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Italiani senza cittadinanza, chi sono

Politica

Federica De Lillis

Ci sono giovani cresciuti in Italia che lo Stato non riconosce come suoi cittadini. Le storie di Deepika, Ihsane e Valentino raccontano la vita di chi convive ogni giorno con un diritto negato

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"Il mio primo ricordo legato alla cittadinanza risale a quando avevo nove anni ed ero in fila con i miei genitori davanti alla questura. Ero felicissima perché potevo saltare la scuola e mi trovavo in quella avventura con mio padre e mia madre, in un ufficio dove mi sentivo anche un po' importante visto che dovevo fare da interprete speciale". Allo stesso tempo, però, racconta Deepika, oggi ventitreenne, quell’evento "ti segna. Oggi mi ritrovo a chiedermi perché i miei compagni stavano in classe mentre io a quell'ora stavo in fila alle sette del mattino su un marciapiede al freddo?". Quella di Deepika è una storia di lunghe e interminabili attese, speranze deluse, opportunità mancate, una vicenda che interessa oltre un milione di ragazzi e ragazze in questo Paese: "Parliamo di figli di genitori stranieri che sono nati o cresciuti in Italia, che hanno vissuto esclusivamente sotto giurisdizione italiana e che nel Paese dei loro genitori non hanno mai abitato. Dovrebbero essere tecnicamente e, secondo me anche giuridicamente, considerati cittadini italiani", commenta l’avvocato e Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Napoli Hilarry Sedu. Secondo le ultime statistiche disponibili, "in Italia al 1° gennaio 2020 i ragazzi minorenni di seconda generazione in senso stretto (nati in Italia da genitori stranieri) sono oltre 1 milione, il 22,7 per cento dei quali (oltre 228 mila) ha acquisito la cittadinanza italiana". La situazione non cambia molto per gli oltre trecentomila minorenni che sono arrivati nel Paese dopo la nascita, di questi solo il 20% risulta naturalizzato Italiano. Per tutti gli altri c’è una sola strada: la legge n. 91 del 1992. Chi è nato in Italia potrà richiedere la cittadinanza una volta maggiorenne, se ha risieduto legalmente e ininterrottamente nel Paese fino al compimento dei 18 anni; chi, invece, è arrivato in un momento successivo dovrà fare richiesta dimostrando di aver vissuto qui per almeno 10 anni.

Valentino, "un italiano di serie B"

"Sin da bambino ho riempito moduli. Tempo fa bisognava indicare la data di accesso in Italia, il che significa che l’utero di mia madre era la frontiera: io sono nato qui e il mio compleanno , il mio giorno di nascita, è anche il giorno di accesso in Italia. Ho capito poi che la cittadinanza è una concessione non un diritto e questo è stato presto chiaro", racconta Valentino, che oggi ha 35 anni. Ne sono passati diciassette dalla sua prima richiesta di cittadinanza. Nato a Roma da genitori nigeriani, ha trascorso la sua infanzia tra l’Italia e gli Stati Uniti, seguendo il padre e la madre nei loro viaggi di lavoro. La sua prima richiesta, fatta appena raggiunta la maggiore età, è stata respinta perché non riusciva a soddisfare un requisito fondamentale: un reddito non inferiore a 8.300 euro per almeno tre anni consecutivi e precedenti l’invio della domanda. "All’epoca avevo il permesso di soggiorno per motivi di studio e con quello non potevo lavorare legalmente per più di 24 ore settimanali. Era impossibile per me arrivare al minimo statale richiesto e non potevo integrare il mio reddito con quello dei miei genitori, che nel 2000 si sono trasferiti prima in Africa e poi negli Stati Uniti". Dopo la laurea Valentino ha provato ancora. "Mi sono detto 'adesso cerchiamo di risolvere questa situazione burocratica', ma non ho potuto perché dopo la laurea cercavo lavoro, col permesso di soggiorno scaduto per motivi di studio, e nessuno mi voleva assumere. Allo stesso tempo, non potevo fare un nuovo permesso perché non avevo un contratto di lavoro. Mi sono trovato in un limbo". La frustrazione dovuta alla continua mancanza di documenti ha portato il giovane ad abbandonare l’Italia. "Sono andato negli Stati Uniti e dopo un breve iter ho ottenuto la cittadinanza: l’America mi ha offerto quello che l’Italia non poteva offrirmi".

