Per l’industria della panificazione e della pasticceria la guerra in Ucraina è un duro colpo che si aggiunge alla tendenza negativa dello scorso anno. L’ emergenza mondiale colpisce l’Italia che importa il 64% del proprio fabbisogno di grano tenero per la produzione di pane e biscotti e bakery in generale
Non solo grano ma anche burro, olio di semi di girasole, costo dell’energia e del trasporto. Per l’industria della panificazione e della pasticceria la guerra in Ucraina è un duro colpo che si aggiunge alla tendenza negativa dello scorso anno. L’ emergenza mondiale colpisce l’Italia che importa il 64% del proprio fabbisogno di grano tenero per la produzione di pane e biscotti e bakery in generale.
Il raddoppio del costo di buona parte delle materie prime e la difficoltà di approvvigionamento, si traducono inevitabilmente in un aumento dei prezzi per il consumatore.
“Per il grano tenero” spiega Filippo Ceffoli, direttore generale del Gruppo Vicenzi “stiamo parlando di incrementi rispetto a due anni da di quasi il 100%. Solo nelle ultime settimane del 50%. Tutti gli oli vegetali sono schizzati alle stelle con prezzi quai triplicati e oltretutto è introvabile”.
La carenza di materie prime ha fatto sì che le industrie corressero ai ripari.
“Noi” racconta ancora Ceffoli “siamo dovuti intervenire sulle ricette, proprio perché la mancanza di materia prima ci ha imposto delle soluzioni alternative con altri oli vegetali”.
Il corridoio umanitario aperto dalla Russia nel porto di Mariupol ha consentito lo stoccaggio di 19.4 milioni di tonnellate di grano, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione. Una buona notizia anche per l’Italia che dall’Ucraina acquista il 2,7% delle importazioni di grano tenero per la panificazione. Russia e Ucraina rappresentano insieme circa il 28% delle forniture mondiali di grano.
“Non abbiamo l’idea di quanto saranno i prezzi di domani” interviene il presidente del Gruppo Vicenzi, Giuseppe Vicenzi, “perché ogni settimana sentendo i fornitori ti dicono: il prodotto non ce n’è e se c’è costa tot di più. E non ci sono alternative”.
Anche per il consumatore finale le alternative sono poche. Infatti, nonostante parte dei costi siano stati assorbiti dai produttori e dalla grande distribuzione, gli aumenti si aggirano attorno al 30% su tutto il comparto.