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Piazza della Loggia, 44 anni fa la strage a Brescia

Cronaca
Foto d'archivio: Ansa

I feriti furono più di cento. Decenni di processi hanno portato alla condanna all'ergastolo di due uomini considerati gli esecutori dell'attentato: Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, esponenti dell'estrema destra

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Erano le 10.12 del 28 maggio 1974 quando in Piazza della Loggia a Brescia, durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista, esplose una bomba che uccise 8 persone e ne ferì più di cento. L'ordigno era nascosto in un cestino dei rifiuti. Fu uno degli attentati più gravi degli anni di piombo e dopo decenni di indagini e processi, per l'attentato sono stati condannati all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte in quanto menti ed esecutori materiali dell’attentato. Ecco i momenti fondamentali della vicenda nei suoi 44 anni di storia.

La strage

In pieno centro a Brescia era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Erano presenti il sindacalista della Cisl Franco Castrezzati, Adelio Terraroli del Partito comunista italiano e il segretario della Camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. Tantissime le persone in piazza. Allo scoppio dell’ordigno, sei morirono subito, altre due dopo ore di agonia in ospedale. Le vittime furono Giulietta Banzi Bazoli, insegnante di francese, 34enne madre di tre bambini; Livia Bottardi, 32 anni, insegnante di lettere morta davanti al marito, Manlio Milani, che si era allontanato per salutare un amico (diventerà il presidente dell’Associazione familiari dei caduti di Piazza Loggia); Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica, e la moglie Clementina Calzari, 31 anni, anche lei docente; Euplo Natali, 69 anni, pensionato ed ex partigiano; Luigi Pinto, 25 anni, insegnante; gli operai Bartolomeo Talenti, 56 anni e Vittorio Zambarda, 60 anni. I funerali si svolsero nella stessa Piazza della Loggia alla presenza dell'allora capo dello Stato Giovanni Leone, del presidente del Consiglio Mariano Rumor e dei principali leader di partito. Arrivarono centinaia di migliaia di persone a rendere omaggio alle vittime.

Il primo processo e l’omicidio di Buzzi

Partì l’inchiesta. Il 2 giugno 1979 i giudici della Corte d'assise di Brescia condannarono alcuni esponenti dell'estrema destra bresciana. Fra questi Ermanno Buzzi, considerato uno degli esecutori della strage, all’ergastolo. Dieci anni invece ad Angelino Papa, anche lui sospettato di aver infilato la bomba nel cestino. Molti altri imputati vennero assolti o condannati a pene inferiori per detenzione di esplosivi o per altri attentati. Il 18 aprile 1981 Buzzi era nel supercarcere di Novara in attesa d'appello quando fu strangolato dai neofascisti Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. I due motivarono l'omicidio con il fatto che Buzzi fosse "pederasta" e confidente dei carabinieri, ma il sospetto è che temessero fosse intenzionato a fare dichiarazioni nell'imminente processo d'appello. Il 2 marzo 1982, nel giudizio di secondo grado, le condanne diventarono assoluzioni, le quali a loro volta vennero confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione. Nelle motivazioni Buzzi venne definito "un cadavere da assolvere".

Nuove indagini, nessun colpevole

Un secondo filone di indagine partì nel 1984 dopo le rivelazioni di alcuni pentiti, tra cui Angelo Izzo, e dopo che la Cassazione annullò la sentenza di appello e dispose un nuovo processo per i neofascisti Cesare Ferri, Alessandro Stepanoff e Sergio Latini. Gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena.

La terza inchiesta, altro processo: tutti assolti

Una terza inchiesta partì nel 1993: oltre una decina gli indagati. Ma la sentenza arrivò parecchi anni dopo: il 16 novembre 2010 la Corte d’assise di Brescia assolse gli imputati Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Revocata la misura cautelare nei confronti dell'ex esponente del gruppo di estrema destra Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, che vive tuttora in Giappone. Nel 2012 la sentenza fu confermata in secondo grado dalla Corte d'appello di Brescia. ''Abbiamo fatto tutto il possibile. È una vicenda che va affidata alla storia'', dicihararono i pubblici ministeri.

Condanne all’ergastolo

Nel 2014, dopo il ricorso del procuratore generale di Brescia (per tutti, tranne che per Delfino), la Cassazione stabilì che dovevano essere approfondite le posizioni di Maggi e Tramonte: quest’ultimo era anche un collaboratore dei servizi segreti. Fu chiesto così di annullare le assoluzioni disposte in secondo grado per i due uomini e di fare un nuovo processo. Carlo Maria Maggi, in particolare, venne accusato di essere "l'esecutore e il mandante" della strage. Nel luglio 2015 la Corte di assise di appello di Milano, nel processo-bis di secondo grado, affermò che la strage fu di matrice ordinovista e condannò in secondo grado all'ergastolo e a tre anni di isolamento diurno Maggi e Tramonte. I giudici milanesi disposero risarcimenti a favore dei familiari delle vittime e dei feriti dell’attentato per circa quattro milioni e mezzo di euro.

Due colpevoli per la strage

Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione confermò in via definitiva la condanna all'ergastolo inflitta a Carlo Maria Maggi e a Maurizio Tramonte. Dopo la condanna, Tramonte cercò rifugio in Portogallo ma fu fermato a Fatima e poi estradato in Italia. Oggi sconta la sua condanna nel carcere di Rebibbia. Maggi ha più di ottant'anni, condizioni di salute precarie e vive a Venezia, alla Giudecca: rimane in detenzione domiciliare.