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Coronavirus, idee per il dopo: ospiti Greene, Melegaro, Quammen, Sabatini e Wright

Cronaca

Ospiti del direttore Giuseppe De Bellis, nel quarto appuntamento ci sono Megan Greene, Alessia Melegaro, David Quammen, Riccardo Sabatini e Lawrence Wright

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“Scienza, politica ed economia stanno aggiornando le loro mappe per spiegare la contemporaneità”. Il direttore di Sky Tg24 Giuseppe De Bellis apre la quarta puntata dell’approfondimento “Idee per il dopo”(GUARDA LA 4a PUNTATA DI IDEE PER IL DOPO: 1A PARTE - 2A PARTE) e On Demand (QUI TUTTI I VIDEO DELLE PUNTATE PRECEDENTI) e ricorda quanto è cambiato il mondo in poco tempo “Eravamo nel pieno dell'era della velocità ma poi per due mesi siamo stati completamente fermi. La ripresa è ancora lenta ma lavoro, società, mobilità, leadership sono ancora le parole per capire il domani. Dialoghiamo di questo, di come stiamo cambiando, e di come cambieremo ancora”. In questa quarta puntata sono con noi: Megan Greene, senior fellow della Harvard Kennedy School e columnist del Financial Times; Alessia Melegaro, direttrice del Covid Crisis Lab dell’Università Bocconi; David Quammen, scrittore e divulgatore scientifico; Riccardo Sabatini, scienziato e imprenditore, specializzato nella modellistica numerica di sistemi complessi; e infine Lawrence Wright, saggista, premio Pulitzer e giornalista del settimanale The New Yorker.

GLI INTERVENTI DELLA QUARTA PUNTATA

Giuseppe De Bellis: Professoressa Greene, comincerei con lei perché nei suoi studi a Harvard e anche negli articoli che scrive per il Financial Times, ha scritto tante cose sull'emergenza coronavirus e sulle conseguenze economiche. Le chiedo: abbiamo visto che la politica è rimasta un po' sorpresa dall'emergenza, la scienza anche, l'economia doveva forse essere più preparata. È stata sorpresa anche l'economia o no?

Megan Greene: Non penso che qualcuno potesse prepararsi alla scala della crisi che stiamo affrontando, era un rischio circoscritto e prepararsi a questo sarebbe stato costoso e insensato, data la scarsa probabilità che si verificasse. Ma detto questo, c'è qualcosa che avremmo potuto fare. Credo che l'Europa si sia comportata meglio degli Stati Uniti in alcuni casi, soprattutto perché gli stati europei hanno in generale una rete di sicurezza sociale migliore di quelli americani e quello che abbiamo scoperto negli Stati Uniti è che quella rete di sicurezza ci manca. La risposta della politica in tutto il mondo è stata quella di mettere l'economia nel congelatore per un paio di mesi mentre conteniamo il virus e l'idea è che si possa tirare fuori e scongelarla una volta che il virus sarà stato debellato. Ora stiamo scoprendo che questo richiederà più di qualche mese, quindi il recupero a forma di V che molti economisti ipotizzavano all'inizio della pandemia sembra molto improbabile a questo punto. È difficile capire quanto durerà o che curva seguirà la ripresa perché questa è una domanda che riguarda più l'epidemiologia che l'economia, ma penso che l'idea che si possa scongelare l'economia e tornare alla normalità sia fuori discussione. Anche se la politica potesse imporlo, credo che le persone si sentano troppo incerte, anche se potessero andare in un bar o in un ristorante non lo farebbero, quindi ci vuole più tempo per tornare a qualsiasi tipo di ripresa o qualsiasi tipo di normalità.

Giuseppe De Bellis: Del “New Normale” parleremo a lungo perché poi è il nostro grande tema. Vorrei andare da David Quammen perché lui è stato un profeta. Si può dire che è stato un profeta, con il suo libro ha anticipato quello che stiamo vivendo in questi giorni. Lei ha scritto anche che le pandemie e l'epidemie non accadono da sole, allora le chiedo: che cosa abbiamo fatto per meritarci questo?

David Quammen: Ce la siamo andati a cercare, nel senso che i nuovi virus come questo arrivano sempre degli animali selvatici. Partono dagli animali e vengono trasmessi all'uomo, perciò più distruttivo è il nostro rapporto con loro, e con i vari ecosistemi in cui vivono, maggiore è il pericolo di trasmissione di un nuovo virus agli umani e la possibilità che non faccia ammalare solo un individuo ma che si possa trasmettere da uomo a uomo, dando vita a un'epidemia e successivamente anche a una pandemia. Questo è quanto e sono d'accordo con la professoressa Greene, eccetto per il fatto della poca probabilità. Sì, è costoso prepararsi per un evento come questo ma non era un evento improbabile: sapevamo che stava arrivando qualcosa del genere, ignoravamo soltanto quando sarebbe successo. Sapevamo che avrebbe richiesto miliardi di dollari per essere davvero pronti ed era una grossa spesa, ma ora stiamo perdendo svariati miliardi di dollari in più, a causa della reazione tardiva. Possiamo incolpare solo noi stessi per aver causato la trasmissione e non esserci fatti trovare pronti nel contenerla una volta avvenuta.

Giuseppe De Bellis: Lawrence Wright, il direttore del New Yorker ha definito il suo “un fiuto infallibile per le storie”, mi chiedo: è solo questo che l'ha portata a scrivere un libro in coincidenza con questa crisi che ha come argomento proprio una pandemia, oppure davvero potevamo aspettarcelo e quindi, oltre al suo fiuto, c'erano anche degli indicatori?

Lawrence Wright: Doveva essere una storiella di ammonimento ma il caso ha voluto che la pandemia mi battesse sul tempo, ed è una coincidenza che il libro sia stato pubblicato adesso in piena pandemia. Ma lasciatemi dire che ho parlato con molti esperti mentre svolgevo le mie ricerche, ho letto molti trattati e tutte le pubblicazioni che escono ogni giorno sull'argomento, gli esperti si aspettavano che sarebbe successo ma non sapevano quando. Ignoravano che sarebbe stato così presto, hanno trascorso intere carriere preparandosi a questa crisi e penso che il mio romanzo rispecchi molta dell'ansia che traspariva dalle persone con cui ho parlato.

