Social Media Stories
episodio 2
Facebook e il caso Australia,
quali conseguenze per le news in Europa?
Alzi le mani chi legge le notizie su Facebook. Chi si è sentito dire "Io mi informo solo sui social". Chi si è lamentato "La gente legge solo su Facebook". Chi ha deciso "Io su Facebook non ci metto più piede, troppo qualunquismo", però poi ci è rimasto.
Ecco perché quando Facebook ha bloccato tutte le notizie, e non solo, in Australia, la scelta non è stata indolore.
Il governo di Canberra ha parlato di "bullismo": "Non ci faremo intimidire dai bulli del BigTech". Però poi al tavolo delle trattative ci si è dovuto sedere.
In questo secondo episodio di Social Media Stories cerchiamo di capire cosa è successo, cosa ci hanno guadagnato governo australiano e giganti del web e che impatto potrebbe avere sul futuro dell'informazione per noi europei.
L'Australia ha finalmente approvato il 24 febbraio la legge sull'editoria digitale a cui lavorava da anni, mirata a supportare le news online e a garantire loro accordi e retribuzioni da parte di Facebook e Google. Non è stata una passeggiata: il testo è stato modificato fino all'ultimo momento, e fino all'ultimo momento si sono succeduti colpi di scena e forzature da parte di tutti gli attori coinvolti.
L'Australia ha detto a Google, Facebook & co.: "O pagate i siti di news o niente più notizie sulle vostre pagine". Google ha risposto: "Parliamone"; Facebook ha risposto: "Ne faremo a meno". E così hanno fatto.
Il risultato è stato immediato e un po' pasticciato: in poche ore, dal 17 febbraio, le pagine Facebook dei principali giornali australiani e internazionali si sono visti azzerare i contenuti. Gli utenti australiani non potevano vedere né condividere link di news neppure provenienti da siti stranieri. E, vista la mossa affrettata, nel mucchio di pagine bloccate sono finiti anche enti governativi e siti di informazioni essenziali legati al Covid-19 e alla campagna vaccinale.
Una settimana dopo, Facebook e Governo australiano hanno trovato un accordo e il servizio di diffusione delle notizie è ripartito. Anche la proposta di legge, come dicevamo, è stata approvata dal Parlamento australiano. Ma le polemiche sono state così numerose da costringere il social network a pubblicare, il 24 febbraio, una comunicazione ufficiale su "La vera storia di cosa è successo con le news in Australia".
"Sono giornali ed editori
a guadagnare dalla presenza
su Facebook, non il contrario"
è la posizione dell'azienda di Mark Zuckerberg,
che ribadisce:
"Solo 1 contenuto condiviso su 25
ha a che fare con le notizie,
e gli utenti vorrebbero vederne anche meno"
La ricostruzione della vicenda fatta dagli autori di Facebook non è certo un testo di scuse. "Capiamo che molti media siano in difficoltà a causa della crisi del modello tradizionale di informazione e che guardino a Facebook come a una fonte di guadagno per recuperare le loro perdite, ma questo significa forse che dovremmo fare loro un assegno in bianco?", scrivono. Dal loro punto di vista la legge australiana, prima delle modifiche introdotte dopo la trattativa con FB, era profondamente ingiusta: "sarebbe stato come costringere i produttori di auto a pagare le radio per ospitarle a bordo, lasciando le radio libere di fissare il prezzo".
Ecco perché, dal punto di vista di FB, il compromesso trovato con il Governo australiano sul "media bargaining code" è il livello massimo di concessione possibile: stringeranno accordi con i media per la diffusione delle news quando vogliono, ma non saranno vincolati se potranno dimostrare di aver supportato il giornalismo locale.
Fin dall'inizio di questa vicenda era chiaro a tutti che gli occhi del mondo intero guardavano all'Australia come a un "caso-scuola". E se Facebook ha già avviato di propria iniziativa trattative con alcuni media negli Stati Uniti, in Francia e Germania, proposte di legge come quella australiana sono da tempo nei pensieri del governo canadese e statunitense, oltre che in quelli dell'Unione europea.
E qui entra in scena la nostra normativa comunitaria. Da tempo è work in progress il nuovo pacchetto sui Servizi e sui Mercati Digitali (DSA + DMA), due proposte di regolamento della Commissione Ue che, una volta valutate dai Paesi membri, rifinite e implementate daranno nuove regole e obblighi ai giganti del web in Europa. Di fatto indicheranno la nuova strada maestra per il funzionamento di internet, e ce n'è un gran bisogno considerando che l'ultimo riferimento è una Direttiva del 2000.... e di cose ne sono cambiate da allora.
Sono in molti a chiedere di introdurre già in quei testi sui servizi e sui mercati digitali un riferimento specifico all'obbligo di accordi retributivi tra motori di ricerca o social media ed editori.
In Europa un primo passo verso la regolamentazione dei rapporti commerciali tra editori e giganti del web, in realtà, era già stato fatto con le nuove regole sul copyright nel 2019. In particolare l'aggiornamento vincola i motori di ricerca a retribuire i media per la pubblicazione di anticipazioni degli articoli - i cosiddetti snippet - oltre una certa lunghezza.
"Lo 'snippet' può continuare ad apparire in un newsfeed di Google News, ad esempio, o quando un articolo è condiviso su Facebook, a condizione che sia "molto breve"".
Come per tutte le direttive approvate dal Parlamento europeo, però, la legge sul copyright deve essere trasposta nella normativa italiana. A fine ottobre è passata dal Senato alla Camera, ma c'è ancora molto lavoro da fare per trovare un accordo sui principali punti in discussione, tra cui proprio la definizione di "estratti molto brevi".
Le tempistiche di studio delle nuove leggi europee su internet sono lunghe, e senza dubbio il caso australiano verrà studiato con attenzione dagli esperti comunitari e dei singoli Paesi membri.
Se le proposte non piaceranno a Google, Facebook o ad altri interessati, magari anche in Europa avremo un simile braccio di ferro tra governi/istituzioni e aziende tech.
Di certo quel che il caso Australia insegna è che dal blocco delle notizie non ci guadagna nessuno. Un accordo verrà sempre trovato.
Il video del primo episodio di Social Media Stories
Il video del primo episodio di Social Media Stories