IL LIBRO DELLA SETTIMANA Secondo lo storico Amedeo Feniello siamo diventati un popolo ogni volta che abbiamo avuto a che fare con un nemico, vero o supposto che fosse
Dai Cartaginesi guidati da Annibale alle baraccopoli costruite negli anni Sessanta nelle grandi città il passo è più breve di quanto si possa immaginare. Ne è convinto lo storico Amedeo Feniello in un pamphlet edito da Laterza e significativamente intitolato “I nemici degli italiani” (pp. 114, euro 12). La tesi di Feniello è questa: siamo diventati un popolo e abbiamo riscoperto l’importanza di un’identità ogni volta che abbiamo avuto a che fare con un nemico, vero o supposto che fosse. Per spiegarne le ragioni, Feniello traccia una dozzina di ritratti con uno stile agile e colloquiale. E non è un caso che parta proprio dai Romani, quando questi erano appunto considerati dei “latrones”, dei ladri avidi di ricchezze e cupidi di potere. Prosegue coi cartaginesi e coi goti, passa poi ai longobardi, e giù giù nei secoli arriva fino a piemontesi, austriaci e agli immigrati meridionali confinati nella baraccopoli della grandi città del Nord Italia.
Un minestrone identitario
Il risultato finale, secondo lo storico, è un gran minestrone. Se è vero infatti che ogni volta in cui siamo stati sotto attacco ci sono state violenze e distruzioni (e se è pure vero che ogni volta che gli invasori arrivavano si temeva che fosse giunta la fine) è altrettanto certo che poi però “la vita prevaleva su tutto. E più si combatteva e si odiava, ma anche si sopravviveva e si condivideva, più ci si mischiava, diventando un amalgama da mille sfaccettature”.
Così, trascorsi secoli e millenni, “qualcosa c’è rimasto impigliato in tutti noi Italiani. La forma di uno zigomo, il colore degli occhi o della pelle, la lunghezza di un femore, le mille e mille parole, i gesti, le abitudini, il carattere”.
La definizione di identità? Una chimera
Leggere il pamphlet di Feniello con gli occhi immersi nelle cronache di queste settimane offre molti spunti e qualche tentazione. Di sicuro, però, ci interroga sulla complessità della nostra identità, sulla sua natura e sul suo valore e, soprattutto, su quanto sia difficile rinchiuderla in una definizione univoca e condivisa.