2073, il documentario sulla Terra che verrà. Desolata e inospitale

Come sarà il mondo tra 50 anni? Come sarà lo stato di salute del pianeta e della democrazia? Asif Kapadia, autore dei documentari su Ayrton Senna, Maradona e Amy Winehouse prova a rispondere alla domanda mettendo in scena un’opera inquietante a metà tra sci-fi distopica e il documentario. Presentato fuori concorso nella sezione Non Fiction, 2073 ha scosso il pubblico della Mostra del cinema. 2073. La trama Nel 2073 la Terra è un luogo desolato e inospitale. Il mare è invaso dalla plastica, i boschi sono bruciati, il cielo è una cappa scura. Se l'ecosistema è saltato, anche i regimi democratici sono crollati. Nella capitale delle Americhe, New San Francisco, soldati armati, droni e telecamere per il riconoscimento facciale controllano la popolazione, registrando le conversazioni ed etichettando come sovversivo chiunque pronunci la parola 'democrazia'. Samantha Morton si nasconde tra i resti di un centro commerciale per sfuggire alla dittatura tecno-militare e rammenta come si viveva prima che un evento imprecisato - una guerra atomica, una nuova e feroce pandemia, una catastrofe climatica - provocasse morte, distruzione e la fine della libertà. A questo punto Kapadia ci porta indietro nel tempo per individuare le origini della tragedia. Reazionari, autoritari, negazionisti Chi sono i colpevoli per l’evento che ha sconvolto il mondo? Kapadia indica tra i responsabili i politici reazionari delle democrazie occidentali, tutti negazionisti sul clima, e i leader delle dittature del resto nel mondo, da Putin a Xi Jinping. Il film li accusa della diffusione tramite i social di fake news e messaggi di odio che hanno provocato danni sociali e politici enormi. Il regista, che è di nazionalità britannica, cita la Brexit e la propaganda del leader indipendentista Nigel Farage, e poi l’ascesa alla Presidenza Usa di Donald Trump, in India il governo di Modi con le sue politiche antimusulmane, nelle Filippine il regime assassino di Duterte. Tecnologia e controllo Ma per Kapadia sono altrettanto responsabili i padroni del mondo che controllano le nuove tecnologie e che sono al lavoro non per salvare il pianeta ma per trovare soluzioni alternative quando il mondo collasserà: dal metaverso di Facebook ai viaggi spaziali di Musk ai mondi artificiali fantasticati da Bezos. Soluzioni non per tutti – ammonisce Kapadia – ma solo per i super-ricchi. Gli stessi tecno-imprenditori iper-liberisti puntano molto sull’intelligenza artificiale il cui uso, se non rigorosamente limitato dagli stati democratici, potrebbe determinare un progressivo scivolamento verso la sorveglianza di massa, come è avvenuto in Cina nei confronti della popolazione degli uiguri. Call to action Affastellando informazioni talvolta un po’ frettolosamente e soffrendo di eccessivo schematismo, il film procura una certa dose di ansia allo spettatore. Per scuoterlo il regista continua a dirgli che non c’è più tempo, le democrazie accerchiate dai regimi autoritari sono in pericolo e lo invita all’impegno in difesa della libertà. Chi vivrà fino al 2073 saprà se il messaggio è stato ascoltato.

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