Giuseppe De Bellis: E la reazione che sta vivendo in questo momento il mondo se l'era immaginata o no?

Lawrence Wright: Suppongono di aver dato meno fiducia alle persone nel mio libro, una delle cose che mi ha più sorpreso come autore è la solidarietà con cui le persone si sono isolate dagli altri, facendo sacrifici personali, finanziari, sociali e perfino spirituali, è stata una grande prova per l'umanità e ovviamente sarà dura continuare a tenere le persone in lockdown per tutto il tempo che servirebbe. Ma se questo non l'avevo previsto, i governi si sono comportati come avevo immaginato.

Giuseppe De Bellis: Grazie. Professoressa Melegaro, lei guida, adesso in Bocconi, un gruppo di ricerca sulle conseguenze soprattutto del contagio e sugli sviluppi che avremo nei prossimi giorni. Quali sono i punti di partenza? Anzi, il punto di partenza da cui avete prese le mosse?

Alessia Melegaro: Il punto di partenza direi che è l'avvicinarsi di questa Fase 2, nel senso che chiaramente durante la Fase 1 in campo ci dev'essere tutto il comparto che riguarda la medicina, la sorveglianza, i servizi sanitari, ecc. Per quanto riguarda la Fase 2, invece, la Bocconi ha pensato di costituire questo laboratorio Covid Crisis Lab, appunto per unire delle professionalità diverse, da discipline diverse, quindi dalla sociologià, dalla demografia, dall'epidemiologia, economisti e anche giuristi, tutti interessati a questo tema Covid, chiaramente, e tutti intenzionati a portare un apporto e quindi a rispondere ad alcune domande che riguardano proprio la fase di ripartenza. Dall'impatto che questa pandemia sta avendo sulla società, il tipo di reazioni, le determinanti, quali sono le determinanti nelle diverse strutture sociali, la parte più modellistica ed epidemiologica e quindi il cercare di costruire dei modelli robusti che permettano anche di vedere quali sono le politiche più efficaci.

Giuseppe De Bellis: Grazie. Sabatini, lei è ricercatore, è specializzato nella ricerca sul genoma ed è anche un imprenditore. Toccheremo diversi temi con lei, il primo che voglio toccare è questo: sentivamo prima dalla professoressa Greene quanto non ci si poteva attendere tutti i dettagli di questa epidemia e poi della pandemia, e altri sostengono il contrario. Posso chiederle, se è vero che gli scienziati, una parte della scienza, è sembrata impreparata, la politica è sembrata impreparata e anche l'economia è sembrata impreparata, la farmaceutica e la farmacologia sono state pronte, invece? Hanno reagito bene?

Riccardo Sabatini: Secondo me il problema del quando succederà la pandemia è una domanda, ma il “se” non è una domanda. Succederà, come è successo in passato e succederà in futuro. Ora ci sono due fondamentali aspetti su cui il mondo biotech sta lavorando in maniera, secondo me, notevole: la costruzione di test con la capacità di individuare la presenza del virus o la presenza degli anticorpi, è un enorme componente che aiuta i gruppi epidemiologici a capire la vere diffusione del virus. Giusto per darvi alcuni ordini di grandezza, alcuni test storici hanno impiegato diversi anni ad essere utilizzati, il progresso che abbiamo visto, parte da dicembre con il sequenziamento del virus, a gennaio con un test di identificazione del virus e iniziano adesso ad arrivare i test di anticorpi e danno dei risultati soddisfacenti per grandi screen di popolazione. Questo è stato uno sviluppo pazzesco, assolutamente incredibile dieci mesi fa, il numero di pubblicazioni scientifiche che stanno uscendo ogni giorno sono senza precedenti, la reazione è stata secondo me eccezionale. Per la parte farmacologica ci stiamo preparando, in un certo senso, alla costruzione di farmaci e di terapie in generale per affrontare coronavirus, Covid-19 e in generale altre pandemie. Questa è un domanda molto interessante, grandi gruppi stanno iniziando a lavorare, su terapie specifiche per il Covid-19, quindi andando a vedere i sistemi efficienti e sicuri per andare a bloccare quel virus, ma la domanda inizia a essere più ampia, possiamo fare dei farmaci che riescano a bloccare in generale i coronavirus? Possiamo fare delle terapie che aiutino in generale pazienti con qualsiasi infezione? È una cosa che chiaramente è accelerata, ci sono tanti gruppi che ci stanno lavorando in maniera costante da decenni, adesso sta diventando una priorità top che trasporterà industria e ricerca insieme a fare ancora di più. Nella previsione, chiara, di aver il Covid-19 come un'emergenza attuale, ma di essere pronti ad altre pandemie o altre influenze sicuramente significative  che arriveranno. E, ancora, non si parla di un”se” ma di un ”quando”.

Giuseppe De Bellis: Grazie. Quammen, in questo momento in gran parte del mondo ci saranno milioni di virus che si annidano in altri esseri viventi. Siccome la paura non è ancora passata, anzi vi siamo ancora dentro. E siccome rischiamo che altri virus possano comunque propagarsi. Secondo lei, dobbiamo temere un'inondazione di virus oppure dobbiamo affrontarli uno per volta e non porci questo problema?

David Quammen: Dobbiamo temere una nuova ondata di virus? Dico di no, perché la paura nonn porta a niente. Dobbiamo prepararci per un altro virus? Sì, assolutamente. L'ho detto e lo ripeto di nuovo. Il giorno in cui questa pandemia sarà finalmente sotto controllo dovremo fare festa per 5 minuti e poi prepararci per la prossima. Anzi, dovremmo prepararci ancora prima che questa sia finita. Sì, ce ne saranno altre. Non è un evento isolato, fa parte di uno schema. Come ho detto, ci sono molti virus all'interno degli animali selvatici e negli ecosistemi di tutto il mondo, molti dei quali non possono infettare l'uomo, ma altri possono farlo e continuando a entrare in contatto con la fauna, disturbando gli ecosistemi ce ne saranno altri. Questo è il SARS-Cov-2, il SARS-Cov-1 era quello del 2003 e ci sarà un SARS-Cov-3, così come nuovi ceppi di influenza che daranno alle malattie trasmesse all'uomo dagli animali l'occasione di creare scompiglio nel mondo. Dobbiamo essere preparati con i controlli, con il lavoro della sanità pubblica e con la volontà politica di fronteggiare un'altra crisi.

