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"Downthere", cronache di un lockdown (in pillole)

Spettacolo

Barbara Ferrara

Un'opera multimediale che mette insieme diversi linguaggi per creare “una mappatura emotiva” del periodo di isolamento da cui stiamo uscendo. L’intervista a Federico Bernocchi, tra gli autori del progetto insieme ad Anghela Alò, Francesca Benedetto, Stefano Govi, Simone Russo e Carolina Stramerra Grassi

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“Poche macchine, qualcuno a spasso con il cane, un bosco, un prato, la montagna, il mare, un uomo solo, la città vuota, l’invisibile”, durante il periodo di emergenza sanitaria ciascuno di noi fuori e dentro di sé ha visto qualcosa di diverso. “Registra un video di quello che vedi laggiù”: questo l’invito del collettivo di Downthere che fin dal primo giorno di lockdown ha voluto creare una mappatura emotiva del qui e ora. Citando il documentario Là Bas di Chantal Ackerman, il progetto iniziale era raccogliere video a camera fissa di un minuto circa, girati dalle finestre, l'unico spiraglio che avevamo per vedere laggiù, le nostre città. Successivamente, il campo si è allargato e gli autori hanno contattato persone che avessero qualcosa di unico da raccontare. A oggi, le interviste pubblicate su Instagram sono ottanta. 

Frammenti di testimonianze sotto forma di video e testo con viste della città vuota compongono un mosaico, un dizionario delle emozioni vissute durante la pandemia (Coronavirus - tutte le news live). Presente passato e futuro si confondono dando vita e voce a stati d’animo e sentimenti spesso confinati nei nostri spazi interiori. Un lavoro sulla memoria, una mappatura di geografie materiali e immateriali, che ha visto protagonisti giornalisti, musicisti, conduttori radiofonici, autori televisivi, architetti, medici, attori, artisti, stilisti, psichiatri, psicologi, scrittori, adolescenti, fumettisti, professori, registi. Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Australia, Inghilterra, Arabia Saudita, Lettonia, Svezia, Libano, Downthere è arrivato ovunque nel mondo. Ed è maturato nel tempo sulla scia delle emotività momentanea. “Se all'inizio avevamo solo le visioni dalle finestre, delle nostre città svuotate, poi siamo passati ad avere quelle che noi chiamiamo pillole, cioè dei piccoli estratti presi dalle interviste. Col tempo, con il primo giorno della Fase 2, abbiamo deciso di pubblicare su Instagram TV delle nuove interviste in maniera più corposa per la durata di 6, 8 minuti. Non è cambiata solo la forma, ma anche i contenuti. Le persone che abbiamo incontrato, con le loro esperienze personali ci hanno in qualche modo spiegato la velocità con cui il mondo mutava sotto i nostri occhi”.

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Coronavirus, la voce di Milano durante la quarantena. VIDEO

L'intervista a Federico Bernocchi

 

Come nasce l’idea della vostra “mappa emotiva”?
La mappatura è uno strumento di indagine molto usato nelle discipline dell'urbanistica e della sociologia. Ad un certo punto ci siamo trovati a non poter più vedere le nostre città ed averne esperienza diretta, così, la prima idea è stata creare un archivio di viste dalla finestra. Ci sembrava un modo per avere uno sguardo collettivo sul mondo fuori, per capire quello che stesse accadendo. Le nostre case sono caleidoscopi, banche della memoria personale e della nostra emotività. Da qui nasce l’idea della mappatura emotiva e del Downthere inteso anche come laggiù interiore, parte intima di ogni intervistato e interfaccia del laggiù fuori dalle nostre finestre.


Siete una squadra di sei persone, come vi siete “trovati”, vi conoscevate già?
Il gruppo si è formato dall’esigenza di studiare il periodo del lockdown, appena dopo la prima comunicazione ufficiale della chiusura della regione Lombardia. I componenti del gruppo non si conoscevano tutti direttamente, né avevamo mai lavorato insieme su un progetto. Siamo accomunati dall’appartenenza al mondo della comunicazione e del design, ma in ambiti multidisciplinari. 


In questa fase di post lockdown, come evolve Downthere?

Downthere è un progetto che per sua natura è in continua evoluzione. Abbiamo tentato di seguire la quotidianità, quello che accadeva in maniera estremamente veloce a noi e al Paese. Ora siamo in una fase post, ed è questo il momento per noi per raccogliere le forze e fare tesoro di tutto il materiale che abbiamo raccolto per riorganizzarlo in una forma nuova, diversa. Ci piacerebbe realizzare un documentario, una mostra, un'opera multimediale che riesca ad unire tutto quello che abbiamo. Al tempo stesso ci piacerebbe anche continuare a sentire persone e farci raccontare il loro post, come stanno reagendo a questo ulteriore cambio. Sarebbe molto bello per noi ritrovarle ancora e farci raccontare com'è finito il loro lockdown


C’è una voce che tra tutte vi ha colpito più di un’altra?
Impossibile dirne una piuttosto che un'altra, abbiamo assorbito moltissima emotività. Ognuno di noi ha sentito una risposta che ci ha toccato personalmente, per assonanza con la nostra vita o perché invece non avevamo mai preso in considerazione quell'aspetto. Lì crollano le difese e inaspettatamente ti ritrovi a piangere. Quando sei al computer con qualcuno che non conosci che ti sta raccontando una cosa che ti commuove, ecco, questi sono stati momenti indimenticabili. 


Qual è il sentimento comune ritrovato nelle testimonianze?
Una delle frasi che si sentiva più spesso all'inizio dell'emergenza era: "Il virus ci ha reso tutti uguali". Col tempo, proprio grazie a Downthere, abbiamo capito che in realtà non è così, ognuno di noi ha vissuto qualcosa di unico, diverso. Per questo forse, se dovessimo individuare un sentimento che attraversa tutto Downthere, è l'empatia.