Il fumettista Lorenzo Palloni: "Un autore oggi più che mai deve essere politico"
LifestyleDopo una lunga e prolifica produzione di graphic novel, l'autore di Arezzo ha lanciato la sua prima serie. Un noir ambientato in una La Spezia ucronica che intreccia temi sociali e politici. L'abbiamo intervistato al Lucca Comics, dove era ospite del suo editore Saldapress
È successo un guaio a La Spezia. Tra i vicoli bui e sporchi della città portuale, in una ucronia dai contorni distopici, il terrorismo si incrocia con la malavita, poliziotti corrotti fanno il bello e il cattivo tempo, e una famiglia decisamente particolare, con un cognome altrettanto particolare, i Malocchi, cerca di resistere e fare giustizia a modo suo. Una giustizia che, prima di essere quella tradizionale legata all’applicazione della legge, è sociale. Il nuovo progetto di Lorenzo Palloni, fumettista aretino tra i più prolifici e interessanti d’Italia, è una serie noir pubblicata da Saldapress. Il primo volume (128 pagine in bianco e nero, 18 euro) è già uscito, presentato a Lucca Comics & Games, dove abbiamo incontrato l’autore.
Dopo tanti lavori autoconclusivi, hai fatto una serie. Perché?
Perché ho l'impressione di aver bisogno di una confezione per tante storie e tanti generi che ho in mente. Cioè, io so che dopo tanti anni so gestire i racconti autoconclusivi ma dopo un po' mi annoio a fare le stesse cose. Ho proprio bisogno di affezionarmi a dei personaggi, di affidare loro le mie storie, di farmi portare da loro altre storie. In questo caso poi ho trovato una modalità che è a metà: è una serie ma sono anche libri autoconclusivi. C'è ovviamente una continuità narrativa ma ogni volume deve reggersi sulle sue gambe: il che è una sfida.
A La Spezia ci hai vissuto per diversi anni, ma come mai hai scelto di ambientare qui È successo un guaio?
Un po' perché mi è dispiaciuto andarmene. La Spezia non è una bella città, non ti dà tanto e lo dico anche nel libro, non ti dà cultura, non è accogliente, la Liguria in generale è molto complicata è molto stretta tra questo mare che la città nemmeno ha perché i militari si sono presi tutto, questi monti belli ma angoscianti. E La Spezia è una città che non ha, secondo me, un'epica e mi interessa molto dare epica alle cose che non l'hanno, ai vecchi, i diseredati, quelli su cui si nutrono aspettative basse. Mi piacerebbe fosse la nuova Gotham perché stramba, e in realtà sarebbe accanto al posto più bello del mondo, le cinque terre, ha un golfo incredibile, ma è gestita male ed è piena di contraddizioni criminali, ha una comunità sudamericana fortissima e questo la rende anche molto esotica.
Dicevi che ti è dispiaciuto andartene.
Un po’, ma non potevo fare diversamente perché ero veramente al limite, cercavo qualcosa di un po' diverso dalla vita e sono andato a Torino, cosa che impatterà secondo me anche nei prossimi libri della serie perché voglio inserire in ciò che racconto qualcosa di biografico come ho fatto finora.
Una delle cose che mi hanno colpito è che La Spezia non è solo lo sfondo delle vicende, cioè l'ho vista proprio come un personaggio della storia, come Basin City o, come dicevi tu, Gotham.
Nel seriale e nel noir il luogo deve essere sempre in relazione coi personaggi in maniera molto forte, è proprio un topos un topos letterario. In particolare, queste persone sono prigioniere di questa città, sembra che non riescano ad andarsene anche se vogliano, non è detto che non ce la facciano però voglio che sia appunto una specie di prigione, volevo che la relazione fra la città e i personaggi fosse tossica.
Dopo la splendida bicromia di Burn Baby Burn, in questo caso hai scelto il bianco e il nero come mai?
Allora, la risposta giusta sarebbe perché un po' lo chiamava il genere. L'idea tecnica è che ogni pagina è divisa a metà, come se fosse il nero italiano dei tempi, alla Diabolik, con la famosa gabbia però modulata. E un po' mi viene da dire che chi legge Bonelli può trovare quel pop italiano in chiave un po' più contemporanea, con dei messaggi e dei ragionamenti contemporanei, con dei pensieri sulla nostra storia presente e da poco passata. Un pop italiano, un mainstream, un linguaggio non uguale a quello di Dylan Dog o Tex ma col messaggio al lettore che siamo in questo campo da gioco e vediamo se possiamo fare qualcosa di un pochino più fresco.
Come Burn Baby Burn è a suo modo anche Isole, anche È successo un guaio è un fumetto profondamente politico, lo dico proprio nel senso più nobile che il termine possa avere. Stai vivendo una fase della tua carriera in cui senti l'esigenza di scrivere qualcosa di socialmente impegnato?
