Si tratta della reboxetina, un farmaco, già utilizzato contro la depressione, che sarebbe in grado di ridurre la gravità delle apnee ostruttive del sonno. A indicarlo uno studio della Flinders University
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Individuata una possibile nuova arma contro le apnee ostruttive nel sonno, un disturbo caratterizzato da pause nella respirazione durante il sonno, causate dall’ostruzione parziale o totale delle prime vie aeree.
Si tratta della reboxetina, un farmaco, già utilizzato contro la depressione, che sarebbe in grado di ridurre la gravità delle apnee ostruttive del sonno.
A indicarlo è un nuovo studio della Flinders University. I risultati, pubblicati sul Journal of Clinical Sleep Medicine, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti da proporre ai pazienti che non tollerano le attuali terapie.
Lo studio nel dettaglio
"Ricerche recenti hanno scoperto
che una combinazione dei medicinali reboxetina e ossibutinina, entrambi
precedentemente utilizzati per condizioni non correlate, potrebbe essere
un trattamento efficace per le apnee ostruttive del sonno,
ma al tempo stesso causare effetti collaterali. Volevamo vedere se la
reboxetina da sola potesse essere efficace e valutare come cambia la
respirazione durante il sonno", ha riferito Thomas Altree, autore
principale della ricerca. Nel corso di uno studio multicentrico,
randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo condotto su 16
soggetti con apnee ostruttive del sonno, i ricercatori hanno valutato
gli effetti di singole dosi di reboxetina rispetto a una combinazione di
reboxetina e ossibutinina o placebo.
I risultati
"I risultati hanno mostrato che la reboxetina da sola può ridurre la gravità delle apnee notturne. Abbiamo scoperto che il farmaco ha ridotto il numero di eventi all'ora e ha anche migliorato i livelli di ossigeno, mentre l'aggiunta di ossibutinina non ha causato ulteriori miglioramenti", ha precisato Altree. "Abbiamo anche utilizzato un metodo di calcolo all'avanguardia per determinare in che modo il farmaco stabilizza la respirazione durante il sonno, il che ci consente di identificare quali pazienti potrebbero beneficiarne maggiormente in futuro", ha concluso.