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Sclerosi multipla, team italiano scopre le citochine delle forme gravi

Salute e Benessere

Questa scoperta permetterà di personalizzare le cure e di scegliere fin da subito le terapie più efficaci per le persone con una patologia maggiormente aggressiva, incrementando così le probabilità di successo terapeutico

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La lotta alla sclerosi multipla compie un importante passo avanti. Nel corso di un nuovo studio, un gruppo di ricercatori dell’Università di Verona è riuscito a individuare le citochine presenti nel liquido cerebro-spinale dei pazienti affetti dalle forme più gravi della malattia. Questa scoperta permetterà di personalizzare le cure e di scegliere fin da subito le terapie più efficaci per le persone con una patologia maggiormente aggressiva, incrementando così le probabilità di successo terapeutico. Per ottenere questo risultato, gli esperti dell’Università di Verona, coordinati da Massimiliano Calabrese, hanno collaborato con Antonio Scalfari dell’Imperial College di Londra, l’Istituto superiore di sanità (Iss), l’Università di Padova e il Centro Sclerosi Multipla di Brescia. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Annals of Neurology.

 

L’individuazione delle citochine

 

Durante lo studio, i ricercatori hanno seguito per 4 anni 99 pazienti affetti da sclerosi multipla. In questo modo sono riusciti a confermare che la presenza delle citochine, già oggetto di pubblicazione da parte del team guidato da Calabrese nel 2018, caratterizza le forme più aggressive della patologia. “Abbiamo prima identificato alcune molecole infiammatorie “maligne” presenti nel liquido cerebro-spinale, prelevato normalmente per la diagnosi della malattia, dei pazienti affetti da Sclerosi multipla con una forma aggressiva e quindi ad alto rischio di un rapido accumulo di disabilità”, spiega Calabrese. In seguito, gli studiosi hanno elaborato un modello matematico che basandosi sulla presenza o sull’assenza delle citochine è stato in grado di predire con un’accuratezza pari quasi al 90% l’attività della malattia e quindi il grado di disabilità nei quattro anni successivi. “La precisione con cui il nostro modello prevede l’andamento della malattia conferma che le molecole identificate sono quelle corrette e apre la strada alla loro applicazione nella pratica clinica fin da subito”, prosegue Calabrese. “La scoperta permetterà ai neurologi di personalizzare la terapia scegliendo quella più giusta ai fini della diagnosi”, conclude il ricercatore.