Giuseppe De Bellis: Wright, lei ha scritto un libro famosissimo sul terrorismo islamico “The looming tower”, le chiedo: questa pandemia è peggio del terrorismo? Tanti hanno fatto questo paragone e tanti dicono che sia peggio del terrorismo, lei che cosa ne pensa?

Lawrence Wright: Sicuramente, per le dimensioni del fenomeno e per il numero di morti, la catastrofe del Covid-19 è peggiore di quella dell'11 settembre o della guerra al terrorismo ma c'è una sovrapposizione tra il mondo del terrorismo e quello dei virus. Ci sono dei gruppi come Al-Qaeda o Aum Shinrikyō, la setta giapponese, o anche i gruppi suprematisti bianchi di recente, ai quali piacerebbe sviluppare armi biologiche. Hanno già tentato di farlo in passato e di sicuro ci riproveranno se la tecnologia lo renderà più semplice.

Giuseppe De Bellis: Greene, sempre restando nel campo delle opinioni di cui si è parlato nei giorni scorsi, in tanti hanno detto che la crisi economica che stiamo già vivendo e, soprattutto, quella che vivremo nei prossimi mesi sarà addirittura peggio della crisi del 1929. Secondo lei è così oppure no?

Megan Greene: Sì, credo che sarà la madre di tutte le crisi, probabilmente sarà più profonda della Grande Depressione, la domanda è quanto durerà e come sarà il recupero. Come ho detto prima, molti economisti, speravano che avremmo avuto una breve e violenta contrazione seguita da un rapida e decisa ripresa, penso che sia molto improbabile. Se si chiedesse agli americani, in questo momento, se domani riaprisse l'economia andreste al bar o in un ristorante, i sondaggi dicono che il 71% non lo farebbe, quindi ritengo che porteremo a lungo le cicatrici di questa crisi e molte abitudini cambieranno. Come è già successo con la crisi finanziaria globale del 2008-09, e a pensarci bene, le persone stanno guardando Netflix a casa, invece di andare al cinema, ordinano al take-away invece di andare al ristorante. Quando riapriremo tutto, i comportamenti di alcune persone saranno cambiati radicalmente, perciò mettiamo che il 10% della popolazione smetta di andare al cinema anche quando il virus sarà sotto controllo perché è abituato a stare a casa, se lo applichiamo a tutti i campi dell'economia, vuol dire che la struttura portante della nostra economia sarà fondamentalmente mutata. Per questo non penso che si possa tornare indietro al “new normal”, perché penso che ne porteremo le cicatrici e sono convinta che avrà sulle nostre abitudini lo stesso impatto della Grande Depressione.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, come dicevo prima, lei è sia scienziato sia imprenditore. Allora, mi interessa il punto di vista di un professionista che ha questi due ambiti di interesse, perché in questo momento abbiamo visto che in molti casi c'è una sorta di dualismo tra il diritto alla salute e la ripresa economica per evitare che la crisi economica sia peggiore di quella sanitaria. Qual è il suo punto di vista in questa doppia visione?

Riccardo Sabatini: Le società sono sistemi molto complessi che hanno entrambe le funzioni e sono entrambe necessarie allo stesso momento. È irrazionale privilegiare una delle due in maniera completamente cieca, ovvio, la domanda è quale sia il bilanciamento corretto. Secondo me in situazioni come queste, sono anche sistemi dinamici nel tempo, cioè nel momento in cui non si sa veramente la virulenza, la mortalità di un virus del genere, è fondamentale installare delle procedure di sicurezza e prendere il tempo necessario per capire cosa abbiamo davanti. Dall'altra parte è anche fondamentale capire come continuare a far funzionare un mondo estremamente interconnesso. Qualsiasi pezzo delle moderne industrie si basa su delle reti di fornitura, sono delle reti estremamente ampie, quindi iniziare a capire qual è il bilanciamento è una sfida non banale, di policy making, su cui chiaramente ci sono oggi tantissimi sfide e tantissimi nuovi approcci. Entrambi i gruppi devono viaggiare in parallelo. Epidemiologi eccezionali stanno facendo modelli aggiornati ogni singolo giorno, devono accompagnarsi a gruppi di professionisti come abbiamo nel panel oggi che ogni giorno cercano veramente di capire quale è il bilanciamento corretto. Sono sfide anche molto complesse che non abbiamo mai visto davvero in tempi moderni, viviamo in un'aspetto della globalizzazione che è stato incredibilmente gentile fino a ora, permettendoci di avere queste grandi crescite, senza delle catastrofi complesse da gestire. Ancora una volta non è una questione del “se”, è una questione del “quando” succederà ancora, saranno complesse è il momento di preparare il policy making e una politica basata anche sull'unione di questi due gruppi. Il bilanciamento giusto ci sarà e lo impareremo nel tempo, ma ogni giorno deve essere un check and balance costante fra quanto è rischioso per la popolazione e quanto le infrastrutture di base devono riuscire a fare. Non è una risposta da riuscire a dare in assoluto ma è un lavoro di unione di questi due bilanciamenti che sono in un certo senso la società.

Giuseppe De Bellis: Melegaro, i vaccini sono stati al centro di molte polemiche negli ultimi anni, l'arrivo di una crisi come questa, una crisi sanitaria con tanti morti ha cambiato secondo lei la percezione negli ultimi mesi o no?

