“Easy, easy, easy”, al Teatro alla Scala in scena la geniale semplicità di Jerome Robbins

Due giganti del Ventesimo secolo in un trittico che chiude in bellezza, nel senso più puro del termine, la stagione del Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Dall’8 novembre in scena al Piermarini Theme and Variations di George Balanchine, che torna con una nuova veste firmata da Luisa Spinatelli, e due capolavori di Jerome Robbins su musiche di Chopin che arrivano alla Scala per la prima volta: Dances at a Gathering e The Concert. Una sfida per gli artisti della compagnia che si confrontano con tre capolavori guidati da chi ha lavorato in prima persona con i due grandi coreografi americani. Come Patricia Neary, unica ripetitrice dei balletti di George Balanchine al mondo, Ben Huys e Jean-Pierre Frohlich per, rispettivamente, Dances at a Gathering e The Concert. A loro, insieme al direttore del Corpo di Ballo Manuel Legris, il compito di trasmettere gli insegnamenti ricevuti. Perché, come ricordano anche in conferenza stampa, la danza e l’opera non sono come un dipinto ma si evolvono. Easy, easy, easy Theme and Variations, primo titolo della serata, è il capolavoro del più puro stile balanchiniano sul quarto movimento dalla Suite n. 3 in sol maggiore op. 55 di Čajkovskij. Un balletto nato con l’intenzione “di evocare il grandioso periodo del balletto classico, che fiorì in Russia con l’aiuto della musica di Čajkovskij” come sottolineato dallo stesso Balanchine. Gioiello di pura danza anche Dances at a Gathering mentre The Concert è un pezzo unico nel suo genere, ironico e brillante, che porta in scena una serie di personaggi che assistono a un recital di pianoforte. “Robbins era un uomo difficile nel lavoro – ricorda il direttore del Corpo di Ballo della Scala Manuel Legris - La prima volta che abbiamo presentato Dances at a Gathering abbiamo lavorato tre mesi e abbiamo scoperto il cast solo sei ore prima dalla prima. Un’esperienza sicuramente molto complicata ma assolutamente straordinaria”. La difficoltà dei balletti di Robbins era tutta nel ricercare la semplicità. “Lui diceva sempre ‘easy, easy, easy’. Voleva dai danzatori una maniera di ballare senza ballare” spiega Legris. See the music, hear the dance “La vera sfida sul palco è vedere i danzatori che si muovono insieme in modo molto naturale. Non come danzatori ma come persone che sono per strada pensando sempre alla musica come prima cosa” rimarca Ben Huys. E su Dances at a Gathering aggiunge: “La cosa più difficile di questo balletto è la relazione tra i danzatori. Ho lavorato con Robbins per dieci anni e la cosa più complicata per i ballerini è guardarsi l’uno con l’altro e danzare insieme. Ascoltare la musica e far in modo che questa venga sempre prima. Esattamente come diceva lo stesso Balanchine, suo amico, ‘guarda la musica e senti la danza’”. Robbins compose Dances at a Gathering nel 1969 per dieci ballerini del New York City Ballet, la compagnia fondata da George Balanchine. Fu il primo lavoro dopo un lungo periodo in cui Robbins lavorò per i musical a Broadway. Il risultato fu un qualcosa di puramente classico, un po’ old fashion. “Penso che a Robbins fosse mancata la danza classica e quando tornò a creare per una compagnia classica fu molto ispirato – osserva Ben Huys - Cominciò con piccoli pezzi, pas de deux o assoli. Ma quando Balanchine vide quello che stava creando gli chiese di fare di più, ‘more and more and more’. Il balletto divenne così un pezzo da un’ora per 10 principal dancers, i migliori di quel momento. Non c’è una storia, c’è semplicemente un gruppo di persone che danzano insieme. È un pezzo che parla di amicizia, di amore, di umanità, di vita”. La vena ironica di The Concert Ha una vena invece comica e assolutamente unica nel suo genere The Concert. Ironico e brillante, porta in scena una serie di personaggi che assistono a un recital di pianoforte. “Prima di tutto Robbins voleva che gli spettatori vedessero loro stessi sul palco. Se osservate tutti i personaggi di The Concert sono infatti delle persone che stanno andando a teatro a vedere un’opera, un balletto o a sentire un concerto di musica classica” sottolinea Jean-Pierre Frohlich. Una bella prova anche interpretativa per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. “Ho lavorato qui 20 anni fa, quando ho realizzato The Cage - ricorda Frohlic - Avete dei danzatori meravigliosi e credo che il direttore Manuel Legris abbia fatto un lavoro incredibile con loro. Sono tutti sono pronti a sperimentare, a imparare e a provare qualcosa di nuovo per ampliare i propri orizzonti. È davvero una compagnia straordinaria”.