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Perché l'Ue vuole colpire il petrolio russo invece che il gas: lo Skywall

Economia

Lorenzo Borga

©Getty

Sostituire il petrolio russo potrebbe essere più semplice che bloccare il gas naturale. Ma il rischio è un rincaro globale ulteriore dell'energia. Lo Skywall

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La proposta della Commissione europea di bloccare le importazioni del petrolio russo, se confermata dagli stati membri, potrebbe fare molto male all'economia russa. Differentemente da quanto si tende a pensare, il petrolio per Mosca rappresenta un ricavo decisamente maggiore che il gas naturale. Secondo i dati del Ministero dell'economia russo, dal primo (contando anche i relativi prodotti raffinati, come diesel e plastica) Mosca ha incassato l'anno scorso quasi 180 miliardi di dollari. Mentre dal gas naturale i ricavi sono ammontati a circa un terzo. Numeri che varieranno al rialzo quest'anno, ma che nelle proporzioni dovrebbero rimanere pressoché invariati.

Perché Bruxelles vuole partire dal petrolio

Allo stesso tempo per Bruxelles sostituire il petrolio russo è più semplice che raggiungere lo stesso risultato con il gas. Il greggio viene infatti trasportato soprattutto via nave, e non con gasdotti che inevitabilmente limitano la flessibilità degli scambi.

La posizione Gps delle petroliere - 04/05/2022 - @Marinetraffic

Rischio rincaro globale

D'altra parte però la facilità di scambiarsi il petrolio rende il mercato del greggio globale, con un prezzo molto simile in tutto il mondo. Ecco perché per l'Ue il problema da affrontare con un embargo russo potrebbe riguardare più il prezzo che i volumi di petrolio. Ridurre l'offerta globale potrebbe causare un rialzo dei prezzi in tutto il mondo, visto che secondo l'Opec la produzione russa non può essere sostituita in tempi brevi. Con l'effetto indesiderato che Mosca potrebbe sì vendere meno petrolio, ma a prezzi più alti, riducendo dunque le mancate entrate.

Ue meno dipendente che dal gas russo

Concentrandoci sui volumi, l'Unione europea è meno dipendente del petrolio russo rispetto al gas naturale. La media - tra greggio e prodotti raffinati - era del 22 per cento nel 2020 secondo i dati Eurostat. La Germania era poco sopra la media - il 29 per cento - mentre Italia e Francia si trovavano sotto. I paesi dell'Est Europea sono invece tra i più vulnerabili, in particolare Slovacchia e Ungheria che sono collegate alla Russia da oleodotti.

Le "auto-sanzioni" occidentali

Queste percentuali sono già state ridotte nei primi mesi del 2022. Le aziende energetiche occidentali hanno infatti già ridotto gli acquisti di petrolio russo, anche in assenza di embarghi Ue, per timore di ricadute reputazionali e di sanzioni. Ecco perché la stessa Russia ha previsto - già prima della proposta della Commissione Ue - una produzione di greggio nel 2022 ridotta del 17 per cento rispetto all'anno prima.

 

Chi continua ad acquistare petrolio russo - paesi europei come Germania e Grecia, ma anche India e Cina - lo sta intanto facendo a prezzi molto vantaggiosi. Il petrolio russo ha infatti sempre meno mercato e gli acquirenti possono contrattare listini più bassi. La differenza delle quotazioni dell'Urals, il petrolio russo, e del Wti, il prezzo americano, si è allargata via via dopo l'invasione russa.

C'è petrolio e petrolio

Le difficoltà di sostituire il petrolio russo per l'Ue non si fermano però a prezzi e volumi. Le raffinerie del continente non possono infatti utilizzare qualunque tipo di greggio per produrre i raffinati, come il diesel. Di petrolio ce ne sono più tipi, pesanti o leggeri.

 

Caso interessante è per esempio quello di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. Qui si trova una delle più importanti raffinerie in Italia, di proprietà di Lukoil, il gigante russo del petrolio. Se l'embargo sarà confermato, qui dovrà arrivare greggio alternativo a quello russo per salvare il posto di lavoro dei 3.500 dipendenti e non procurare problemi di fornitura alla Sicilia, i cui distributori di benzina dipendono proprio da questa raffineria.