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Crocifisso nelle scuole e in altri luoghi pubblici: cosa prevede la legge per l'Italia

Cronaca

L'esposizione del simbolo è legittima, come ha stabilito nel 2011 la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo. Ma la questione, da decenni, è al centro delle polemiche

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Quella della presenza del crocifisso nei luoghi pubblici in Italia è una questione che divide cattolici e laici da decenni. Il dibattito si accende soprattutto quando la discussione riguarda le scuole. Lo dimostra anche l’ultimo caso. La polemica è scoppiata dopo le affermazioni del ministro dell'istruzione Lorenzo Fioramonti (CHI È) che ha detto di ritenere l'esposizione della croce nelle aule scolastiche "una questione divisiva" e di preferire una "scuola laica" (LO SPECIALE SCUOLA), dove alla parete sia appesa "una cartina del mondo con dei richiami alla Costituzione". Ma quali sono state le tappe della controversia in Italia, fino ad oggi?

Il "sì" dell'Europa nel 2011

Per trovare l’ultima pronuncia giurisdizionale di rilievo sulla questione, bisogna andare indietro fino al 2011, quando la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo, accogliendo un ricorso dell'Italia, ha ritenuto legittima l'esposizione del crocifisso, ribaltando una sentenza della stessa Corte europea. La vicenda giudiziaria da cui è iniziato tutto, e che è durata quasi 9 anni, è partita dall’istituto Vittorino da Feltre, una scuola di Abano Terme, nel padovano.

Il caso di Abano Terme

Il 27 maggio 2002 il Consiglio di Istituto della scuola respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, in particolare il crocifisso, unico simbolo esposto. Ma la madre delle due alunne non ci sta: impugna la decisione davanti al Tar del Veneto. Nel ricorso si sostiene che la decisione del Consiglio di Istituto sarebbe in violazione del principio supremo di laicità dello Stato, che impedirebbe l'esposizione del crocifisso e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche perché violerebbe la "parità che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose". Il ministero dell'Istruzione, costituitosi nel giudizio, sottolinea però che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista da disposizioni regolamentari contenute in due regi decreti: uno del 1924 e l'altro del 1928. Queste norme, anche se molto lontane nel tempo, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere reso dal Consiglio di Stato nel 1988.

Il ruolo della Corte Costituzionale

Il Tar, a sua volta, conclude che le norme sono tuttora in vigore. Rimette però gli atti alla Corte costituzionale. La norma che prescrive l'obbligo di esposizione del crocifisso, come scrivono i giudici, sembra delineare "una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio". Sarebbe quindi in contrasto con il principio di laicità dello Stato. La Consulta però dichiara inammissibile il ricorso: le norme sul crocifisso sono "norme regolamentari", prive "di forza di legge" e su di esse "non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale". Gli atti tornano quindi al Tar.

La decisione del Tar sul crocifisso

Nel 2005, il Tar rigetta il ricorso della madre delle due alunne. La sentenza, si conclude con queste considerazioni: il crocifisso, "inteso come simbolo di una particolare storia, cultura ed identità nazionale (...), oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità (...), può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato". Il Consiglio di Stato chiude poi la parte italiana della vicenda con il rigetto definitivo del ricorso della madre delle due alunne. Il crocifisso - scrivono i giudici - non va rimosso dalle aule scolastiche perché ha "una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni". 

La questione davanti alla Corte europea per i diritti dell'uomo

Passano quattro anni e il 3 novembre 2009 la Corte europea per i diritti dell'uomo boccia l'Italia: il crocifisso appeso nelle aule scolastiche, per la Corte, è violazione della libertà dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Il governo italiano, però, fa ricorso. La Corte europea decide di affidare la soluzione del caso alla Grande Camera che, con la sentenza del 18 marzo 2011, ribalta il verdetto della Corte e dice definitivamente sì all'Italia, ritenendo che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e negli altri luoghi pubblici non possa essere considerato un elemento di "indottrinamento", perciò non comporta una violazione dei diritti umani. "Le autorità - dice la Grande Camera - hanno agito nei limiti della discrezionalità di cui dispone l'Italia nel quadro dei suoi obblighi di rispettare, nell'esercizio delle funzioni che assume nell'ambito dell'educazione e dell'insegnamento, il diritto dei genitori di garantire l'istruzione conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche".