Le elezioni e il Coronavirus, viaggio lungo la A4
Da Grugliasco ai Colli Euganei, passando per Milano e Bergamo: da Ovest a Est, per raccontare il primo voto dopo lo scoppio della pandemia
GRUGLIASCO
È il 20 settembre 2020 e Torino si risveglia in una mattinata uggiosa.
I seggi hanno già aperto da qualche minuto, le strade sono ancora deserte, complice forse la fastidiosa pioggerellina che cade imperterrita dal cielo.
Il nostro viaggio parte da un comune distante 5 km dal capoluogo piemontese. Grugliasco, soprannominata anche “La Porta Ovest di Torino”, ha radici antiche che nascono dall’Impero Romano.
Da paese di campi, cascine, filande e filatoi, nel corso del Novecento diventa un polo industriale strategico per il Piemonte, attirando a sé nuovi immigrati che cercano lavoro nelle numerose fabbriche.
Oggi Grugliasco vanta 37.652 abitanti ed è storicamente una roccaforte del centrosinistra: dal 1993 al 2017 si sono alternati all’amministrazione comunale Democratici di Sinistra, Verdi, L’Ulivo e il Partito Democratico.
Qui la pandemia ha colpito duramente le Residenze Sanitarie Assistenziali e si sono registrate vittime soprattutto tra gli anziani ospitati in queste strutture. Sono stati momenti duri, in cui le comunicazioni erano difficili, e molte famiglie hanno provato il dolore di non poter vedere o salutare il proprio caro prima del decesso.
Durante il lockdown, l’intera città si è distinta in termini di assistenza alle persone sole e in difficoltà: gruppi organizzati e cooperative si sono mobilitati per portare, di casa in casa, medicine e beni di prima necessità. Un impegno riconosciuto anche dal Presidente Mattarella, che ha recentemente insignito della nomina di “Cavaliere al Merito” un giovane dipendente di una cooperativa grugliaschese.
Per questo motivo decidiamo di incontrare Carmen, 50 anni, facilitatrice di comunità e operatrice sociosanitaria. Ci diamo appuntamento davanti al seggio semideserto, popolato da qualche pensionato e dalle forze dell’ordine.
Carmen coordina da anni le azioni sul territorio a tutela degli anziani, dei malati e delle persone sole, in sinergia con la Protezione Civile.
La pandemia ha cambiato profondamente la sua professione: per tutta la durata del lockdown ha lavorato ininterrottamente da casa per tenere i contatti con i più fragili e con i positivi al virus, impossibilitati a uscire dalle proprie abitazioni.
Normalmente chi è impegnato nel sociale è abituato a incontrare di persona i soggetti bisognosi: negli scorsi mesi, non è stato così. Carmen ha dato il suo contributo via telefono e tramite videocall online.
Se vivere ventiquattr’ore su ventiquattro con i propri cari è stata una bella cosa, ascoltare per nove ore al giorno tutti i giorni, storie struggenti o di vite spezzate a causa del virus non è stato semplice.
Quando ci racconta dello stress accumulato in quei mesi difficili, i suoi occhi si spengono, lasciando spazio a un’espressione seria e tesa. Ma subito aggiunge: "Molte di queste persone le ho conosciute di persona una volta terminato il lockdown ed è stato molto bello, ho ricevuto moltissimi inviti, torte tramite i volontari. Molti sono venuti allo sportello autonomamente per conoscerci".
Poi, un grande sorriso nasce da sotto la mascherina e le dipinge il viso di speranza: “Ho avuto un momento di défaillance ma poi mi sono ripresa. Oggi faccio molto più di quanto già non facessi prima”, afferma serena.
Carmen sapeva già da tempo che oggi sarebbe venuta a votare ma, rispetto ad altre volte in cui si è sentita più partecipe, questo referendum non la coinvolge emotivamente. Ci ha raccontato che, capitando in un momento così strano della nostra storia, non lo percepisce come un evento saliente, proprio perché ci sono altre cose più importanti a cui pensare.
MILANO
Salutata Carmen, ci rimettiamo in viaggio in direzione Navigli, Milano. Arrivati in città senza aver fatto un solo minuto di coda in autostrada, troviamo parcheggio in pieno centro, a pochi passi dal seggio elettorale.
Il quartiere dei Navigli è tra i più antichi del centro di Milano e mantiene negli anni una bellezza fuori dal tempo fatta di case di ringhiera.
