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Sofia, detenuta che lavora in un bistrot: “Così ricomincio a vivere"

Cronaca

di Gaia Bozza

Sta scontando la sua pena nel carcere femminile di Pozzuoli,in provincia di Napoli, e ha iniziato a lavorare nel bistrot gestito dalla cooperativa sociale "Lazzarelle", che produce caffè in carcere e lo vende: "Per me è cominciare a camminare di nuovo sulle mie gambe", racconta a a Sky TG24 . Quest'anno i prodotti della cooperativa entrano a far parte del "Pacco alla camorra", iniziativa antimafia 

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E’ una donna che chiameremo Sofia, ha circa quarant’anni, ci racconta che non aveva nulla a che fare con i reati prima dell’8 Novembre 2019. Da quel giorno la sua vita cambia, si aprono le porte del carcere femminile di Pozzuoli. E Sofia sperimenta il dolore della linea che divide il “dentro” e il “fuori”.

«Prima sono stata scaraventata dentro ed è un'esperienza dolorosa, dovendomi separare da chi amo, sentendomi deprivata di me stessa nella condizione di detenuta. Ho perso anche una persona molto cara per il covid e l’ho saputo dopo, solo in occasione di un permesso, perché i miei familiari temevano per la mia reazione. Oggi sto provando l’essere scaraventata da "dentro" a "fuori", ed è una sensazione bella ma non riesco ancora a consapevolizzare. E’ successo tutto in fretta». Come si siano aperte le porte del carcere non ce lo dice, e non glielo chiediamo. In fondo non è il centro della storia.

La cooperativa Lazzarelle produce e vende il caffè fatto in carcere

Ma cosa è successo «in fretta», come racconta Sofia? In qualche giorno è nata la possibilità di usufruire della semilibertà e poter lavorare all’esterno delle mura del carcere con la cooperativa che, dentro e ormai anche fuori dal carcere, impiega tante donne dando loro un lavoro vero e una formazione. Si chiama cooperativa “Lazzarelle”. La “Lazzarella”, in una celebre canzone di Domenico Modugno, era una adolescente libera, allegra e spensierata e con questo nome Imma Carpiniello, che gestisce la cooperativa, ha scelto di riunire donne intorno a un unico progetto, quello del lavoro dentro e fuori dal carcere. «Prima è arrivata la torrefazione – racconta -  produciamo caffè nell’istituto di pena di Pozzuoli, poi da qualche tempo è arrivato anche il bistrot che gestiamo nel centro storico di Napoli». Ed è qui che Sofia si è trovata in pochi giorni: grazie al regime di semilibertà e all’occasione di lavoro, la sua vita si è improvvisamente riempita di nuovo di persone e spazi.

Quello che più colpisce di questo incontro con lei è la sua assoluta necessità di non vivere con un marchio appiccicato addosso: quello della detenuta: «Una persona che finisce in carcere ha bisogno di non sentirsi addosso un’etichetta – si sfoga – Io non mi fermerò, certo non sarà questa esperienza che finirà tra quasi tre anni a distogliermi dai miei obiettivi, dai miei progetti che sono tanti. Io così sto cominciando di nuovo a camminare, come qualcuno che sia stato fermo tanto tempo e ora prova a fare i primi passi».

Quanti sono i semiliberi in Italia

Secondo l’ultimo rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, nel 2020 il numero dei semiliberi è passato da un trend in relativa crescita nel triennio fino al 2019 a una forte battuta d’arresto. Si è passati da 807 persone nel 2019 a 732 nel giugno 2020. Si tratta, comunque, di numeri molto piccoli rispetto alla popolazione carceraria italiana che conta 54.307 detenuti. La maggior parte delle occasioni, rileva l’Associazione, non è di lavoro retribuito, ma è rappresentata da lavori di pubblica utilità, cioè non retribuiti. «Qualsiasi per quanto minimo tentativo precario di collocamento all’esterno dell’istituzione penitenziaria  - si legge - è il punto verso cui tendere in quanto rappresenta il primo passo verso della ricollocazione in società ed il riacquisto dell’autonomia, dell’indipendenza economica e del valore sociale del lavoro».

"Le detenute che lavorano fanno lotta alla camorra"

Quest’anno la cooperativa partecipa al “Pacco alla camorra” con il suo caffè. Si tratta di un “pacco” che ospita prodotti realizzati nei beni confiscati ed è nato dalla mission del “Consorzio Nco”, che ha trasformato l’acronimo Nco da Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo a Nuova Cooperazione Organizzata e per il 2021 è dedicato alla parità di genere. «Siamo contente di esserci anche noi – dice Imma Carpiniello - perché con il lavoro alle donne detenute contribuiamo anche noi a combattere la criminalità organizzata»