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Le relazioni non sono pericolose, il manuale di Manuela Ronchi

Spettacolo

Sabrina Rappoli

Da anni cura le pubbliche relazioni di alcuni dei personaggi più in vista dello Sport e dello Showbiz. Manuela Ronchi racconta la sua esperienza in un libro, che si legge come una storia appassionante ed è utile come un manuale

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Mai come in questo periodo c’è necessità di relazioni, ora che la pandemia condiziona le nostre vite e ci costringe a “cambiare registro”. Il libro di Manuela Ronchi, “Le relazioni non sono pericolose - L’importanza dell’incontro all’epoca dei social”, è qualcosa che sembra fare da bussola, in questi tempi di distanziamento sociale, al nostro navigare la vita; una sorta di invito a guardare avanti con ottimismo, a quando tutto questo finirà.

Edito da Gribaudo, a cura di Simona Recanatini, con la prefazione di Federico Buffa, spiega  quanto importanti siano le pubbliche relazioni.

dialogare con i personaggi, sempre nel rispetto

Per farlo, l’autrice, racconta le sue collaborazioni con personaggi illustri come Max Biaggi, Adriano Panatta, Marco Pantani, Alberto Tomba, soltanto per citarne alcuni.

“Ho osservato i personaggi esattamente così com’erano, con i loro pregi e i loro difetti, rispettando le loro caratteristiche, ascoltandoli”, scrive Manuela; che poi sottolinea “in qualità di professionista che gestisce i personaggi e la loro immagine ho sempre sentito la responsabilità di rispettare le persone che seguono la vita e le vicissitudini di questi personaggi”.

Insomma, un titolo che insegna l’impatto delle pubbliche relazioni sui personaggi, sul pubblico, tra le persone. Un mestiere che è fatto anche e soprattutto di rapporti umani, di sguardi, di intese.
 

Quali sono le qualità che occorrono per fare questo mestiere?

Una delle prime qualità che servono per fare questo mestiere è soprattutto l’empatia, che non è semplicemente una qualità ma è qualcosa di innato, e tendenzialmente è una qualità che può essere alimentata cercando di avere attenzione e saper ascoltare le persone.

Un’altra qualità, infatti, è quella dell’ascolto, e soprattutto il rispetto. Il mio obiettivo è far sì che le pubbliche relazioni diventino virtuose e generino connettività e networking, rispettando l’intelligenza delle persone e unendole nei loro valori e visioni comuni, in modo che questi incontri creino un valore aggiunto.

 

Quale consiglio dare, uno su tutti, a chi volesse intraprendere l’avventura nelle Pubbliche Relazioni?

Il consiglio che do a chi vuole intraprendere le pubbliche relazioni è quello di lavorare in società con una mentalità aperta dove, soprattutto dopo questo periodo, si acquisirà la consapevolezza che il lavoro delle pubbliche relazioni diventerà ancora più importante di prima. Però, per fare questo, bisogna avere larghezza di vedute, bisogna cercare veramente di mettere le persone al centro, e non esistere solo perché si è sui social network, ma ritornare a fare quel lavoro di relazione umana, che è quello che poi crea tutte le connessioni.

Quindi, il consiglio è quello di stare bene attenti a che strada prendere e con che persone condividere il proprio cammino.
 

Da dove è nata l’esigenza di scrivere questo “manuale”?

È stata un’esigenza, ma il tutto è scaturito da una chiacchierata fatta con il gruppo Feltrinelli: avevano piacere che io raccontassi come è nata la mia professione e come sono riuscita a gestire l’immagine di tutti i personaggi di cui ho avuto il piacere di occuparmi.

E poi, scrivendo questa storia con Simona Recanatini, mi sono resa conto che io non amo fare spettacolo. Non mi andava di fare l’elenco esatto dei personaggi che ho gestito aggiungendo degli aneddoti. Al contrario ho voluto, in maniera spontanea e naturale, creare un manuale con il quale mettere a disposizione di tutti – senza nessuna presunzione - quello che ho imparato da ciascuna esperienza e ciascuno incontro.

Con il racconto di alcune cose personali della mia vita spero di poter suggerire - a chi di solito è abituato a recitare una parte per esistere - che non bisogna temere il giudizio degli altri, perché anche raccontare verità un po’ scomode è sintomo di libertà e rispetto per sé stessi.
 

Di tutti i personaggi coi quali ha collaborato, quale le è rimasto nel cuore e perché?

È una risposta abbastanza scontata: mi sono rimasti tutti nel cuore i personaggi con cui ho collaborato.

Ovviamente, un posto particolare ce l’ha Marco Pantani, anche perché non c’è più, e quindi manca più di tutti gli altri. Manca soprattutto perché con lui avremmo potuto fare (e sono sicura che, se fosse ancora qui, le avremmo fatte insieme) molte cose belle: per esempio, ho appena aperto una società Benefit per fare business sostenibile, e anche lui condivideva con me la voglia di fare cose per gli altri perché era un ragazzo altruista.

Mi manca, ed è rimasto nel mio cuore perché è stata una relazione virtuosa che si è poi consolidata nella gestione di una difficoltà estrema, per via della situazione che si era venuta a creare. E in questa difficoltà lui non si è mai fatto condizionare dal giudizio degli altri e ha sempre salvaguardato l’onestà intellettuale del nostro rapporto: credo che questo sia stato non solo un segno di grande intelligenza, ma anche di innovazione.

Lui era un innovatore, anche per il fatto di aver scelto una donna a ricoprire un ruolo così delicato e importante, e per aver difeso fino alla fine questa sua scelta. Ed io di questo non posso che andarne molto fiera. È un uomo che nella mia vita ha veramente segnato molto e quindi forse è quello che, in assoluto, è e rimarrà per sempre nel mio cuore.