Non è sempre stato così: da canali navigabili usati per trasportare merci e persone fino al mare, facendo della città meneghina una “piccola Venezia”, i Navigli sono divenuti deposito di scarichi industriali.
Poi, sono iniziati i lavori di recupero che hanno reso il quartiere dei Navigli uno dei più vivi della città. Oggi non sono più abitati da artigiani, operai e rigattieri, come un tempo.
La popolazione dei Navigli è cambiata, e Milano è cambiata con loro: la città che ha scelto per anni amministrazioni di centrodestra composte da Lega Nord prima, e Forza Italia dopo, dal 2011 è guidata dal centrosinistra, con il Partito Democratico in testa.
Sede indiscussa della vita notturna milanese, il quartiere dei Navigli nei mesi scorsi è stato al centro delle polemiche, durante il lockdown e dopo, per via della gente che in alcuni casi affollava le sponde del Naviglio Piccolo.
Milano ha registrato molti contagi da Covid-19, ma le persone non si sono mai date per vinte. Una di loro è Maria, 35 anni, imprenditrice. Ci incontriamo in un parchetto nei pressi del seggio, che è la stessa scuola in cui Maria ha frequentato le elementari. Sono le 10 e non c’è molta affluenza. Il marciapiede e le pareti esterne all’edificio sono tappezzati di adesivi per far rispettare la distanza di sicurezza.
Maria ha una gelateria artigianale sui Navigli con un socio, Stefano, e ha lavorato sodo di anno in anno per fare sempre meglio. Il quartiere è frequentato tanto dai milanesi quanto dai turisti, ma durante il lockdown il tempo si è annullato, e con esso sono sparite le tantissime persone che battono le sue strade quotidianamente.
Dopo aver chiuso i battenti del negozio come da decreto, lo ha riaperto dopo un mese effettuando consegne a domicilio, che però non bastano da sole a far quadrare i conti.
La pandemia ha penalizzato fortemente l’attività di Maria, che se prima aveva l’obiettivo di rinnovarsi, sperimentare e migliorare, oggi lavora per sopravvivere. Persi i tradizionali incassi dei mesi estivi, è riuscita a tornare a pieno ritmo solo a settembre, ma con una grossa incognita: chi mangerebbe mai un gelato all’aperto a dicembre?
Infatti, la sua gelateria rimane aperta anche nei mesi invernali, ma i suoi interni sono troppo stretti per far rispettare le distanze tra i clienti, che affollerebbero il locale.
Negozio a parte, Maria non ha avvertito la solitudine durante il lockdown: ha condiviso la casa insieme al padre, ha fatto yoga con le amiche e anche tutte quelle cose che non si hanno mai il tempo di fare, come le orecchiette con la mamma, anche se solo in videochiamata. Poi accendeva la televisione, ma le notizie erano sempre negative e scoraggianti.
"Quando ho riaperto per il delivery e uscivo per le strade, Milano era spettrale, mai vista così, pazzesco. Davanti al Duomo non c’era nessuno". Per questo oggi ha trovato una spinta in più per andare a votare: “Fino ad ora non abbiamo mai vissuto dei periodi in cui c’era davvero bisogno di aggrapparsi alla politica”, dice. “Io ho sempre votato, ma quest’anno è sorta in me l’esigenza di partecipare per migliorare una situazione critica”.
Oggi Maria vota con la coscienza di chi sa di voler mettere un punto e ricominciare. "In molti rimaniamo fuori dalla politica, perché non abbiamo vissuto periodi in cui c’era bisogno di credere fortemente in qualche idea. Spesso ci sentiamo persi, scollegati da questo mondo. Ma in questo momento, il più difficile che io ho vissuto, mi interesso di più, sento l’esigenza di capire, perché voglio che tutto funzioni bene, che le decisioni vengano prese nella maniera corretta. Sono un po’ più vicina al voto, al desiderio di dare il mio parere".
"Quando ho riaperto per il delivery e uscivo per le strade, Milano era spettrale, mai vista così, pazzesco. Davanti al Duomo non c’era nessuno"
BERGAMO
La tappa successiva del nostro viaggio è Bergamo, la città ai piedi delle prealpi Orobie.