Alessia Melegaro: Sarebbe bello, la risposta rapida è sarebbe molto bello. La questione legata ai vaccini è una questione molto complessa e ci sono diversi gruppi di persone, diciamo, ci sono persone che sono profondamente contrarie ai vaccini, ci sono gli indecisi, ci sono i ritardatari, quindi è difficile generalizzare. Sicuramente in una fase come questa, critica, di emergenza sanitaria, io penso che le persone si siano sensibilizzate rispetto anche alla potenza di un virus di diffondersi all'interno di una popolazione. Al fatto che siamo noi che di fatto costruiamo queste catene di trasmissione e quindi il nostro comportamento e la nostra attenzione, la nostra compliance, rispetto a quelli che sono le politiche sanitarie, e di fatto sono elementi critici importantissimi perché si riesca in questo caso a rallentare il contagio. E, invece, parlando di altre infezioni magari proprio di contenerle del tutto, quindi la speranza in un momento di crisi come questo ci sia sì un aumento della consapevolezza rispetto all'importanza di seguire quelle che sono anche le politiche sanitarie, che sono politiche studiate. Dietro queste politiche c'è un grande lavoro da parte appunto di diverse discipline, diversi specialisti, che sono volti ovviamente a cercare di contenere i tassi di incidenza delle varie malattie molto bassi. Poi c'è anche la questione del livello di interazione sociale che anche quello è un elemento importante che spero questo Covid ci lasci come un aspetto fondamentale. Le interazioni sociali, come ho detto prima, costituiscono il canale attraverso cui il contagio avviene e quindi anche una consapevolezza riguardo anche all'igiene della persona, il rispetto delle norme sanitarie, sono fondamentali affinché si riesca a contenere la diffusione di virus di questo tipo, respiratori, quindi che si trasmettono semplicemente con la vicinanza tra due persone.

Giuseppe De Bellis: Quammen, la specificità di questo momento è quella di avere una crisi in cui gli esseri umani subiscono l'aggressione di un virus naturale, nel momento in cui è fortemente in discussione il rapporto tra l'uomo e la natura. Allora, le chiedo: abbiamo peccato di superbia? Siamo stati invadenti con la natura e adesso ne paghiamo le conseguenze?

David Quammen: Sì, noi umani invadiamo la natura da 200mila anni, da quando esistiamo, non è una novità che entriamo in contatto con gli animali selvatici, che li bracchiamo e li uccidiamo. Va avanti da sempre. È un problema per via della quantità di esseri umani sul pianeta: siamo 7,7 miliardi, siamo affamati, siamo intelligenti e avidi di risorse, quindi tutte le scelte che facciamo in termini di cosa mangiamo, indossiamo o compriamo, se facciamo figli e quanti, quanto viaggiamo, tutte queste cose hanno un impatto sul mondo naturale e portano la fauna selvatica più vicina a noi e alle persone che lavorano in nostra vece, come i minatori che vanno nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e che estraggono il coltan per farci usare i cellulari. Queste persone vengono a contatto con la fauna locale perché non ci sono altre proteine disponibili, quindi se possediamo un cellulare, gli stiamo chiedendo di andare in quei posti ed esporsi a quei virus. Quindi sì, è una cosa che stiamo facendo, assolutamente. E non solo alcune persone, non solo i cinesi che vogliono mangiare pipistrelli o altri animali, tutti condividiamo una fetta di responsabilità per questa tendenza generale.

Giuseppe De Bellis: Wright, senza spoilerare troppo il suo libro, alla fine del suo libro il genere umano, il mondo è cambiato e non è cambiato in meglio. Secondo lei, nella realtà accadrà? Il mondo cambierà in peggio o no?

Lawrence Wright: La mia speranza è che questo episodio non finisca come il mio romanzo. Quello che propongo nel mio libro è un virus molto simile all'influenza degli anni '80, molto più modellato di quello con cui abbiamo a che fare ora e, in effetti, la malattia del romanzo segue lo stesso lo stesso corso di quella degli anni '80. Appare in Occidente a inizio primavera, l'ondata di contagio subisce un calo durante l'estate e poi muta e torna più forte in autunno. Non sappiamo se succederà anche con il Covid-19 ma è possibile. Se avessimo a che fare con la Sars, lo stesso virus che è comparso nel 2003, ci troveremmo in una situazione peggiore e più simile a quella che ho dipinto nel romanzo, quindi sostengo fermamente che se vogliamo preservare le società, la democrazie, la privacy e tutto ciò che ci è tanto caro, dobbiamo essere pronti, in modo che non si verifichi nulla di simile a ciò che accade nel mio libro.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, lei si occupa di ricerca genomica. Mi interessa sapere se questo campo della ricerca può portare dei risultati anche nella ricerca legata alla soluzione del problema Covid-19 o no?

Riccardo Sabatini: Certamente. Uno dei tentativi delle ricerche che vengono portate avanti è quello di cercare di capire se esistono dei pattern genetici che spieghino, appunto, la prevalenza e la mortalità fra alcune sotto popolazioni. Anche nella comparazione Italia verso mondo, Europa verso mondo. In generale, la mappatura del genoma ha dato le tecnologie per fare la mappatura di qualsiasi genoma. Ripeto: dopo pochi giorni dall'identificazione del virus, abbiamo avuto il sequenziamento del genoma del virus. Se si fosse parlato 10 anni fa di una cosa del genere, sarebbe sembrata una storia da Zoolander, che in 10 giorni, due settimane si riusciva a fare il sequenziamento di un virus. È stata un'evoluzione cambriana. Avere la possibilità di poter sequenziare un virus è anche la capacità di seguire le sue mutazioni durante l'evoluzione della pandemia. I virus mutano, si adattano, si adattano agli host, si adattano in generale all'ecosistema su cui stanno appoggiando il loro spread. La capacità di mappare il genoma è la capacità di mappare le generazioni del virus, cercando di capire quali sono i punti stabili di attacco per andare a fare una terapia, appunto, di vaccinazione che sia in grado di proteggere la popolazione su uno spettro di virus che iniziano ad avere un pool di mutazioni differenti è  fondamentale. Abbiamo tipicamente dal sequenziamento genomico, sempre in mente al sequenziamento degli essere umani, è la stessa tecnologia per sequenziare il bad player di questa volta. Si sta facendo ancora una volta uno sforzo incredibile, non credo di aver mai visto un simile numero di pubblicazioni, di scambio di dati scientifici attraverso ricerca pubblica, ricerca privata. L'informazione genomica è la chiave del futuro dell'evoluzione del virus, della capacità di costruire vaccini, di difenderci in maniera predittiva, rispetto anche alle future mutazioni. Di fondamentale importanza, ormai è uno strumento che usiamo costantemente.

