11 settembre: 20 anni che valgono un secolo

Le storie

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Il portavoce

Ari Fleischer, portavoce del presidente George W. Bush (2001-2003)

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La reazione di Bush - © Paul J. Richards/Afp via Getty Images

Le prime telefonate - © Getty Images

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Ricordo ancora nitidamente quando arrivammo alla scuola elementare Emma Booker di Sarasota, in Florida.

Non c'erano gli smartphone, quindi avevo un vecchissimo cercapersone. Sullo schermo lessi: "Un aereo ha colpito il World Trade Center".

Poco dopo ero nella classe con il presidente mentre leggeva a degli studenti, e ricevetti un secondo messaggio. Diceva: "Un aereo ha colpito la seconda Torre".

Trenta secondi dopo, il capo dello Staff Andy Card entrò e bisbigliò all'orecchio destro del presidente: "Siamo sotto attacco. Un secondo aereo ha colpito la seconda Torre. L'America è sotto attacco".

Alle 10.32, sull'Air Force One, il presidente era al telefono con il bunker sotto la Casa Bianca, il PEOC, Centro Operativo Presidenziale di Emergenza. Dall'altro capo del telefono c'era Dick Cheney, il vicepresidente.

Cheney gli disse che nella Situation Room era appena arrivata una telefonata: "Angel is next". Angel era il nome in codice dell'Air Force One. Ma nessuno avrebbe dovuto sapere quel soprannome. A quel punto, cominciammo a pensare che fosse un attacco dall'interno. E che l'Air Force One fosse in pericolo.

Poi si scoprì che quella minaccia era un fraintendimento: un funzionario dell'intelligence della Situation Room aveva sentito di una telefonata che diceva "L'Air Force One è il prossimo" e l'aveva tradotta con "Angel è il prossimo". Ci mettemmo un mese a venirne a capo.

Non ci volle molto per i consiglieri del presidente a capire che si trattava di Osama Bin Laden. Gli attacchi cambiarono tutto, per la presidenza Bush. Era stato eletto su questioni di politica interna, d'altra parte l'Unione Sovietica era collassata e noi ci stavamo godendo i frutti della pace. Nel giro di pochi minuti, quella mattina divenne un presidente di guerra. E tutto, dall'11 settembre in poi, fu fatto in preparazione di una guerra. Per la pianificazione di un attacco in Afghanistan, per far pagare coloro i quali avevano eseguito questo attacco all'America, per cambiare il nostro approccio al terrorismo in modo che non potesse mai più accadere.

Il sopravvissuto

Joe Dittmar, SWYYFT

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Ci trovavamo nella Torre Sud, al piano 105. Eravamo 54. Alle 8:46 eravamo in questa sala riunioni, quattro mura, nessuna finestra, un’unica porta. Tutto quello che vedemmo fu un tremolio delle lampadine. Non avvertimmo niente, non sentimmo niente, non si vedeva altro. Solo un tremolio di luci.

Un signore della EON, la compagnia presso cui eravamo in riunione, entrò e disse: "C'è stata una esplosione nella Torre Nord. Dobbiamo evacuare". Ci scortò alle scale antincendio più vicine. E disse che avremmo dovuto scendere a piedi 105 piani di scale. Fu allora che vedemmo una cosa incredibile. Un enorme buco nero sul fianco dell'altra Torre. Grigio e nero, con il fumo che usciva.

Fiamme di un rosso più acceso di quanto abbia mai visto che salivano lungo il fianco del palazzo. E potevi vedere attraverso il fumo e il fuoco in quel buco nero… pezzi di fusoliera di un grande aereo. Incastrate dentro il palazzo. Mi ricordo che pensai "Come diamine ha fatto il pilota a non vedere questo palazzo? Come ha fatto a sbagliarsi?". Non si era sbagliato.

Mi è andata bene perché non ho esitato. A parte al 90esimo piano quando ho avuto una piccola incertezza, sono uscito dal palazzo prima che crollasse.

Eravamo 8 isolati a nord della Torre quando scoprimmo che si trattava di un attacco terroristico. Passammo davanti a una lavanderia. La porta era aperta, e c'era la radio accesa che diceva di come questo fosse un attacco premeditato. Restammo a bocca aperta.

Dopo il 9/11 ci fu così tanta unità e solidarietà come non se ne vedeva dall'assassinio di Kennedy, o dall'attacco di Pearl Harbor nella Seconda Guerra Mondiale. Quando c'è un unico nemico comune, una causa, o una crisi, noi americani, ma anche noi cittadini del mondo, all'improvviso dimentichiamo tutte le sciocchezze e pensiamo che non ci sono cristiani, ebrei, neri, bianchi, progressisti, conservatori, democratici, repubblicani: ci siamo solo "noi".

La storia dell'11 settembre è una storia di forza d’animo e coraggio. Perché in quella nuvola nera ci furono molti, molti esempi positivi. Le decisioni coraggiose che le persone presero nelle torri. La dedizione dei pompieri e dei paramedici e della polizia di New York City che entrarono in quegli edifici e sapevano che se fossero saliti non sarebbero mai più scesi. Quanta forza d’animo e quanto coraggio: questo è ciò che vedemmo quel giorno. La natura umana al suo meglio.

Il ritardatario

Harry Waizer, Cantor Fitzgerald

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Chiunque fosse in ufficio, quel giorno, morì. Perdemmo 658 impiegati, i due terzi del personale dei nostri uffici di New York. Gli unici impiegati che sopravvissero furono quelli che non c’erano, o arrivarono tardi, o erano nell’atrio, oppure quelli come me. Fossi arrivato qualche secondo prima, neanch’io sarei qui.

