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Long Covid, uno su quattro non sa di averlo: l’Ia individua i casi sommersi

Salute e Benessere
©IPA/Fotogramma

Grazie a un algoritmo di Intelligenza artificiale, i ricercatori del Mass General Brigham sono riusciti a identificare casi sommersi di Long Covid, migliorando la diagnosi rispetto ai metodi tradizionali. L’obiettivo è rendere disponibile l’algoritmo a livello globale per ampliare l’accesso alla diagnosi

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Tosse cronica, affaticamento, mente annebbiata: sono solo alcuni dei sintomi del Long Covid, una sindrome caratterizzata da manifestazioni che possono persistere per mesi dopo la guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2. Secondo un recente studio condotto dai ricercatori del Mass General Brigham, e pubblicato sulla rivista Med, questa condizione sarebbe molto più diffusa di quanto si pensasse finora: circa una persona su quattro potrebbe soffrirne senza saperlo. Questo dato è stato rivelato grazie a un algoritmo di Intelligenza artificiale, sviluppato per individuare nelle cartelle cliniche i casi nascosti di Long Covid.

Il ruolo dell’Intelligenza artificiale nella diagnosi

I ricercatori americani sono partiti definendo criteri chiari per la diagnosi del Long Covid: il quadro clinico doveva essere inspiegabile da altre patologie, associato a una precedente infezione da Sars-CoV-2 e con sintomi persistenti per almeno due mesi in un periodo di monitoraggio di 12 mesi. Sulla base di questi criteri, l’algoritmo è stato addestrato per individuare il Long Covid utilizzando una tecnica avanzata, detta “fenotipizzazione di precisione”. Questo metodo consente all’Intelligenza artificiale di esaminare le cartelle cliniche alla ricerca di sintomi correlati al Covid-19 e di monitorarli nel tempo per distinguerli da quelli di altre malattie. Ad esempio, se un paziente presenta mancanza di respiro, l’Ia verifica che non sia dovuta a condizioni preesistenti, come insufficienza cardiaca o asma. Solo quando tutte le altre possibili cause sono escluse, l’algoritmo segnala il paziente come affetto da Long Covid.

Un metodo avanzato per distinguere il Long Covid

Durante lo studio, il team di ricerca ha usato l’algoritmo per analizzare le cartelle cliniche di oltre 295.000 pazienti, distribuiti tra 14 ospedali e 20 centri sanitari comunitari del Massachusetts. L’Intelligenza artificiale ha rilevato che "il 22,8% manifesta i sintomi del Long Covid”, ovvero quasi una persona su quattro, a fronte delle stime precedenti che indicavano meno di una su dieci. "Una cifra che potrebbe dipingere un quadro più realistico del tributo a lungo termine che paghiamo alla pandemia”, hanno osservato i ricercatori. "Il nostro strumento di Ia potrebbe trasformare un processo diagnostico nebuloso in qualcosa di nitido e mirato, dando ai medici la possibilità di dare un nome a una condizione difficile da inquadrare e riconoscere”, ha commentato l'autore senior Hossein Estiri.

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Maggiore accuratezza grazie all’Ia

I ricercatori hanno stimato che il loro strumento risulta “circa il 3% più accurato” rispetto al codice diagnostico ufficiale Icd-10, che spesso identifica i casi di Long Covid prevalentemente tra chi ha un migliore accesso ai servizi sanitari, con il rischio di escludere le persone più svantaggiate. Queste ultime sono "spesso emarginate negli studi clinici", ha sottolineato Estiri, mentre l’Ia potrebbe contribuire a far sì che "non siano più invisibili". “Per i medici, che sono sottoposti a carichi di lavoro intensi e si trovano spesso a doversi districare fra sintomi e anamnesi, incerti su quali fili tirare dentro una rete contorta avere uno strumento basato sull'intelligenza artificiale, che può fare questo lavoro per loro e con metodo, potrebbe cambiare le carte in tavola”, ha aggiunto Alaleh Azhir, co-autore principale dello studio.

I limiti dello studio e le prospettive future

Gli autori precisano che il loro studio presenta alcuni limiti, primo fra tutti il fatto di essere stato condotto esclusivamente su pazienti del Massachusetts. Tuttavia, il team intende rendere disponibile il proprio algoritmo di Intelligenza artificiale a medici e sistemi sanitari in tutto il mondo. Studi futuri potrebbero testarne l’efficacia su gruppi di pazienti con condizioni specifiche, come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) o il diabete. "Oltre ad aprire le porte a una migliore assistenza clinica, questo lavoro potrebbe gettare le basi per future ricerche sui fattori genetici e biochimici alla base dei vari sottotipi di Long Covid. Le domande sul vero impatto di questa sindrome, finora eluse, adesso sembrano avere risposte più a portata di mano”, ha concluso Estiri.

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