Le attrezzature da pesca sono una minaccia per la salute di mari e oceani
AmbienteGreenpeace ha raccolto i dati sull'inquinamento causato da reti e altri dispositivi dispersi negli oceani e chiede un'azione immediata per salvaguardare la vita marina
Le reti da pesca di plastica abbandonate, così come trappole e fili di nylon usati per la stessa attività, sono una grande minaccia alla vita marina e sono anche la causa principale dell'inquinamento degli oceani. Lo sostiene Greenpeace, che chiede un intervento internazionale per contrastare questo fenomeno.
Il report
Nel report "Ghost Gear: The Abandoned Fishing Nets Haunting Our Oceans", siglato dall'associazione ambientalista, sono riportati alcuni numeri relativi all'inquinamento causato dalle attrezzature da pesca. Secondo tali dati ogni anno più di 640mila tonnellate di materiale plastico impiegato nella pesca commerciale è gettato in mare. Si stima che costituisca il 10% dei rifiuti plastici in mare e oceani, ma sono quelli che inquinano di più, coprendo una superficie maggiore. Uno studio recente sul Great Pacific Garbage Patch ha rivelato ad esempio che l'ammasso di rifiuti situato nell'Oceano Pacifico settentrionale è fatto di 42mila tonnellate di macroplastica, di cui l'86% costituito da reti da pesca.
Killer invisibile
A giugno 2019 due capodogli sono morti a causa delle reti da pesca al largo di Palmarola. Stesso destino è toccato a un delfino, ad agosto 2019, ritrovato morto su una spiaggia di Marzocca. "Molto tempo dopo l'uso iniziale, i dispositivi per la pesca continuano ad uccidere e mutilare creature marine, oltre a inquinare anche ecosistemi remoti", si legge nel report. L'analisi delle conseguenze dell'abbandono delle reti è stato condotto nella zona di Mount Vema, una montagna sottomarina nell'Oceano Atlantico, a mille chilometri dalla costa sudafricana. "Abbiamo trovato un mondo sottomarino fantastico, pieno di vita e di colori. È molto triste vedere il lascito distruttivo della pesca in un luogo remoto come questo".
Necessaria un'azione globale
"Le 'reti fantasma' sono la causa principale dell'inquinamento marino e ciò influenza la vita acquatica", ha spiegato Louisa Casson, volontaria di Greenpeace intervistata dal Guardian. Possono rimanere in acqua per anni e decadi, intrappolando dai piccoli pesci ai crostacei, e mettendo in pericolo anche gabbiani, tartarughe e balene. Inoltre le correnti le portano ovunque, arrivando a contaminare anche le coste artiche o le isole del Pacifico. "I governi mondiali devono agire per proteggere i nostri oceani e chiamare l'industria ittica, poco regolamentata, a rispondere per i propri rifiuti pericolosi", ha concluso Casson.