Bergamo e il suo territorio sono stati duramente colpiti dalla pandemia, a cui hanno saputo reagire con coraggio e determinazione. Tutti abbiamo ancora impresse negli occhi le drammatiche immagini delle bare trasportate dai camion dell’esercito, lo scorso marzo.
Le mura venete, patrimonio dell’umanità dal 2017, costeggiano e dividono il territorio. Con il tempo, mulini e filatoi sono stati sostituiti da piccole-medie imprese, grandi industrie alimentari e grosse fabbriche metalmeccaniche.
In città c’è stata un’alternanza amministrativa notevole: dal 1995 al 2014 si sono susseguiti Popolari, Forza Italia, Lista Civica di Sinistra e il Popolo della Libertà. Dal 2014 il Partito Democratico amministra questo comune.
Quando arriviamo al seggio sono le 12 e c’è un gran movimento di persone per accedere all’interno della struttura non scolastica scelta per il voto.
È qui che incontriamo Giovanni, 66 anni, pensionato ed ex funzionario direttivo del Comune di Bergamo. Da poco sposato con Gabriella, la coppia aveva programmato un viaggio alle Maldive lo scorso marzo, ma non sono mai partiti.
Proprio a marzo, Giovanni e Gabriella vengono ricoverati d’urgenza in ospedale e la loro vita subisce un drammatico stop. Mentre Gabriella viene dimessa e continua a seguire di giorno in giorno lo stato del marito grazie agli operatori sanitari, Giovanni resta due mesi interi in terapia intensiva, lottando con tutte le sue forze, tra la vita e la morte, per sconfiggere il Covid-19.
Lontano da sua moglie, dai suoi cari, lontano dalla vita reale, senza telefono, libri o qualsiasi altro oggetto, vive in un incubo. Il suo ricovero dura sei lunghissimi mesi, ma alla fine Giovanni ce la fa e sconfigge il virus.
Ma questa malattia è infida, e Giovanni ne porta ancora i segni addosso: è stato operato ad entrambi i polmoni, ha una corda vocale danneggiata, ha perso 30 chili e ha fatto molta riabilitazione per riuscire a camminare sulle sue gambe.
“Essere così vicini alla morte, come nel mio caso, ti segna per sempre. In terapia intensiva non ero lucido: il dolore e l’effetto dei farmaci facevano sì che la realtà si mischiasse al sogno. L’aiuto di mia moglie è stato prezioso, perché non ero in grado di prendere delle decisioni per me stesso. Quando mi hanno dimesso dalla terapia intensiva credevo di essere quello di prima, ma il corpo non mi ubbidiva più: dopo mesi trascorsi a letto dovevo rimettermi in piedi con umiltà e tanta fatica. Il percorso di riabilitazione intrapreso con fisioterapista, logopedista e l’equipe medica non è stato semplice, ma una volta dimesso dall’ospedale - dopo sei lunghi mesi - è stata una grande emozione per me ritrovare tutti gli affetti che non vedevo da tanto, tanto tempo”.
Oggi Giovanni cammina con sua moglie verso il seggio, aiutato dalle sue racchette da camminata per andare a votare.
E vuole assolutamente andare alle Maldive con Gabriella, non appena il tormento del Covid-19 sarà solo un ricordo passato.
COLLI EUGANEI
Il nostro viaggio prosegue quindi verso il profondo Veneto. Le mete sono Baone e Vo’, paesini vicini che, messi insieme, contano poco più di 6000 anime.
Qui il tempo sembra essersi fermato agli anni Ottanta e si respira il buon vecchio profumo della provincia. Circondati da territori rurali e collinari, Baone e Vo’ sono stati importanti crocevia di scambi commerciali già prima di subire l’influenza politica della Serenissima Repubblica di Venezia.
Oggi questi paesi vivono dei loro vini DOC e DOCG, di turismo e dell’estrazione della trachite. Come nella maggior parte dei paesi dell’entroterra veneto, la tradizione politica è conservatrice: dal 1995 al 2019 si sono susseguite amministrazioni formate da liste civiche che guardavano con simpatia alla destra.
Arriviamo a Baone, comune di residenza di Alfonso, dirigente scolastico di Vo’, Lozzo Atestino e Cinto Euganeo, in provincia di Padova. Alfonso ha 43 anni e si è trovato direttamente coinvolto nelle vicende legate al primo focolaio italiano nella pandemia da Coronavirus.