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Mentre Valentino prendeva la difficile scelta di ricominciare in un nuovo Paese, Ihsane, cresciuta in Italia da genitori marocchini, arrivava in questura per depositare la domanda di cittadinanza insieme alla madre. "Era il 2013, io ho seguito l’iter per motivi di residenza, mia madre quella riservata ai coniugi di cittadini italiani, visto che mio padre aveva ottenuto i documenti prima di noi". Si apre qui una voragine nella storia di Ihsane: tutti nella sua famiglia, compresi i fratelli e le sorelle minorenni, come conseguenza diretta, ottengono la cittadinanza; lei, invece, si vede recapitare a casa una lettera: richiesta rigettata. Il motivo? Reddito insufficiente. "Ho dovuto mettere da parte l’università per poter lavorare e raggiungere una determinata soglia, perché vivevo ancora con la mia famiglia, come penso tutti gli altri studenti universitari. Ho messo da parte il mio sogno, infatti, ho 30 anni e devo ancora terminare il mio percorso per diventare avvocato".

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Al sacrificio che ragazzi e ragazze come Ihsane si trovano ad affrontare, si accompagnano enormi spese da affrontare, soprattutto per chi fa richiesta secondo il criterio dei dieci anni di residenza. Un requisito fondamentale, la cui sussistenza va dimostrata raccogliendo tutta una serie di documenti, alcuni dei quali da reperire nel Paese di nascita. "Ci impieghi praticamente un anno a raccogliere quelli che sono i principali documenti richiesti. Specialmente quelli dal paese d'origine che sono per esempio l'atto di nascita e il certificato penale", racconta Deepika, arrivata in Italia dall’India a nove anni, che circa quattro anni fa ha inoltrato la sua prima richiesta. I certificati devono essere poi tradotti e legalizzati nel consolato italiano e la loro validità è limitata a 6 mesi. Le spese da sostenere sono ingenti, tra biglietto aereo e soggiorno, si arrivano a spendere anche più di mille euro. Tuttavia, il tempo, il denaro e la frustrazione sono poco in confronto alle opportunità che, soli nei meandri della burocrazia, i giovani italiani senza cittadinanza perdono negli anni. "Mi ricordo - racconta Deepika - quando non ho fatto il viaggio di maturità con i miei compagni. Loro erano felicissimi di andare per la prima volta all’estero insieme. Io sono rimasta a Verona. Il mio permesso di soggiorno non mi permetteva di andare con loro. Era solo una settimana… Sono rimasta lì, frequentare le lezioni con le altre classi". Mentre i suoi compagni attraversavano le tappe dell’adolescenza, Deepika restava ferma, in attesa. Col tempo, alla rinuncia al viaggio di quinta superiore si è aggiunto il silenzio davanti ai suoi compagni che, compiuti diciotto anni, andavano a ritirare la scheda elettorale per far sentire, per la prima volta, la loro voce nello spazio pubblico. È seguita la delusione di dover rinunciare a due opportunità di viaggio all’estero perché procurarsi i documenti era troppo complicato per una studentessa considerata straniera.

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Una perdita per l’Italia

Deepika controlla ogni settimana lo stato di avanzamento della sua richiesta di cittadinanza, ancora ferma alla prima di sette fasi di valutazione; Ihsane sta raccogliendo di nuovo i documenti per avviare l’iter per la seconda volta; Valentino entra ed esce dall’Italia nel tentativo di sviluppare un progetto musicale, adeguandosi al ritmo dei suoi 90 giorni di permesso concessi per rimanere nel Paese. Ma a perdere, qui, non sono soltanto loro. Secondo l’avvocato Sedu, rendere così difficile ottenere documenti italiani per i giovani richiedenti ha "un impatto stupidamente negativo sull’Italia. La legge stessa obbliga il genitore straniero a mandare i figli a scuola. Questo vuol dire che lo Stato ha investito su di loro, li ha fatti studiare e formare da cittadini italiani. Sono quegli stessi ragazzi che, raggiunti i 18 anni, dovrebbero cominciare a essere produttivi per se stessi e per il Paese" ma è proprio quello il momento in cui l’Italia non riconosce più quei giovani come i propri cittadini.

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