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La doppia partita Colle–Governo e l’incognita Berlusconi

Politica

Andrea Bonini

A pochi giorni dal voto è ancora stallo. Il centrosinistra pronto al dialogo per cercare un nome condiviso se si va oltre Berlusconi. Il leader di Forza Italia resta a Milano, slitta il vertice con i suoi alleati

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A pochissimi giorni dalla prima chiama per eleggere il nuovo capo dello Stato, tutti sono fermi in attesa di capire chi, come e quando, farà davvero la prima mossa. Vertici, riunioni, contro-riunioni in questo momento sono utili per le foto di gruppo, ma premature per un posizionamento vero e proprio.

Perché mai come in questa elezione la corsa al Colle si intreccia -  nel senso più profondo del termine - con la partita per il governo. E non è un modo di dire. Dato per scontato che tutti vogliono proseguire la legislatura, al dilemma se trasferire o no Draghi al Quirinale, si aggiunge ora la volontà dei partiti di entrare con tutti e due i piedi a Palazzo Chigi.

 

Il futuro del governo e del PNRR

La prima tranche dei fondi del PNRR è stata spesa da Draghi e dai suoi ministri “tecnici”, con le forze politiche più spettatrici che protagoniste. Al secondo giro, che cadrà nel pieno della campagna elettorale, questo non dovrà succedere.

Motivo per cui in molti si sono convinti che il trasloco di Draghi sia utile anche per rimettere mano alla pattuglia di governo, posizionando propri uomini nei dicasteri chiave, a cominciare da quelli con il portafoglio.  Perché è ovvio che al netto della retorica sulla necessità di un governo forte e autorevole, non sarebbe proprio possibile smontare l’attuale squadra dopo aver gridato all’inamovibilità di Draghi e alla sua insostituibilità, lasciandolo lì dove è adesso.

Inutile nascondere che il passaggio dalla teoria alla pratica è sempre la parte più difficile. Come e con chi sostituire Draghi resta al momento il problema irrisolto. Ricostruire un equilibrio con partiti strattonati tra correnti multiple e ambizioni personali di mille aspiranti leader è un rebus estremamente complesso.

Ma è chiaro che da qui a quando si farà il presidente scelte e decisioni non riguarderanno – come in passato – solo l’individuazione di un nome autorevole e prestigioso da capo di Stato, bensì l’intero pacchetto che va dal Quirinale al governo, tenendo conto - come dicevamo - anche dei bisogni della campagna elettorale che verrà.

Il ruolo di Berlusconi e del centrodestra

 

Un quadro che spiega perché sino ad oggi tra tutti i partiti si siano registrate solo schermaglie di circostanza, e non una battaglia vera e propria. L’unico che inizialmente forse credeva davvero in una partita esclusivamente presidenziale era Berlusconi che dal canto suo continua a tenere in scacco tanto il centrodestra quanto il centro sinistra nel non dire nulla sulla sua ormai scontata uscita di scena.

Chiuso ad Arcore, rimandando di giorno in giorno il rientro nella capitale, bisognerà capire se il Cavaliere sceglierà di sfilarsi pacificamente, dando la possibilità di far partire quel dialogo trasversale a cui hanno già dato disponibilità Conte, Letta e Speranza o se tenterà di far saltare il banco. Mettendo per esempio il veto su Draghi oppure archiviando l’unità del centro destra indicando lui un terzo nome, bypassando Salvini e la Meloni.

Con un unico scopo: creare il caos e dare forza a chi, anche nel Pd e nei 5 stelle, non vede l’ora di bruciare proprio Mario Draghi. Scenario da brivido, perché se a quel punto fosse Draghi a sfilarsi da tutto, dal Colle e da Palazzo Chigi, il Paese rischierebbe la deriva. Non è di certo un caso che Letta si sia lanciato in un accorato appello sul bisogno di salvaguardare Draghi. Tenendo conto – giocoforza – anche delle sue ambizioni che osservando i silenzi, l’agenda e la girandola di incontri di questi ultimi giorni sembrano ancora orientate verso il Colle.

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