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La grande abbuffata, Ninni Bruschetta a teatro partendo da Ferreri

Spettacolo

Sabrina Rappoli

Foto: Luca Del Pia

Il teatro dopo il lockdown ha avuto un rimbalzo, dice Ninni Bruschetta, io ho avuto tutti sold out. E' un'istituzione che dovrebbe vivere di incassi: se sei bravo resisti, altrimenti vai a casa

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Al Teatro Fontana di Milano, dal 10 al 20 febbraio, c’è “La grande abbuffata”. Nel cast Ninni Bruschetta, attore con anni di regia alle spalle e una carriera ricca anche di importanti ruoli cinematografici e televisivi.

“Siamo partiti dal film del 1973 di Marco Ferreri con Mastroianni, Piccoli, Noiret, Tognazzi, Ferréol. Io e il regista dello spettacolo, Michele Sinisi, che si dice mio allievo”, dice con affetto Ninni, “abbiamo organizzato una proiezione, rivedendo il film dopo anni dall’ultima volta. Siamo partiti da quel racconto per poi abbandonarlo del tutto, ma nello stesso tempo senza perderlo mai. Insomma, io dico che questo spettacolo sta alla “Grande abbuffata” di Marco Ferreri, come “Il pasto nudo” di David Cronenberg sta al romanzo di William S. Burroughs”.

LA TRAMA

Sul palco si dipana la vicenda di quattro uomini liberi e gaudenti che programmano la propria morte in un’orgia di cibo e sesso, diventando potente allegoria di una società votata all’abbuffata indiscriminata di informazioni, di prodotti, di opinioni, di fatti, di realtà divorata dal virtuale e viceversa. Su una scena scarna e postindustriale i personaggi entrano ed escono dalla parte, mettono in discussione la trama, fanno e disfano battute, improvvisano, ricordando allo spettatore di essere prima di tutto attori, impegnati in una ricerca creativa che va ben al di là della semplice finzione. “I personaggi hanno gli stessi nomi di noi attori”, dice “io per esempio in scena sono Ninni”.

LA GENESI dello spettacolo

“Lo spettacolo è nato nel 2020, durante il primo lockdown. Ricordo che lo abbiamo provato quando l’Italia e dunque Milano erano in zona rossa. Non c’erano ancora i vaccini, facevamo un tampone ogni due giorni; un periodo che poteva essere – e di fatto lo era – angosciante. Per noi, però è stato un periodo magico. Andavo a piedi alle prove, al termine tornavamo a casa perché c’era il coprifuoco, alle 22.30 ero già a letto e anche se non dormivo leggevo o scrivevo, erano momenti strani”, confessa Ninni Bruschetta.

IL PRIMO LOCKDOWN

“Il primo lockdown l’ho vissuto bene, ero con mia moglie, con la mia famiglia, al ritorno da una tournée lunghissima. Mia figlia era tornata dal Belgio, mio figlio iniziava le sue lezioni on line con la New York University: eravamo tutti a casa. Il Covid è qualcosa che ha segnato più alcune persone e meno altri. I grandi eventi creano un’emozione negativa così forte che la risalita è quasi necessaria. Questo si verificherà, io credo.

IL SECONDO LOCKDOWN

“Il secondo lockdown mi ha dato un’ansia non indifferente. Guardavamo avanti e dicevamo ‘E ora? Che cosa succederà’? Io continuavo a lavorare, avevo tanto diversificato. In fondo noi siamo stati privilegiati. La verità è che siamo una nazione povera e gli aiuti che abbiamo avuto a sostegno del settore sono stati qualcosa di molto lontano rispetto a ciò che sarebbe servito per andare avanti”.

IL FUTURO Del cinema

“Ci sono state cose fatte male, ma anche iniziative importanti, negli ultimi due anni. Diceva Pasolini: ‘Lo iato che c’è’ tra potere e popolo’, perché le istituzioni a volte sembrano essere fuori dalla realtà. Vale anche per i teatri pubblici o per quelli privati: alcuni sono gestiti in modo stantio, antico. Credo che i cinema diventeranno musei, di qui a poco, probabilmente. Dovrebbero cominciare a proiettare la storia del Cinema, diventare luoghi per amatori e riprendere la ritualità che ti propone il teatro, allo stesso modo, insomma. I giovani hanno voglia di vedere i vecchi film, di capire. Il teatro, invece, ha avuto un rimbalzo pazzesco di pubblico".

e quello del teatro

"Il teatro di qualità, quello bello; se fai questo tipo di teatro il pubblico risponde. Il teatro si fonda sugli incassi e su quello si dovrebbe fondare. Al teatro si dovrebbe riconoscere la sua storica funzione rituale, dovrebbe diventare un luogo dove si va a condividere un messaggio e dovrebbe avere le stesse le stesse caratteristiche del rito. Il teatro non lo devi tassare. Lo Stato finanzia le compagnie riconosciute dandogli circa il doppio di quello che le compagnie versano di contributi. L’economia del teatro dovrebbe essere, invece, basata sugli incassi: se sei bravo resisti, altrimenti vai a casa".