Giuseppe De Bellis: Greene, venendo un po' agli aspetti economici, prima della diffusione del coronavirus quindi della conseguente pandemia da Covid-19, la guerra commerciale soprattutto tra Stati Uniti e Cina dominava il dibattito internazionale. Oggi quella guerra che cos'è, esiste ancora, esisterà? Sarà peggiore di quella di prima opure cambierà completamente?
Giuseppe De Bellis: Credo che per molti aspetti quello che c'era prima della crisi verrà accelerato, e questo probabilmente vale anche per le politiche commerciali non solo tra gli Stati Uniti e la Cina ma con molti paesi. Abbiamo visto restrizioni nell'esportazione di forniture mediche dalla Germania e dalla Francia quando l'Italia era la più colpita, per esempio e la Commisione si è fatta avanti per trovare un compromesso, vediamo un protezionismo crescente in tutto il mondo e senza dubbio la cosa di cui sentiamo più la mancanza di questa crisi è uno sforzo internazionale unito per combattere un virus che sta colpendo tutti quanti. Penso vedremo ancora più protezionismo. Tra gli Stati Uniti e la Cina, in particolare, c'è stato un tentativo da parte di entrambi di incolparsi a vicenda per questa crisi. D'altro canto, l'amministrazione americana ha parlato di terrorismo. Il fatto che questa crisi stia colpendo tutti i paesi in momenti e modalità differenti, vuol dire che se ne uscirà in modo asincrono, quindi quando l'economia dovrà confrontarsi con l'importazione, mi sembra sensato che si faccia pressione sui governi per avere delle restrizioni alle importazioni, come per il terrorismo, da paesi che non hanno ancora superato la crisi e che stanno cercando un modo per riavviare anche loro l'economia. Purtroppo credo che questa crisi accelererà la il cammino verso il protezionismo e il nazionalismo, non solo negli Stati Uniti e in Cina ma in tutti i Paesi.
Giuseppe De Bellis: Vorrei andare sul fronte Stati Uniti visto che tanti di voi in questo momento sono dall'altra parte dell'Oceano. Parto con Wright per chiedergli se visto che gli americani in molti stati, direi, sono un po' resistenti alle restrizioni dello Stato, quindi dei governi: come stanno reagendo in questo momento? Abbiamo visto delle avvisaglie di manifestazioni di piazza, altri stati invece sono più composti qual è il suo punto di vista?

Lawrence Wright: Vivo in Texas e il governatore è stato velocissimo a riaprire l'economia. Sta succedendo in un periodo in cui i contagi sono ancora in aumento in Texas. Il tasso di mortalità non è alto come in altri stati ma non abbiamo comunque debellato il virus, quindi ritengo che in forma tardiva il Texas abbia seguito l'esempio della Svezia, che ha permesso alla popolazione di uscire, forse incorrendo in una mortalità più alta che se avesse fatto altrimenti. Ma l'impazienza di tornare al lavoro, in Texas come in molti altri stati è molto alta e penso che sarebbe già una conquista se la curva si appiattisse ma non so quanto ancora può durare questo sforzo di ridurre i contagi soprattutto in molti posti degli Stati Uniti.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, lei vive in uno stato più urbanizzato. In una metropoli, secondo lei, quando usciremo da questa crisi, dalla parte più dura di questa crisi, le città, le zone più urbanizzate, cambieranno o resteranno uguali?
Riccardo Sabatini: La domanda è incredibilmente interessante, un aspetto che sto cercando di raccogliere attraverso imprenditori che lavorano nel mondo dei servizi, ad esempio, che hanno il privilegio di non aver bisogno dello staff in ufficio, si stanno accorgendo dell'efficienza dello smart working che sarà, volente o nolente, uno strumento che dovremo usare per diversi mesi. Durante le potenziali ondate che arriveranno o in qualsiasi strategia che prenderemo dovremo riuscire, quando possibile, a limitare i contagi. Sembra che questi strumenti funzionino, ed è un vantaggio per alcune aziende ed è una distruzione per altre. La necessità di aver staff sul posto è ancora fondamentale per tantissime industrie e forse per la maggioranza di queste. Come cambieranno gli assetti urbani delle città e dei grandi servizi è uno dei grandi cambiamenti che ci sta portando questa pandemia. Credo ci saranno dei vantaggi su alcune specificità verticali, appunto, i servizi. Sarà un'implementazione molto complessa per le grandi infrastrutture operative su cui tutta la società si basa, perché non mangiamo servizi, abbiamo bisogno di hardware, di oggetti che girano. Questa non sarà un'operazione semplice, credo che il modo in cui vivremo sarà chiaramente dettato dalle procedure di sicurezza che adotteremo nei prossimi mesi: maschere, separazione, contact tracing, capire poi se riusciremo ad assorbire o diventerà un cambiamento epocale questo lo dobbiamo vedere insieme. Difficile fare previsioni adesso.
Giuseppe De Bellis: Melegaro, sfrutto anche la sua specificità da demografa, la sua professionalità per provare a decriptare questo che secondo me è uno dei grandi temi, cioè come cambieranno i luoghi in cui viviamo come cambieranno le città, come ci sposteremo, come sarà lo sviluppo demografico delle grandi aree urbane o anche delle aree meno urbanizzate.