Nel 2001 ero il capo degli Affari Fiscali di Cantor Fitzgerald. Avevamo gli uffici nella Torre Nord. Dal piano 101 al 107, o forse 106: eravamo davvero tanti, in cima a quel grattacielo. Quella mattina stavamo salendo con l'ascensore quando non so cosa successe, mi accorsi solo che l'ascensore ebbe uno scossone. E cominciò a cadere.

C'erano scintille che arrivavano dalla fessura tra le porte, provocate dallo sfregamento tra il metallo e il cemento o qualunque cosa fosse. E il rivestimento del pavimento prese fuoco. Avevo una piccola valigetta, cominciai a battere sulle fiamme, e quelle scomparvero. L’ascensore smise di cadere e iniziò a scendere. Fu in quel momento che una palla di fuoco entrò dalla fessura tra le porte. Le braccia e le gambe me le bruciai combattendo le fiamme. Ma la palla di fuoco mi colpì in faccia, mi entrò in gola e mi danneggiò i polmoni… e la voce. La voce di oggi non è quella che avevo prima.

Devo essermi mosso sotto adrenalina. Non sentivo niente. Solo un grandissimo senso di concentrazione: devi fare questo. Ed era tutto ciò cui riuscivo a pensare: devi raggiungere il piano terra, poi devi trovare un'ambulanza. Fu solo quando mi ritrovai sdraiato su quel lettino che mi lasciai andare, cominciai a tremare, sentii dolori e brividi.

Ci sono state altre crisi nel settore finanziario dopo l'11 settembre. Da una punto di vista puramente economico, alcune furono altrettanto gravi se non peggiori. Ma erano solo affari. L'aspetto personale dell'11 settembre fu qualcosa che nessuno di noi - tranne quelli che avevano una qualche esperienza della guerra - aveva mai provato prima in vita sua: era il senso di vulnerabilità. Subito dopo siamo stati un paese incredibilmente unito… e ovviamente non è durato. Avevamo divisioni prima dell’11 settembre, e tornarono dopo.

Il soccorritore

Steve Casquarelli, vigile del fuoco

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Quel giorno lavoravo. Ero in turno in caserma dalla sera prima, quando l’aereo colpì la Torre Nord. Il Dipartimento dei vigili del fuoco, i miei colleghi, perse 343 uomini. Perdemmo la maggior parte dei primi soccorritori che arrivarono sul posto, noi, il Dipartimento di Polizia, la Port Authority… Non tornai a casa fino al giorno dopo. Fui lontano per tre giorni, nessuno sapeva che cosa mi fosse successo fino a che non rientrai dalla porta.

Quando arrivammo, la cosa più impressionante era che le Torri erano edifici di 110 piani, ma si erano ridotte a un cumulo di macerie alte appena dieci. E il resto dei palazzi tutti intorno era avvolta dalle fiamme.

Il compito mio e della mia squadra fu subito quello di salire sulle macerie e cominciare a scavare, per vedere se riuscivamo a trovare qualche sopravvissuto.

Ne trovammo solo 18. L’ultimo, il giorno seguente, il 12 settembre, verso le 2.30 del pomeriggio. Per trovare qualcuno ancora vivo dovevi essere nel posto giusto al momento giusto. Ancora oggi dobbiamo identificare moltissimi resti. E l’unico modo di farlo è tramite il DNA.

L'11 settembre non fu soltanto a New York. Ci fu un terzo aereo che si schiantò a Shanksville, Pennsylvania, e un quarto che colpì il Pentagono. Da tutto il Paese ci fu un’enorme quantità di donazioni di ogni tipo. Arrivava denaro, vestiti, ci mandavano attrezzi. Persone da tutto il Paese fecero collette per raccogliere soldi e comprarci nuovi mezzi. Quel giorno ne perdemmo oltre un centinaio, quindi eravamo in difficoltà. Avevamo ancora il resto della città da proteggere e non avevamo una sola autopompa disponibile, quindi ci furono persone che le comprarono per noi, ce le portarono guidandole fino a qui, e poi se ne andarono.

La vicina di casa

Joan Mastropaolo, residente Lower Manhattan

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Fu il giorno più lungo della mia vita. Abitavo ad un isolato dal World Trade Center. La mattina dell’11 settembre mi svegliai, mi vestii e andai a lavoro a Jersey City. L’ufficio dava sul fiume Hudson, proprio davanti al profilo di New York. Avevo un panorama meraviglioso. Quello che ancora non sapevo, quella mattina, era che stavo per vedere tutto. Avevo un posto in prima fila per il peggior attacco sul territorio degli Stati Uniti.

L’11 settembre cambiò Lower Manhattan per sempre. Non fu più la stessa. Le Torri Gemelle erano edifici meravigliosi. Erano l’icona dello skyline. Ma tutto il World Trade Center era un posto stupendo. Per lavorare, ma anche per passare il tempo. C’erano negozi, ristoranti, caffè, banche, potevi comprare i biglietti per il teatro, nei giorni d’estate nella piazza potevi assistere a un concerto, era davvero un posto bellissimo.

Quando le Torri crollarono, quel giorno, furono perse molte vite ma anche la vita che quei grattacieli rappresentavano, perché le persone entravano e uscivano da quei palazzi tutto il giorno, tutti i giorni. Era una specie di città a se stante. Non sarà mai più così. Mai.

Eppure: quando fui in grado di tornare al mio appartamento, per me fu una vittoria. Fu il mio modo di dire alle persone che ci avevano fatto questo: non mi porterete via la mia casa. Mai.

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