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Il coronavirus potrebbe essere più sensibile alla luce solare del previsto: lo studio

Salute e Benessere
©Ansa

Confrontando due ricerche sull’efficacia della radiazione solare nell’inattivare il virus, i ricercatori dell'Università Santa Barbara, in California, hanno dimostrato che i raggi Uv-B sono più efficaci e rapidi nel distruggere le particelle virali rispetto a quanto ipotizzato dai modelli teorici. Ciò suggerisce la presenza di altro meccanismo chimico-biologico in gioco, in grado di amplificare l'azione dei raggi del Sole.

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Secondo un nuovo studio condotto da un team di ricercatori dell'Università Santa Barbara, in California, la luce solare potrebbe inattivare il coronavirus Sars-CoV-2 più rapidamente di quanto previsto dai modelli teorici.
Confrontando due ricerche (una sperimentale e una teorica) sull’efficacia della radiazione solare, in particolare degli Uv-B (lunghezza d'onda media tra i 315 e 280 nanometri), nell’inattivare il virus, il team di ricerca ha evidenziato come questi raggi ultravioletti siano fino a otto volte più efficaci e rapidi nel distruggere le particelle virali rispetto ai 10-20 minuti richiesti in base alle stime teoriche. Ciò suggerisce la presenza di altro meccanismo chimico-biologico in gioco, in grado di amplificare l'azione dei raggi del Sole. Ad esempio, i raggi Uv-A (lunghezza d'onda 400–315 nm), un altro componente meno energetico della luce solare, che potrebbe svolgere un ruolo più attivo di quanto si pensasse in precedenza.

Lo studio nel dettaglio

I risultati della nuova analisi, descritti nel dettaglio sulle pagine della rivista specializzata Journal of Infectious Diseases, indicano la necessità di ulteriori studi per testare separatamente gli effetti di specifiche lunghezze d’onda di illuminazione e della composizione del mezzo.
L'ipotesi della presenza di un ulteriore contributo nella luce solare, oltre ai raggi Uv-B, nell’inattivare il virus Sars-Cov-2, è emersa confrontando i dati di uno studio del luglio 2020 (pubblicato sul The Journal of Infectious Diseases) sugli effetti della luce solare simulata, con il modello teorico di Sagripanti e Lytle. "La teoria presume che l'inattivazione funzioni facendo in modo che l'Uv-B colpisca l'RNA del virus, danneggiandolo", ha spiegato Paolo Luzzatto-Fegiz, professore di ingegneria meccanica e autore principale dello studio. "A giudicare dalle discrepanze tra i risultati sperimentali e le previsioni del modello teorico, tuttavia, il team di ricerca ha ritenuto che l'inattivazione dell'RNA da parte di Uv-B "potrebbe non essere l'intera storia"".

Possibili nuove strategie per combattere il virus

“La gente pensa che gli Uv-A non abbiano molto effetto, ma potrebbero interagire con alcune delle molecole del mezzo”, ha precisato Luzzatto-Fegiz, riferendosi alla saliva umana. “Quelle molecole intermedie reattive a loro volta potrebbero interagire con il virus, accelerando l'inattivazione. È un concetto familiare a coloro che lavorano nel trattamento delle acque reflue e in altri campi della scienza ambientale”.
Secondo gli autori dello studio, se la sensibilità a lunghezze d’onda maggiori di Uv-B fosse confermata, si potrebbero mettere a punto nuove strategie "per gestire il coronavirus con radiazioni Uv-A e Uv-B ampiamente disponibili e accessibili". I ricercatori suggeriscono, in particolare, l'utilizzo di lampade a Led Uv-a a basso costo, "che sono più forti della luce solare naturale e che potrebbe accelerare i tempi di inattivazione del virus".

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