Alessia Melegaro: Sicuramente ci sarà un impatto. Mi aspetto un impatto sulle relazioni sociali quindi come le persone interagiranno e come le persone si ritroveranno. Questa maggiore consapevolezza che si è sviluppata in questi mesi e che verrà sviluppata anche nel prossimo periodo, immagino che indurrà le persone ad avere dei comportamenti un pochino più precauzionali diciamo, quindi sapendo che le persone sono la fonte del contagio e fanno parte di queste catene di contagio chiaramente il comportamento verrà cambiato. In termini di sviluppo urbano, anche io penso che sia una domanda molto complessa e difficile. Lo sforzo che è stato fatto in questi due mesi è uno sforzo immenso. Hanno messo in piedi un'infrastruttura sia per quanto riguarda lo smart working ma anche per quanto riguarda gli spostamenti. Se pensiamo ai trasporti pubblici, stanno come rivoluzionando, cercando di garantire delle distanze di sicurezza, insomma tutto questo impianto e tutto questo cambiamento immagino che verrà portato avanti e che la popolazione essendo più sensibilizzata sarà più pronta ad accettare. Anche questa cosa delle mascherine ormai siamo un po' abituati a portarle mentre se ce lo dicevano due mesi fa era una cosa impensabile. Le persone si abitueranno al fatto che ci sono dei comportamenti che riducono la probabilità di trasmettere il virus, che sia il corona, che sia un virus influenzale o qualunque altro virus respiratorio. Noi come cittadini possiamo fare delle cose e quindi mi auguro che questa situazione drammatica porti au un aumento della consapevolezza e della repsonsabilità sociale delle persone.

Giuseppe De Bellis: Quammen, Sabatini prima parlava delle aziende che fanno infrastrutture e delle aziende che fanno servizi, mi sposterei dall'altra parte degli Stati Uniti rispetto a Sabatini e andrei in Silicon Valley con lei, per capire se le aziende della Silicon Valley sono il problema, sono parte del problema o sono la soluzione al problema.
David Quammen: Chiede della Silicon Valley alla persona sbagliata, non posso dire di conoscere o di avere alcuna competenza riguardo quello che stanno facendo lì. Di sicuro ci sono centri di ricerca con sede nella Silicon Valley che stanno usando elevate potenze di calcolo, biologia molecolare e genomica di nuova generazione per lavorare a problemi collegati a questo, come lo sviluppo di un vaccino in particolare o lo sviluppo di un vaccino più generico che possa essere il punto di partenza per i vaccini contro tutti i coronavirus e che possa essere adattato a nuove mutazioni. Di certo non demonizzo la Silicon Valley, spero che le cose alle quali stanno lavorando risultino invece molto utili per far fronte al problema. Allo stesso tempo, la Silicon Valley, produce beni e richiede particolari risorse per le sue produzioni, quindi ovviamente è vero che abbiano delle responsabilità, ma sono le stesse che abbiamo tutti noi.
Giuseppe De Bellis: Greene, lei che cosa pensa?

Megan Greene: Credo che la tecnologia avrà un ruolo maggiore nelle nostre vite, la tecnologia c'è sempre stata per lavorare da casa ma è servita la pandemia per fare il grande passo e anche per quanto riguarda i contatti, il tracciamento o i test e la loro esecuzione, sono convinta che rivestirà un ruolo importante. Molte persone pensano che sia una previsione inquietante, ma va detto che molti altri, almeno in America, sembrano favorevoli secondo i sondaggi. Sempre più americani si fidano di Google e Amazon, più che del governo o dell'esercito, quindi sono d'accordo che ci sia un lato che fa paura ma penso che in molti lo accetterebbero.

Giuseppe De Bellis: Wright, lei ha più paura dell'invadenza della tecnologia o ne vede più gli aspetti positivi? Soprattutto in una situazione come questa, con tutte le domande sulla privacy dei cittadini.

Lawrence Wright: Penso che le aziende tecnologiche debbano aiutarci a uscire da quello che si prospetta un periodo di profonda depressione. Ad esempio, nonostante la miriade di critiche mosse nel corso degli anni, tutti sono grati ad Amazon per aver tenuto in vita una serie di attività economiche in questo Paese. Inoltre, il tracciamento dei contatti e tecnologie simili possono essere cruciali nel tentativo di porre fine al contagio e di proteggerci per la prossima malattia. Ma in tutta onestà abbiamo bisogno di tutte le aziende, da quelle farmaceutiche a quelle farmacologiche, abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti per far ripartire l'economia.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, secondo lei, le app sul tracciamento sono utili, innanzitutto le chiedo questo. Personalmente penso di sì, ma oltre a questo le chiedo: si possono utilizzare rispettando davvero la privacy dei cittadini oppure bisogna per forza concedere qualcosa che fino ad ora abbiamo protetto?
Riccardo Sabatini: Sull'aspetto se le app siano utili o meno, ci sono delle pubblicazioni eccezionali, oltretutto di alcuni ricercatori connazionali, Vespignani ha appena fatto uscire un paper eccezionale che fa vedere quantitativamente quale sarebbe l'importanza di una app tracing. C'è un aspetto non banale da prendere in considerazione, e lascio la parte della privacy magari alla conversazione con altri colleghi del panel. Le tecnologie di contact tracing funzionano se c'è la supply chain, tutto l'ecosistema necessario al contact tracing. Vuol dire la capacità istantanea di andare a fare la validazione e il tracing, cioè il test di una persona che si pensa essere positiva. Questo è una richiesta banale quando una persona legge che cosa vuol dire fare contact tracing ci si focalizza sulla componente dei dati, che credo sia qualcosa di gestibile, invece l'infrastruttura, l'andare a testare potenzialmente centinaia di migliaia di persone, se non milioni di persone, è un problema complessissimo. Vuol dire avere una istantanea esecuzione di test che a oggi sono ancora complessi da scalare. Il contact tracing non è una app, è un strategia che richiede tante fasi e tanti servizi funzionanti e mi viene sempre un sorriso quando la Silicon Valley viene identificata con i social network. I social network sono una componente, infomation technology è una componente della Silicon Valley, ci sono dei gruppi eccezionali che stanno facendo ricerca di base eccezionale: vaccini, sequenziamenti e tutto e sono Silicon Valley e quindi non dubiterei che siano un positive net gain per questo tipo di problema
Giuseppe De Bellis: Vorrei tornare da Greene per chiederle se il mondo sarà un po' più dipendente dalla Cina o un po' meno dipendente dalla Cina, dopo la fine della crisi, dopo la fine dell'emergenza.

