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Alzheimer, la proteina tau aiuterebbe a predire l’atrofia cerebrale

Salute e Benessere
Alzheimer (Getty Images)

Al contrario, le placche amiloidi, che sono state al centro della ricerca per decenni, sarebbero meno utili nel prevedere il progresso della patologia. A suggerirlo sono i risultati di un nuovo studio condotto dall’Università della California a San Francisco  

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Secondo un nuovo studio condotto da un team di ricercatori dell’Università della California a San Francisco, nei pazienti affetti da Alzheimer la proteina tau sarebbe in grado di predire in modo affidabile e in anticipo di almeno un anno il rischio di sviluppare l’atrofia cerebrale.
Al contrario, le placche amiloidi, utilizzate negli ultimi decenni dalla ricerca per sviluppare nuovi medicinali potenzialmente in grado di combattere la patologia, sarebbero molto meno utili nel prevedere il progresso dell’Alzheimer e delle patologie ad esse associato.
I risultati dello studio rappresentano un’ulteriore conferma dell’importante ruolo che la proteina tau gioca nella progressione della patologia e dimostrano l’alto potenziale delle recenti tomografie a emissione di positroni a base di tau, potenzialmente in grado di ottimizzare i trattamenti utilizzati per contrastare l'Alzheimer.

Lo studio nel dettaglio

Per compiere lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata Science Translational Medicine, gli esperti hanno sottoposto un campione composto da 32 pazienti affetti da Alzheimer in fase clinica precoce a delle scansioni Pet (le tomografie a emissione di positronisottoposto) utilizzando due diversi traccianti per misurare i livelli di proteina amiloide e di proteina tau presenti nel cervello.
Inoltre, sia all’inizio che al termine dello studio, i partecipanti sono stati sottoposti a delle scansioni MRI, utili per valutare l’integrità strutturale del loro cervello.

I risultati dello studio

I ricercatori hanno così scoperto che i livelli complessivi di tau presenti nel cervello dei partecipanti all’inizio dello studio sono stati utili e particolarmente affidabili per riuscire a predire non solo quanta atrofia ci sarebbe stata, ma anche in che area. Come scritto nelle pagine della rivista specializzata, “i modelli locali di accumulo di tau hanno predetto la successiva atrofia nelle stesse posizioni con una precisione superiore al 40%”. Invece, le scansioni Pet dell'amiloide sono riuscite a prevedere correttamente il futuro sviluppo dell’atrofia cerebrale solo nel 3% dei casi.
"Queste previsioni erano molto più potenti di qualsiasi cosa siamo stati in grado di fare con altri strumenti di diagnostica per immagini e si aggiungono all'evidenza che la tau è una dei principali vettori della malattia", ha spiegato il neurologo Gil Rabinovici, tra i ricercatori che hanno condotto lo studio.