Pasolini diceva che quando un artista non è politico non è niente, e sono abbastanza d'accordo, soprattutto per quello che ho vissuto negli ultimi anni. Mi ha cambiato tantissimo l'esperienza de La Revuè, perché io prima non decodificavo la realtà in maniera critica sensata. Una volta che scopri dei meccanismi di narrazione e di come ti raccontano la realtà, sai anche come difenderti da quei meccanismi, di conseguenza capisci che è ora necessario più che mai che un autore sia politico. Siamo in un momento storico devastante, dove i fasci sono al potere, dove evidentemente l'ignoranza diffusa dipende da un sacco di fattori che sono la distruzione completa del nostro sistema scolastico dagli anni ‘70 ad oggi e una distrazione costante grazie a meccanismi come i telefoni, ed è veramente un momento in cui tante dinamiche portano a una necessità politica dell'autore. È successo un guaio doveva essere molto semplice, molto efficace, quindi i cattivoni sono sbirri corrotti, neonazisti, poi magari nei prossimi volumi quando avrò un pochino più di spazio dopo aver presentato i personaggi, potrò fare personaggi più sfumati, sempre politici perché veramente ogni volume lo sarà, tutti e tre i personaggi principali hanno un background politico importante e questa cosa impatterà su qualsiasi scelta faranno, anche sulla scelta di stare insieme perché non è scontato che tre fratelli siano tutti della stessa idea politica. Sono in un momento in un momento di necessità di portare all'attenzione delle evidenze che tanti sembrano non cogliere, poi magari va nel nulla però io almeno lo devo provare a fare.
Sono particolarmente curioso di sapere di più dei personaggi e del loro background. In particolare su quello di Kris.
Kris è una specie di Stefano Cucchi che ce l'ha fatta: cosa farebbe oggi se fosse sopravvissuto? Combatterebbe contro un'ingiustizia costante o si arrenderebbe? Come personaggio mi viene da dire che ha un passato molto semplice, è un ragazzo di sinistra che partecipava alle manifestazioni e poi è stato pestato da due poliziotti corrotti. Questa cosa ha impattato sulla vita di Dami, una ragazza trans che prima faceva il poliziotto, e su Joe, che in realtà non l'abbiamo detto nel primo libro ma è andata in Kurdistan a combattere ed è tornata con un know-how di lotta anticapitalista importante. I tre passati di personaggi sono legati.
Uno degli aspetti più interessanti del tuo lavoro è la costruzione della tavola il modo in cui gestisci il tempo. In Burn Baby Burn forse tocchi il livello più alto da questo punto di vista. Come lavori su questo aspetto? Quanto tempo ti porta via?
La maggior parte, finché non è dosato al massimo, devo sapere esattamente dove sta andando a parare la sequenza. In realtà in generale è più importante la foresta che l'albero, ovvero l'insieme della storia, perché altrimenti il lettore non coglie il messaggio. Poi viene ogni singola pagina, che deve avere dei meccanismi intrinsechi precisi delicati, ed è vero che a volte, per esempio, secondo me mi faccio prendere un po' troppo dal grande e mi dimentico parti del piccolo, però il piacere personale è quello di ingabbiare il tempo. Sicuramente ho delle problematiche di controllo nella mia vita, in generale ho proprio bisogno di controllare le cose, per questo per esempio mi fanno pura le droghe. Il valore del tempo all'interno del fumetto, il sapere che puoi decostruirlo che puoi ingabbiarlo che puoi distorcerlo, è mega interessante e io passo la maggior parte del tempo a capire come utilizzarlo al servizio di una storia in maniera creativa. In realtà tutto il tempo che passi sul tempo è fondamentale perché porta al lettore un interesse maggiore, a creare nella sua mente una sequenza che veramente sia stimolante. In Saldapress mi trovo bene perché quasi tutti i fumetti che fanno sono stimolanti, fa fumetti pop ma anche d'autore contemporaneamente. Guarda Daniel Warren Johnson che fa i Transformers: lì il tempo è usato in maniera magistrale.
Nella tua carriera, che è molto molto prolifica, hai giocato con tanti generi: young adult, spy, avventura, fantascienza… Però mi pari particolarmente a tuo agio proprio con il noir. Da dove nasce la passione per questo genere?
Da quando ero bambino, a sei anni, quando mia mamma non non voleva farmi leggere fumetti perché secondo lei erano troppo violenti, ma da maestra di elementari voleva che leggessi e, siccome i libri per bambini non mi interessavano ma guardavo i film di 007 alla televisione, iniziò a regalarmi i libri di Ian Fleming. E così io a sei anni leggevo di sesso, sparatorie, esplosioni. Così da Fleming sono passato a Chandler, e mi piaceva il fatto che la fine fosse sempre vera perché contraddittoria: i finali di Ian Fleming sono sempre diversi da quelli dei film di 007, finiscono tutti male, con un cliffhanger in cui Bond può morire come no, e questa cosa mi lasciava così sconvolto perché in realtà la vita è effettivamente un qualcosa che non va mai dove ti aspetti e soprattutto non è consolatoria. E questo è anche il motivo per cui ho fatto un Dylan Dog Color Fest, Recchioni mi contattò perché a Sclavi piaceva il fatto che fossi cresciuto con Fleming e che in virtù di questo avessi dei finali che fossero contraddittori, cattivi, scuri a volte ambigui ma mai consolatori. Ed è per questo che il noir è la cosa che per me si avvicina di più alla vita.
