Danza, Roberto Zappalà apre MilanOltre con una trilogia dell’estasi

Se rileggere un capolavoro che ha fatto la storia della danza è già di per sé un’impresa ardua e rischiosissima, immaginare di riprendere tre pietre miliari e trasformarle contemporaneamente in qualcosa di nuovo ha il sapore dell’impossibile. Lo ha fatto Roberto Zappalà, coreografo catanese, nel suo ultimo lavoro che aprirà la 38esima edizione del Festival MILANoLTRE, In L’après midi d’un Faune, Boléro, Le Sacre du Printemps Zappalà affronta tre grandi composizioni classiche e per lui anche “sacre” che hanno segnato il percorso coreografico e musicale del secolo scorso. Un processo creativo lungo dieci anni che sottolinea il rispetto che il coreografo ha per questi lavori e che oggi giunge a maturità per la messa in scena. Uno spettacolo che, dopo il debutto in prima assoluta il 30 e 31 maggio all’Auditorium Zubin Mehta di Firenze, andrà in scena al Teatro Elfo Puccini martedì 24 settembre e poi a Catania, al Teatro Massimo Bellini, dal 6 al 13 ottobre con l’orchestra dello stesso teatro diretta da Vitali Alekseenok. Una creazione che tratteggia l’inquietudine del presente, le relazioni umane e le derive della società contemporanea nei rapporti tra uomini e donne, partendo dalle suggestioni del film cult Eyes wide shut di Stanley Kubrick per trasfigurarle ed esaltarle nel suo immaginario visivo e coreografico con un grande allestimento per 14 danzatori della sua Compagnia e 10 comparse. Come è nata l’idea di affrontare tre giganti del Novecento, sia dal punto di vista musicale che coreografico, e di farne uno spettacolo unico? Che siano tre giganti del Novecento è accertato ed era questa una sfida molto complicata e pericolosa. Proprio perché si va a lavorare su un terreno che appartiene a grandissimi coreografi del secolo scorso. La scommessa era soprattutto quella di trovare un’idea che potesse accomunare il tutto. E sono partito dalla collocazione drammaturgica che è nata da un fatto di cronaca: il sacrificio di una ragazza violentata in una casa della Roma bene, ai Parioli. All’idea di partenza di questa festa era però necessario affiancarne un’altra e ho pensato di riunire i tre balletti in una sola storia. Non ci sarà soluzione di continuità, dentro la produzione i lavori vanno uno dopo l’altro. L’idea principale è proprio questa, al di là del linguaggio e della coreografia. Mi premeva trovare un’idea profonda e anche originale. Come diceva si tratta di capolavori legati anche a grandi coreografi come Nijinsky, Pina Bausch, Maurice Béjart. Ci sono richiami a qualcuno di loro in questa sua nuova creazione? In realtà no, c’è forse un richiamo molto piccolo solo in L’après midi d’un Faune a un atteggiamento che Nijinsky aveva composto. C’è invece un forte riferimento nel Boléro a uno dei miei registi preferiti che è Stanley Kubrick e in particolare alla scena della festa del film Eyes Wide Shut. Nella festa esiste il sacrificio, l’erotismo, la solitudine. E anche in questi tre lavori esistono queste stesse tre tematiche ed era importante tracciare il percorso. Il passato è un punto di partenza imprescindibile? Il passato ci deve servire a leggere il futuro. Per me non è importante far rimanere qualcosa del passato ma tenerla sempre accanto. Ed è proprio questo tenere accanto, questo considerare un fattore importante ciò che è stato costruito nel passato che poi permette a un artista di innovarsi. Quali sono gli elementi chiave di questa trilogia da un punto di vista strettamente coreografico? I piani di questa nuova creazione coinvolgono diversi elementi della mia struttura coreografica. Innanzitutto il MoDem, il linguaggio che ho sviluppato in più di 20 anni di lavoro con la mia compagnia e che studiamo quotidianamente. E poi l’uso dello spazio che ha una sua ritualità. Ecco, questa idea di ritualità, che si nota in particolare nel Boléro con questo rigore del movimento, è più un’immagine di arte contemporanea. Il Boléro non è iperdanzato come L’après midi d’un Faune o Le Sacre du Printemps. E questa ritualità che esiste nel nostro linguaggio è importante tenerla sempre. Anche nella regia, nelle luci, nei costumi, nelle scene. È il fattore necessario affinché il lavoro possa andare in scena in modo organico.