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Pnrr, l'Italia rischia una multa da 362 milioni di euro per ogni ritardo

Economia

Lorenzo Borga

La Commissione avverte: rischi crescenti di ritardo. Se l'Italia mancherà gli obiettivi si rischia una "multa" di oltre 360 milioni di euro per ogni progetto in ritardo. LO SKYWALL

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Mentre la terza rata dopo quasi cinque mesi ancora non è stata sbloccata, già inizia a preoccupare la quarta. Vale 16 miliardi di euro, e verrà corrisposta al nostro Paese se sarà in grado di raggiungere i 27 obiettivi stabiliti nel Pnrr (LO SPECIALE DI SKY TG24). Tra questi ci sono il complemento della riforma del processo civile e penale e l'entrata in vigore del nuovo codice degli appalti - già raggiunti - ma anche obiettivi ancora lontani, come l'aggiudicazione degli appalti per il rinnovo dei treni regionali e quelli per la costruzione di nuovi asili nido.

"Concreto rischio di riduzione del contributo"

Per di più, su alcuni obiettivi la cui scadenza era fissata a fine marzo, già sappiamo che si sono verificati ritardi. La filiera dell'idrogeno ha messo in difficoltà il governo, che ha accumulato ritardi sull'aggiudicazione degli appalti per la costruzione di almeno 40 nuovi distributori per auto (sono arrivate proposte per sole 35 stazioni di rifornimento), per la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse (la regione Sicilia ha approvato i progetti con due mesi di ritardo) e pure per la sperimentazione in processi industriali che oggi utilizzano metano (la raccolta di proposte è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale solo il 28 marzo). E anche l'installazione di colonnine elettriche appare in ritardo sui tempi. Tanto che la Corte dei Conti ha messo in guardia sul "concreto rischio di riduzione del contributo finanziario messo a disposizione dall’Ue".

Italia già in ritardo

Secondo il monitoraggio indipendente di Openpolis, delle 12 scadenze previste per fine marzo, 7 sono state raggiunte oltre i tempi previsti. Con numeri come questi, l'Italia rischia di vedersi tagliato il contributo europeo. Tanto che la Commissione europea ha accertato "crescenti rischi di ritardi nell'attuazione del piano", un commento non presente nelle raccomandazioni inviate a Spagna, Portogallo e Grecia.

I soldi persi in caso di ritardo

Nel caso l'Italia venisse riconosciuta in ritardo dai tecnici della Commissione europea rischierebbe di perdere una parte consistente dei fondi previsti nel Pnrr. Il contributo finanziario verrebbe immediatamente sospeso, poi sarebbe il turno del governo presentare le proprie osservazioni e accelerare per conseguire il raggiungimento dei traguardi previsti. In caso contrario, i fondi verrebbero decurtati.

 

L'unico caso in ciò è accaduto, per ora, è la Lituania. Vilnius ha visto tagliati i propri fondi europei per 23 milioni di euro per il mancato raggiungimento di due target sulla riforma fiscale. La Commissione europea ha spiegato che per valutare l'importo da tagliare vanno presi in considerazione il finanziamento totale del piano (191 miliardi per l'Italia) e il numero di obiettivi previsti (527). Si tratterebbe dunque di circa 362 milioni di euro per ogni traguardo mancato.

La cifra può variare se si tratta di investimenti coperti da sussidi o prestiti, e potrebbe essere eventualmente incrementata se l'obiettivo in questione fosse particolarmente rilevante e costoso, o al contrario abbassata. Verrebbero presi in considerazione anche i progressi compiuti dal paese e se si tratta o meno solo di uno step intermedio.

Commissione Ue: cambiate il piano prima di chiedere i soldi

Per evitare di arrivare a questo punto, la Commissione spinge i paesi membri a modificare i propri piani prima di richiedere i soldi. In questo modo si potrebbero eliminare i progetti che hanno accumulato i maggiori ritardi. Gli Stati dovranno d'altronde aggiornare i propri Pnrr a prescindere, per aggiungere il capitolo dedicato all'energia previsto da RepowerEU. Ecco perché la maggior parte delle capitali - tra cui Madrid, Lisbona e Bucarest - non hanno ancora inviato le ultime rate di pagamento, in attesa di ultimare le modifiche da richiedere a Bruxelles. Un passo già compiuto invece dalla Francia, che ha chiesto di eliminare sei investimenti per via dell'elevata inflazione e della riduzione dei sussidi previsti.