Megan Greene: Credo che sia difficile da dire, perché non conosciamo quale sarà l'andamento della ripresa ma penso che l'opinione sulla Cina sia cambiata significativamente. Non tanto per gli Stati Uniti, quanto sicuramente per l'Europa, dove penso sia cresciuto lo scetticismo verso la Cina, durante la crisi. Quello che vediamo è che prima della pandemia esisteva una catena di approvvigionamento globale di cui almeno una parte passava dalla Cina. Credo che ora abbiamo capito che questo rende le aziende vulnerabili e che l'approccio di vendere prima di produrre può diventare un problema, anche se negli ultimi anni è diventato molto popolare. Penso che le catene di approvvigionamento si regionalizzeranno, quindi quelle nazioni vicine alla Cina continueranno a farvi affidamento allo stesso modo, mentre sono convinta che l'Europa e gli Stati Uniti si rivolgeranno ai Paesi limitrofi, se non all'interno dei propri confini. Negli Stati Uniti si fa un gran parlare di una politica industriale diretta che per molto tempo ha rappresentato un tabù. A Washington i repubblicani, in particolare, si sono opposti per anni e ora sembra che ci sia un accordo tra le due parti. Quindi penso che vedremo le aziende incoraggiate a riportare la manifattura negli Stati Uniti, grazie ad esempio, ad incentivi sulle tasse. E quelle aziende che accetteranno di tornare sul suolo americano, probabilmente verranno rifornite da paesi più vicini agli Stati Uniti, penso che lo stesso accadrà all'Europa.

Giuseppe De Bellis: Quammen, lei vede un mercato americano più chiuso, c'è un'America ancora più chiusa rispetto a oggi?

David Quammen: Credo che questo dipenda dal risultato delle elezioni di novembre, sappiamo cosa vuol dire: se avremo altri quattro anni di Donald Trump penso che sarà la prima volta in America in cui avremo corte vedute, guerre per il territori e i commerciali, e una resistenza alla globalizzazione anche per quanto riguarda la preparazione medica. Se gli americani rimedieranno al torto che abbiamo fatto al mondo, eleggendolo tre anni fa, credo che ci saranno dei cambiamenti. Ci si renderà contro che non vanno globalizzati solo i viaggi e il commercio, ma anche il sistema sanitario e potremmo entrare in un nuovo periodo più connesso, più sicuro. Spero davvero che accada. Scusate per la dichiarazione politica.

Giuseppe De Bellis:Wright, l'America può accettare davvero più di 100mila morti a causa del coronavirus o ci saranno delle conseguenze? O questo numero spaventa il Paese?

Lawrence Wright: Sarà sconcertante e già lo è. Siamo tutti sotto shock ma per rispondere alla domanda di prima, credo che ci troviamo a un bivio. Le guerre e le depressioni della pandemia dimostrano il tipo di società in cui viviamo. È evidente come se la guardassimo con i raggi X, siamo tutti al corrente delle carenze della nostra civiltà, in particolare la parzialità, l'inutile rivalità con la ragione, la mancanza di rispetto verso le scienze, c'è una lunga serie di difetti a cui bisogna porre rimedio e possiamo farlo. Abbiamo già avuto ragione di sfidarla prima d'ora. In America, durante la Grande Depressione, abbiamo riplasmato totalmente la società, dopo il 1918, la fine della Prima Guerra Mondiale, c'è stata un'altra spinta verso i ruggenti Anni Venti. L'11 settembre ha portato all'invasione dell'Iraq, quindi abbiamo tra le mani l'occasione di sottoporre la società a un cambiamento radicale che la renda, più forte e coerente, più comprensiva ma sta a noi farlo succedere.

Giuseppe De Bellis: Melegaro torno da lei per sviluppare un tema che abbiamo già toccato: il lavoro da remoto, quindi il distanziamento sociale che però continua a generare produttività, non rischia nella fase successiva, cioè quando torneremo a lavorare in maniera più massiccia ma lo faremo con grande attenzione, rimanendo ancora nelle nostre case, non rischia di disgregare il tessuto sociale delle città e quindi renderci tutti un po' più aridi?

Alessia Melegaro: Speriamo di no. Ho una visione abbastanza positiva rispetto a questa cosa. Certo, penso che il distanziamento sociale che stiamo sperimentando adesso ci rende consapevoli dell'importanza di stare attenti alle nostre azioni in determinate situazioni, in determinati contesti. Mi auguro che poi una volta che questa crisi sarà passata, che sarà aumentata la consapevolezza. Chiaramente ci sarnno dei cambiamenti però è difficile prevedere sotto quali aspetti e in quali modalità.

Giuseppe De Bellis: Due domande per chiudere, vi chiedo due risposte flash. La prima è, per ciascuno di voi, se il mondo del post coronavirus sarà un mondo più libero o meno libero?

Lawrence Wright: Secondo me ci sarà meno libertà, penso che un grosso errore che possiamo fare, e che forse faremo, è quello di immolare gran parte della nostra privacy e consegnare ancora più potere nelle mani del governo. Una volta che il governo ha ottenuto il controllo, perché glielo abbiamo concesso noi, è difficile fare in modo che vi rinunci. Lo abbiamo visto dopo l'11 settembre in America. Quindi il mondo del futuro sarà meno libero, più autoritario e credo che ci sarà in generale meno privacy.

Megan Greene: Anche io penso sarà meno libero e vorrei sottolineare il fatto che c'è anche un lato positivo, ossia che avremo un ruolo più importante con il governo nelle nostre vite. Avremo equità al posto della libertà, ma potremo ottenere anche più servizi, potremo addirittura trovare un modo per sostenere gli individui più vulnerabili della società.

Giuseppe De Bellis: Quammen, lei che cosa pensa?

David Quammen: Sono d'accordo con entrambi i miei colleghi, penso che ci sia un grande pericolo, che il mondo sia meno libero dopo aver dato via dei diritti che non riotterrà, ma bisogna fare un discorso molto delicato perché c'è chiaramente una contrapposizione tra libertà civile e salute pubblica. Si tratta di una contrapposizione difficile e ci sono elementi da entrambe le parte a cui bisognerà rinunciare e altri che diventeranno, spero, più forti, comprese le libertà civili. Non so come andrà a finire, c'è il pericolo che forse riusciremo a migliorare la salute pubblica ma la costo delle libertà individuali. E' necessario migliorare la sanità ma come si possa fare senza rinunciare alla libertà questo non riesco ancora a immaginarlo.