Una cosa che mi è sempre venuta da pensare è che si tratta di un genere tanto di nicchia per molti medium, nel fumetto invece va benissimo. Perché secondo te il fumetto sembra il medium perfetto per veicolare questo genere?
Questa domanda è tosta. Il noir è prima di tutto sociale, ed essendo sociale deve avere un rapporto con la realtà o quella realtà, cioè la realtà del fumetto, della storia che stai raccontando. Di conseguenza l'immagine ha un potere evocativo ovviamente infinito rispetto alla parola. Penso al noir per eccellenza, che è Sin City: uno dei pochi noir che ha alla base il concetto che in un mondo che non è per niente in bianco e nero vediamo tutto in bianco e nero. Il fumetto abbraccia l'immagine ma soprattutto la respinge, puoi raccontare nella stessa storia quello che stai vedendo ma anche il contrario di quello che stai vedendo, un mondo in bianco e nero dove in realtà non c'è bianco e nero. Ho l'impressione che il noir permetta agli scrittori e agli autori di poter raccontare meglio le contraddizioni visive dell'essere all'interno di qualcosa di sociale, perché il noir può essere anche più privato alla Simenon ma è comunque all'interno di un concetto sociale, che sia storico o meno. Possono esserci dei noir ambientati nel western, dei noir ambientati nel medioevo, ma comunque hanno sempre un qualcosa di potente, amplificato grazie all'immagine.
Tu sei un autore unico però spesso ti sei fatto affiancare da disegnatori. Quali sono le differenze tra il Palloni sceneggiatore e il Palloni autore unico? Il Palloni sceneggiatore è uno di quelli che lasciano tanta libertà al disegnatore o no?
Il Palloni autore unico è molto pigro. So che sembra strano ho detto da uno che fa un sacco di libri ma automaticamente la mia testa cerca di trovare delle scorciatoie per lavorare il meno possibile, e ogni volta devo frenare la tendenza che ho a tagliare le curve per arrivare al finale, anche perché mi piacciono molto più i finali che gli inizi. E se il Palloni autore unico è molto veloce e affamato, da sceneggiatore il mio obiettivo è mettere a proprio agio il disegnatore al punto tale che si diverta, anche perché se non si diverte il disegnatore il fumetto fa schifo. Quello di cui sono contento è che tutte le persone con cui ho lavorato sono mie amiche, vogliono lavorare di nuovo con me, si sono divertite. Ed è molto semplice, in realtà basta non imporsi: tantissimi sceneggiatori pensano che i disegnatori sono una stampante, scrivono questi papiri di descrizioni che non hanno senso se non sei Alan Moore, anzi, per me non hanno senso nemmeno se sei Alan Moore, perché così non è un gioco, non si diverte il disegnatore e di conseguenza non si diverte neanche il lettore.
Come lavori coi disegnatori?
Faccio prima dei briefing con loro e gli chiedo come vogliano che io scriva la sceneggiatura. A Miguel Vila, per Fortezza Volante, ho scritto in un modo, ad Alessandra Marsili per L’Ignobile Sherman in un modo completamente diverso, ogni disegnatore che ho è una sceneggiatura differente, è un approccio differente. Se non li metti a loro agio è finita.
Oltre ai tantissimi impegni d'autore, sei anche editore di progetti a cui tieni molto come Mammaiuto, La Revue Dessinée Italia. Come vivi questo aspetto del tuo lavoro?
Fino all'inizio di settembre male: mi ha fatto cambiare completamente l'approccio sulla realtà, mi ha migliorato secondo me anche come fumettista e come persona, sono molto più consapevole di tante cose, ma fino a inizio settembre La Revue Dessinée Italia era una mia azienda, ero editore, ed è stato pesante che tutto fosse sulle spalle di quattro persone, me e i miei tre soci, metà della mia giornata andava per La Revue a costo zero è stato un investimento. Poi abbiamo venduto a Fandango e siamo diventati una rivista Fandango a partire dal numero 11 di dicembre, non ci chiamiamo più La Revue Dessinée Italia ma La Revue, perché volevamo anche distaccarci dalla Francia e volevamo fare una cosa che fosse nostra. Ora faccio il lavoro di consulente editoriale per Fandango, sono pagato per questo, sono più tranquillo e riesco a fare di nuovo anche fumetti per Mammaiuto, la mia autoproduzione che da tanti anni in attivo.
Qual è il tuo prossimo progetto?
Si chiama Il premio, disegnato tutto a pennello da me e scritto da Samuel Daveti, anche quello ambientato a La Spezia ma non c’entra niente con È successo un guaio. Un altro noir molto sociale, meno politico, uscirà a Lucca l’anno prossimo per Mammaiuto.