror come lo ero prima, forse per una questione di età o perché ho già visto abbastanza. Però sono le atmosfere che mi piacciono di più, in qualche modo ti vanno a suscitare emozioni più profonde. È un po’ come il peperoncino su un piatto: può essere tutto buono ma se ci metti quella cosa lì l'immaginazione ti parte. Anche con il corto di “Love Death + Robots” ho visto gente che si è fatta teorie incredibili sull’angelo, su cosa diceva il sacerdote che lo ha evocato, su come mai certi personaggi sanguinano in sua presenza e altri no. Se questa cosa fosse stata priva di tutti quegli elementi orifici non credo che avrebbe stimolato così tanto la fantasia del pubblico. Il passaggio all'animazione lo consideriamo una svolta definitiva o la rivedremo anche sul fumetto? Sto facendo una cosa breve per l'America e sto facendo molto fatica perché intanto c'è “Beyond the Spider-Verse”. E in più c'è da dire che nell'animazione si lavora tanto ma si lavora tutti assieme, mentre nel fumetto si lavora tanto da solo e io sento di aver perso un pochino quello slancio. È come uno sportivo che sente che i muscoli non sono più sciolti come prima, ci vuole un po’ di tempo. Io vorrei tenere il piede in due scarpe ma devo dire che dopo 20 anni di fumetto non immaginavo nemmeno che avrei fatto queste esperienze. quindi per adesso il mio piano è di lavorare nell’animazione finché me lo chiedono. Se faccio fumetti mi piacerebbe provare a fare o cose molto brevi e anche un po’ sperimentali, oppure cose personali.

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