Giuseppe De Bellis: Melegaro, lei che cosa ne pensa?

Alessia Melegaro: Anche io sono abbastanza d'accordo e soprattutto su quanto appena detto. La salute è un diritto primario e quindi anche delle persone più fragili che magari non hanno la possibilità di proteggersi direttamente. Credo che l'intervento pubblico, anche più normativo possa aiutare a salvaguardare il benessere di tutti. Quindi sì, avendo sperimentato questa fase in cui c'è stata un'imposizione governativa, probabilmente succederà più spesso e sarà più facile in futuro. MI auguro che verrà utilizzata per promuovere quelle misure che altrimenti lasciano alcune fasce della popolazione completamente non protette.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, lei è d'accordo?

Riccardo Sabatini: Credo che il mondo diventerà più conscio, cioè la coscienza di quanto l'interrelazione personale a livello globale sia importante, di quanto le mie practice influenzeranno la salute di altri. Questo sicuramente sarà un mondo più conscio. Se questa coscienza si trasformerà in best practice, in comportamenti culturali o in norme e legislazioni, per andare incontro all'efficacia di questa coscienza che siamo tutti davvero profondamente interconnessi, non credo ci sarà una sola soluzione. Credo che si saranno stati che la raggiungeranno con un livello culturale, comportamenti sociali. Ci saranno Stati che, forse, istituzionalizzeranno alcuni comportamenti in regole. La cosa incredibile che una persona vede, da italiano, è incredibile vedere la risposta di un Paese in cui è sempre difficile trovare coesione riesca ad essere unito in un certo momento è d'avere la capacità di avere best practices, previsionali, di persone pronte a mettere la mascherina. È un effetto della coscienza che possiamo portare ad altri che probabilmente porterà un effetto culturale in alcuni casi e non una norma e una legge, ma dovremo vederlo.

Giuseppe De Bellis: Ricominciamo il giro con l'ultima domanda. Che cosa è il new normal per ciascuno di voi?

Lawrence Wright: Per molti aspetti, dato che sono uno scrittore, la mia normalità non è cambiata molto, non viaggio ma questo è un mio problema ma lavorando a casa credo che le città potrebbero riorganizzarsi in modo interessante, per esempio creando una sensazione di igiene. L'idea di vivere in una scatola chiusa, in un condominio e di dover condividere l'ascensore con gli altri potrebbe portare le persone a rivalutare il luogo in cui vogliono vivere, se vogliono abitare in città o fare i pendolari sui mezzi pubblici. Sono tutti quesiti a cui si dovrà rispondere, credo che condizioneranno le nostre vite in futuro.
Giuseppe De Bellis: Greene, secondo lei cosa sarà il new normal?

Megan Greene: Credo che la globalizzazione dovuta ai governi top-down calerà drasticamente, mentre la globalizzazione digitale bottom-up aumenterà, quindi cambierà il modo in cui lavoriamo e immagino che molti di noi non vorranno più vivere nelle città. Molti di noi non ne avranno più bisogno, in futuro non servirà più stare nella stessa nazione del datore di lavoro e questo potrebbe portare a un boom produttivo che ancora non si è visto in questa ultima ripresa. Penso che le iniquità verranno accentuate da questo e quello che era un problema prima della crisi lo sarà ancora di più quando sarà tutto finito.

Giuseppe De Bellis: Quammen, lei?

David Quammen: Ritendo che se ci sarà un new normal, includerà la consapevolezza che la normalità è molto fragile e può sparire senza preavviso e che qualunque new normal, messo tra virgolette, si abbia spero che la gente capisca che la normalità può essere rimpiazzata rapidamente dalla nuova anormalità. SARS-Cov-3, la nuova pandemia. Volendo essere ottimista, spero che il new normal porti un nuovo modo di pensare che includa un maggiore apprezzamento delle cose che diamo per scontate: la possibilità di stringere la mano agli amici, la capacità di abbracciare il prossimo. Queste cose che abbiamo perso, per il momento, immagino che prima o poi torneranno e, forse, verranno considerate più preziose a causa dell'esperienza passata.

Giuseppe De Bellis: Melegaro, secondo lei?

Alessia Melegaro: Anch'io vedo l'aumentare di una consapevolezza individuale/collettiva sul piacere di passare del tempo insieme, di stare insieme. Allo stesso tempo vedo una normalità che sarà molto più basata sugli strumenti, le tecnologie, noi in questo periodo all'Università stiamo facendo tutto distance based. Quindi anche l'insegnamento a tutti i livelli della scuola che sta avvenendo con queste nuove tecnologie, apre anche delle possibilità, delle opportunità. Sì, anch'io vedo da una parte una consapevolezza individuale, un apprezzamento per le cose che abbiamo sempre ritenuto scontate, ci ritroveremo a cercarle sempre di più e dall'altra parte anche una libertà che ci verrà permessa anche dall'utilizzo, appunto, dalla possibilità di fare le cose da lontano senza dover necessariamente essere nei luoghi di lavoro.

Giuseppe De Bellis: Sabatini, la sua idea di new normal

Riccardo Sabatini: Il mio new normal, come tanti imprenditori del settore, c'è una sfida sul tavolo oggi: come riuscire ad aiutare i pazienti, come riuscire a costruire vaccini, come riuscire ad attivare il sistema immunitario di pazienti che soffrono degli effetti peggiori di questo virus. Ne usciremo, ce la faremo, tutta l'industria è il new normal.  Tutto il biotech e sono assolutamente confident che uno sforzo globale come questo raggiungerà l'obiettivo che ci permetterà di andare attraverso questa sfida. Il mio new normal personale è forse una cosa che abbiamo realizzato qualche giorno fa nella nostra lista di case dei desideri, con la mia compagna abbiamo sempre visto dei posti nei centri più glam del mondo, sperando un giorno di diventare parti di questi real estate, adesso nella mia lista dei sogni ci sono alcune ville o alcune piccole cascine a Como. È un aspetto molto particolare che vedo nella mia vita personale e sicuramente avrà una grande domanda di tutti i centri urbani. Cosa sarà il mio normal fra due anni, felice di riparlarne