In arrivo un programma di riforme ambizioso che comprende il rafforzamento del sistema ospedaliero, lo sviluppo della medicina di prossimità e della telemedicina, più tecnologia e più personale
Ad un anno dalla comparsa dell’emergenza legata alla diffusione del Coronavirus in Italia possiamo fare alcune considerazioni su come sia stata gestita sul fronte sanitario e soprattutto su cosa migliorare in futuro, anche in vista delle numerose risorse previste dall’attuale Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Per saperne di più ne abbiamo parlato con Marta Marsilio e Anna Prenestini del Dipartimento di Economia Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli studi di Milano e membri di HEAD - Centro di ricerca e alta formazione di Health Administration Università degli Studi di Milano, nonché autrici del libro “Il management delle aziende sanitarie in tempo di crisi: Sfide e soluzioni gestionali e operative all’emergenza Covid-19”.
Esistono le risorse economiche per migliorare il nostro Sistema Sanitario Nazionale? L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destina alla Missione Salute circa 20 miliardi di Euro. Di tali fondi 7,9 miliardi sono destinati al rafforzamento dell’assistenza di prossimità e alla telemedicina mentre 11,82 miliardi vanno alla ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria. Il programma di riforme è ambizioso e comprende il rafforzamento del sistema ospedaliero (in particolare attraverso un ammodernamento tecnologico delle strutture ospedaliere), di quello territoriale (con la creazione di case delle salute per il potenziamento e integrazione delle risposte di natura sanitaria e socio-sanitaria), il rafforzamento in termini numerici e di formazione del personale del SSN, la riforma del sistema di sanità pubblica per rafforzare resilienza e tempestività di risposta ad emergenze sanitarie e lo sviluppo della sanità digitale. E’ programma di governo presieduto da Mario Draghi, sempre in queste prime battute, confermare questi indirizzi verso un potenziamento della sanità territoriale e dell’assistenza al domicilio, grazie anche al contributo decisivo della tecnologia in modo che la “casa” dei pazienti possa diventare “il principale luogo di cura”. Si tratta di un programma molto esteso e ambizioso. Per fare in modo che esso possa trovare adeguata attuazione negli orizzonti temporali è necessario tenere in considerazione due aspetti fondamentali. Il primo è che nel nostro SSN esistono già molte best practices di sanità territoriale che possono essere assunte come riferimento per poi andare a definire linee guida nazionali per la loro applicazione su tutto il territorio in una logica di equità di accesso alle cure. Si pensi alle case della salute, esperienze già radicate e funzionanti con successo in molti contesti regionali e agli Ospedali di Comunità (es. Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, ecc.), alla peculiare organizzazione dei distretti e della prevenzione della regione Veneto che ha dato ottimi risultati nelle fasi di screening dei pazienti Covid e oggi nella gestione del piano vaccinale. Lo stesso dicasi per la telemedicina; molte realtà hanno avviato efficaci sperimentazioni per le tele-visite e tele-consulti anche in assenza di tempestivi quadri normativi nazionali e regionali. Questo patrimonio di esperienze e professionalità deve essere adeguatamente valorizzato in una logica di confronto e dialogo tra il piano nazionale e le realtà regionali/aziendali che rappresentano una ricchezza del nostro SSN. Si deve rafforzare e consolidare una governance partecipata tra il “centro” e le regioni, in una logica di collaborazione orientata alla massimizzazione del bene pubblico “salute”. In secondo luogo, le riforme proposte richiedono un fortissimo cambiamento nella modalità di progettare e implementare i servizi sottostanti, con un forte coinvolgimento dei professionisti sanitari e dei manager delle aziende. La rivoluzione digitale della sanità prevista nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non si conclude con l’acquisto di nuove tecnologie (dai kit per il monitoraggio domiciliare, ai sistemi per la digitalizzazione dei flussi amministrativi e clinici, alle grandi attrezzature); paradossalmente, la fase di investimento in tali dispositivi è il pezzo più semplice della “rivoluzione”. L’introduzione di nuove soluzioni tecnologiche, dalla telemedicina al telemonitoraggio, rappresenta un’opportunità per migliorare e incrementare i servizi erogati e garantire una risposta efficace ed efficiente a problemi complessi nei diversi livelli di assistenza (ospedaliera, extra-ospedaliera, territoriale).
Non c’è il rischio di allontanare paziente e medico con tutta questa tecnologia? Affinché tali tecnologie possano davvero rendere più efficienti ed efficaci i servizi erogati, tanto per il sistema che per i cittadini, è necessario un profondo cambiamento delle stesse modalità di erogazione dei servizi con uno sforzo di riprogettazione degli stessi (chi fa cosa e come) e delle relative competenze richieste e non una semplice integrazione o modifica delle attività svolte attualmente. Lo sviluppo delle competenze non deve essere limitato a specialisti e medici che sono chiamati ad utilizzarle, ma anche e soprattutto da parte dei pazienti e di chi si prende cura di loro se sono fragili o anziani. Sul fronte dei pazienti è fondamentale prevedere interventi di formazione ad hoc (tanto da immaginare requisiti di accreditamento delle Aziende – RSA, Centri Diurni, ecc. – che comprendano l’utilizzo delle tecnologie e percorsi di formazione dei propri utenti) e anche una continua attenzione a mantenere la compliance sull’utilizzo di tali strumenti.
Cosa ha messo in luce la crisi? La crisi ha evidenziato la necessità di proporre nuovi modelli di servizio e, di conseguenza, organizzativi per la medicina generale: da un’istituzionalizzazione interna alle Aziende Sanitarie Pubbliche in modo da favorire una più forte identità, accountability al sistema e favorire la progettazione e lo sviluppo di strumenti di coordinamento e integrazione più forti con le aziende sanitarie di riferimento. Si possono inoltre ipotizzare sperimentazioni che possano prevedere la medicina generale – come modalità di risposta ai bisogni dei pazienti – affidata a istituzioni pubbliche o private sotto la stretta governance del decisore pubblico. Al di là della medicina generale, all’interno delle organizzazioni sanitarie sarà comunque necessario riorganizzare percorsi e processi che portino ad una sempre maggiore integrazione ospedale-territorio, incluso il rilancio dell’ambito della prevenzione. Per procedere con il rilancio dell’integrazione H-T (ospedale – territorio), in particolare per gestire i pazienti fragili e cronici, sarà necessario investire anche nella definizione di nuovi ruoli come discharge manager per le dimissioni protette, infermieri di comunità/famiglia, immaginare un’evoluzione delle USCA che sono state utili durante la crisi Covid-19, creando team multiprofessionali, che adeguatamente dotati di tecnologia digitale e perfettamente integrati con servizi di assistenza specializzati possano garantire un forte presidio dell’assistenza di cure primarie sul territorio.
In qualche modo comunque il sistema si è attrezzato per far fronte ad un’emergenza enorme… L’urgenza dettata dalla pandemia ha richiesto un profondo coinvolgimento di tutti i professionisti e del personale amministrativo, favorendo lo sviluppo di un forte senso di appartenenza al sistema e uno spirito di squadra che ha azzerato le precedenti gerarchie e fatto prevalere sovente un approccio trasversale, multidisciplinare e multi-professionale, alla gestione dei problemi. Questo grande sforzo (spesso definito “eroico”) da parte di chi ha combattuto in prima linea il virus ha confermato la professionalità che caratterizza il personale del nostro SSN. Ora non deve rischiare di venire frustrato dal senso di impotenza percepito dai professionisti nel vedere che le “lezioni” apprese dalla pandemia non vengano adeguatamente colte dai decisori pubblici con azioni e programmi coerenti.