Vo’ è diventato tristemente noto per aver fatto registrare il primo decesso causa Covid-19 in Italia ed è stato il primo comune in Europa ad aver chiuso le scuole, ma anche il primo in assoluto a riaprirle, con una cerimonia alla presenza del Presidente Mattarella di cui sono ancora testimoni decine di bandierine e coccarde tricolori per le strade.
Alfonso ci racconta che qui il gradimento scolastico si attesta intorno al 96% perché, al diffondersi della pandemia, la scuola ha risposto rapidamente alle esigenze delle famiglie ma soprattutto degli alunni più bisognosi: “Noi vogliamo dare un dispenser emozionale ai nostri studenti, quello che abbiamo chiamato un materasso emotivo. Noi siamo una scuola e non un presidio sanitario: poniamo al centro dei valori educativi forti, la capacità di lavorare in gruppo, l’opportunità di risolvere problemi. Ad aprile avevamo tutti gli studenti connessi solo dopo 40 giorni, offrendo loro più di 100 tablet e pc".
Per Alfonso, questo è un giorno emozionante: dopo più di dieci anni, oggi torna a votare. Tutto quello che è successo a Vo’ negli ultimi mesi lo ha portato a voler essere protagonista della politica del suo paese.
La paura del contagio è ancora palpabile, ma i vadensi sono gente forte che non si arrende facilmente.
PESCHIERA DEL GARDA
L’ultima tappa del nostro viaggio è Peschiera del Garda.
Con le sue caratteristiche casette arroccate lungo il Mincio, unico affluente del maestoso Lago di Garda, è una città gioiello ricca di storia e tradizioni, distante solo 25 km da Verona.
Il suo specchio d’acqua è stato ammirato prima dai Galli, poi dai Romani, per passare successivamente nelle mani di Francesi e Austriaci, che ne fecero una delle quattro fortezze del loro sistema difensivo a Quadrilatero.
Oggi questo comune conta oltre 10.900 abitanti ed è saldamente di destra. Qui, la Lega ha amministrato ininterrottamente dal 1993 al 2014, cedendo il passo a una lista civica che è stata rieletta nel 2019 per il suo secondo mandato.
È qui che incontriamo Thomas, 19 anni, studente al primo voto che arriva tardi dalla sua ultima giornata di lavoretto estivo, dopo una veloce doccia.
La sua vita procede normalmente tra scuola, studio e amici. Poi, come un fulmine a ciel sereno, a febbraio arriva il Covid-19 e chiudono le scuole, iniziano le videolezioni e si fanno le verifiche online.
Durante il lockdown resta a casa con la sua famiglia. Vive bene la loro vicinanza, ma sente il bisogno di ritagliarsi degli spazi solo suoi.
Al mattino si sveglia alle 7 e segue le lezioni fino alle 14, dopodiché non sa più cosa fare. Si inventa di tutto: passa da giocare alla Playstation, al fare un aperitivo in videochiamata con gli amici. Poi inizia ad allenarsi un po’, perché la mamma è diventata la chef di casa e lui vuole restare in forma.
Prima del Covid-19, Thomas non ha progetti definiti per il futuro: il suo scopo principale è terminare gli studi e decidere cosa fare dopo un’estate trascorsa a lavorare sodo per mettere qualche soldo da parte. Dopo il lockdown, sceglie di iscriversi a scuola per conseguire un diploma: lui vuole lavorare, e ha paura che senza una certificazione adeguata non possa riuscire a trovare un posto di lavoro su misura delle sue ambizioni.
Oggi Thomas è al suo primo voto, e non ha mai avuto modo di dare molta importanza alla politica. Nell’ultimo mese lui ha fatto la sua parte, confrontandosi con i genitori e ascoltando il parere di persone fidate. Così si è fatto un’idea di chi votare alle regionali e cosa votare al referendum, ma sa che ai suoi coetanei non interessa particolarmente la politica.
Ora pensa che il voto sia fondamentale per esprimere le proprie idee. Forse uno dei diritti più importanti - ci dice candidamente - che si hanno nella vita.
CREDITS
Testi e interviste: Giada Luna Giallombardo
Fotografia: Alberto Cabodi
A cura di: Lorenzo Pregliasco - Alberto Cabodi - Andrea Dambrosio
Shorthand: Floriana Ferrando - Andrea Dambrosio