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Appalti, sparisce il "bollino rosa" per le imprese. Allarme parità di genere

Cronaca

Monica Peruzzi

©IPA/Fotogramma

Dalla bozza della riforma del Codice esce la certificazione di parità di genere. Le associazioni femministe all’attacco: "Passo indietro per le donne inaccettabile"

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Potremmo chiamarla “la scomparsa del bollino rosa”, questa pagina politica accesa dalla protesta delle associazioni femministe e dell’opposizione, contro il governo, colpevole di aver cancellato l’articolo 46-bis del codice per le pari opportunità, come riferimento esplicito ai fini della premialità nelle gare per gli appalti. Quel bollino rosa conteneva una misura potentissima, per le donne: un requisito aggiuntivo e premiale per le aziende che rispettano alcune regole già definite alla fine del 2021 con la Legge 162 che, nel modificare il Codice Pari Opportunità (DLgs 198/2006), aveva introdotto la Certificazione di Parità di Genere (art. 4 della L.162/2021 che introduce l’art. 46-bis nel Codice Pari Opportunità). In buona sostanza: se dimostri che lavori nella direzione di un mondo più uguale, avrai dei vantaggi nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.

L’uovo di Colombo, potremmo dire. Un modo per iniziare un percorso virtuoso per tutti. Negli ultimi 2 anni, su questo fronte, sono stati fatti importanti passi avanti, grazie anche al pressing delle organizzazioni femminili e femministe, di giuriste, economiste, donne e uomini del mondo delle istituzioni, esperte ed esperti sulla parità di genere.

La misura che si sta discutendo in commissione alla Camera e al Senato, negli articoli 106 e 61, non cita l’articolo 46-bis, anche se sono comunque previsti, ai fini delle gare, riferimenti alla partità di genere e alla sua promozione e alla parità generazionale. Troppo poco, secondo le attiviste e le parlamentari dell’opposizione. “E’ così sbagliato chiedere alle imprese affidatarie di lavori pubblici di compiere passi in avanti verso un cammino comune e ben delineato dal Next Generation Eu?” si chiedono le firmatarie di questa protesta. Certo, il Paese è indietro sulla certificazione di parità di genere. Molto. Troppo. Tante imprese italiane non siano in grado di soddisfare i requisiti richiesti e non possono rientrare nel meccanismo premiale.

La rabbia di associazioni ed esperte: "Non possiamo tornare indietro"

Ma - e questo è il punto su cui insistono associazioni, esperte e parlamentari - questo è il momento di svolta decisivo. “Tornare indietro significa piombare nuovamente alle “donne come varie ed eventuali” e non come maggioranza della popolazione, esclusa dal mercato del lavoro per assenza di politiche corrette e per un mercato poco equo sul fronte della concorrenza. Senza contare che nel testo in discussione le donne tornano a essere definite e considerate soggetti “svantaggiati” da “includere” parimenti ad altre minoranze e categorie protette”: inaccettabile dal punto di vista delle donne!” spiegano. 
“Anche negli appalti pubblici il capitale umano femminile, sebbene presente ancora in quantità minore in settori come le costruzioni, l'energia, i trasporti, il digitale, è una risorsa imprescindibile per la crescita del Paese e per le sue imprese”.
Il percorso non è semplice, dicevamo, ma decisivo. Ma per andare incontro alle aziende esiste già un sistema di deroghe. Se la domanda pubblica chiede soglie minime cui le imprese non riescono ad adeguarsi rapidamente, pur di non rallentare l’iter del PNRR, si possono invocare clausole di urgenza per alleggerire a monte obblighi complessi da ottemperare in situazioni complesse. E’ tutto già previsto nelle linee guida propedeutiche alla norma sulla certificazione. Potrebbe essere applicato anche nel nuovo codice degli appalti. Senza perdere di vista l’orizzonte di un Paese che valorizzi, finalmente, la metà della sua popolazione.

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