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Il legno dei barconi dei migranti per costruire i pupi

Cronaca

Raffaella Daino

Tra Lampedusa e Palermo da due artisti nasce l'idea di realizzare i tradizionali pupi siciliani utilizzando il legno dei barconi con cui i migranti affrontano la traversata e di confezionare gli abiti con gli indumenti e le stoffe abbandonati dopo l’approdo. L’obiettivo è raccontare il fenomeno migratorio a partire dalle sue origini e spiegandone le motivazioni, mettendo in scena le storie e i drammi dei migranti attraverso la poesia e la creatività di una delle forme espressive più antiche della Sicilia

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Ci sono volute settimane di lavoro per trasformare il durissimo legno con cui sono costruite le barche e i pescherecci in pupi. Le prime marionette del tradizionale teatro dei pupi sono pronte ma si continua a lavorare alacremente nel laboratorio attiguo al teatro Carlo Magno, nel centro storico di Palermo, dove Enzo Mancuso ha scelto di tenere viva l’attività avviata dalla sua famiglia quasi un secolo fa e ha visto impegnati il nonno, gli zii, il padre e che ora lui sta tramandando al figlio; l'opera dei pupi, dichiarata dall'Unesco capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell'umanità nel 2001.

Accanto ai pupi che vestono i panni degli antichi paladini e che narrano le gesta delle storie derivate dalla letteratura epico-cavalleresca di origine medievale, dalle sapienti mani artigiane del Maestro puparo Enzo Mancuso, del suo collaboratore Antonino Guarino e del poliedrico artista, cantautore e attivista lampedusano Giacomo Sferlazzo, ecco prendere forma i nuovi personaggi; Amed, giovane tunisino che arriva a Lampedusa con un barcone, e la madre, che spera nel suo ritorno e lo attende a casa. 

Se le marionette sono realizzate con il legno delle barche, gli abiti sono stati cuciti con le stoffe e gli indumenti trovati sui barconi ammassati nelle discariche dopo l’approdo. Un attento e appassionato lavoro di recupero che a Lampedusa i ragazzi della associazione Askavusa hanno portato avanti per anni e che Giacomo Sferlazzo ha custodito dando vita ad un piccolo museo ricavato nella roccia che si affaccia sul porto dell’isola, la sua isola. A Porto M c’è una grotta in cui è possibile visitare l’esposizione degli oggetti dei migranti raccolti dalle barche, c’è uno spazio in cui sorge una piccola biblioteca per bambini e poi c’è un palco in cui Sferlazzo mette in scena spettacoli con musica, recitazione e i classici “cunti” i racconti popolari in cui narra l’origine dell’isola tra storia e leggenda. E’ nata qui la sua passione per il teatro popolare, dal recupero di alcuni antichi e malandati pupi che ha restaurato insieme con il maestro puparo Enzo Mancuso e riportato a nuova vita. E turisti e visitatori di Lampedusa a Porto M accorrono sempre numerosi , incuriositi dalle storie messe in scena e ammaliati dalla capacità di questo artista di raccontare, descrivere, coinvolgere il pubblico nella narrazione. 

Ora approda a Palermo l’idea di uno spettacolo che metta in scena tradizione popolare e racconto delle migrazioni, alleggerendo la narrazione con la poesia e il “cunto” ma puntando dritto al cuore del problema, risalendo alle origini del fenomeno “per capire le cause e analizzare le conseguenze” – dice Giacomo Sferlazzo – “cosa spinge  centinaia di migliaia di persone a fuggire via mare lungo la rotta migratoria più pericolosa al mondo rischiando la vita in quello che è diventato un enorme cimitero di senza nome, e per quali ragioni non possono invece avere canali di accesso regolari e muoversi in aereo o in nave come tutti i cittadini del mondo occidentale. Mettendo insieme storia, poetica e politica racconteremo la storia di un ragazzo tunisino, Amed, partito dalla regione delle miniere in Tunisia nel 2009,  arrivato a Lampedusa, poi trasferito in Sicilia e infine tornato in Tunisia dove divampa la rivoluzione. Tenteremo di raccontare non solo le cause che hanno spinto Amed a partire e rischiare la vita in mare ma anche la separazione dalla madre e dalla sua terra, la permanenza all’hotspot di Lampedusa, lo sfruttamento sul lavoro e la scoperta delle connessioni storiche tra Lampedusa e la Tunisia e altre cose che sveleremo in teatro”.

Enzo Mancuso ha accolto con entusiasmo l’idea di mettere in scena le storie e i drammi delle persone migranti. “Abbiamo scelto di mantenere grezzo il legno delle barche con cui abbiamo realizzato i pupi, per lasciare intatto l’impatto visivo – dice Mancuso -  e rafforzare il messaggio. Far capire quanto doloroso e rischioso è ogni viaggio, che nessuno affronterebbe se avesse un’alternativa e se potesse restare nel proprio paese e soprattutto sottolineare il fatto che i migranti sono costretti a fuggire da guerre che non sono mai i popoli ma i potenti a dichiarare e provocare. 

 

"Speriamo di mettere in scena questo spettacolo nel maggio del 2024" dice Mancuso - "ma per portare a termine il lavoro ci sono molte spese da coprire e per questo è stata promossa una raccolta fondi, per avere il sostegno economico necessario a produrre i pupi, gli scenari, il cartellone da cantastorie e le altre spese che dobbiamo affrontare per realizzare questa impresa”.

Chi volesse dare un contributo può farlo all’Associazione culturale I figli di Abele.

Contatti sulla pagina https://www.facebook.com/IfiglidiAbele/