La solitudine

oltre il parto

@Getty

@Getty

Stanche, inesperte e lasciate sole. Sono le voci di centinaia di neo-mamme che da giorni sui social raccontano la propria esperienza dopo il drammatico caso del neonato morto al Pertini di Roma: la madre si è addormentata mentre stava allattando il figlio, stremata da 17 ore di travaglio. Le era stato negato l’accesso al nido per consentire il rooming-in, la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza in un tempo più lungo possibile durante le 24 ore. Quando si è svegliata il neonato era senza vita. “Dopo il parto veniamo abbandonate, quella mamma potevo essere io”, è il loro grido.

"La sera del parto, in ospedale dopo 15 ore di travaglio e cesareo d'urgenza, mi sono addormentata sfinita, con mia figlia Giulia sul petto. Mi sono svegliata urlando perché non c'era più e pensavo fosse caduta a terra e invece per fortuna mia mamma me l'aveva messa nella culla. Poteva capitare a tutti".

Angela

Nel 2012, dopo un cesareo d'urgenza nel pomeriggio, alle nove di sera chiesi se potevano portare la bimba al nido perché io non sarei stata in grado di accudirla, di fatto non avevo ancora riacquistato la completa sensibilità alle gambe ed avevo un feroce mal di testa, oltre alla debolezza che un parto comporta... Ebbene, mi fu risposto che la bambina in via eccezionale la portavano al nido, ma mi chiesero cosa li facciamo a fare i figli se poi non li vogliamo.

Lisa

"Io sono stata abbandonata dopo 20 ore di travaglio, non riuscivo ad alzarmi dal letto perché le gambe erano ghiacciate, non le sentivo più dopo gli anestetici che mi hanno fatto, epidurale ecc… Il bambino è nato con la ventosa, mio marito è stato 10 minuti dopo aver partorito e sono dovuta rimanere tre giorni senza l'aiuto di nessuno. Ero stremata, quando mi alzavo perdevo sangue dai punti e mi dovevo occupare di mio figlio. Questi ospedali sono una vergogna".

Nicole

Il parere della psicoterapeuta: "Mai far sentire incapaci le neo mamme, il rischio è la DPP"

Silvia Recchia, psicologa e psicoterapeuta familiare e relazionale, chiarisce che per le neo mamme sarebbe fondamentale un supporto fin da subito, "perché può avvenire un crollo emotivo importante, e che può essere il preludio dell’esordio di una depressione post partum. Importante è che la neo mamma non sia fatta sentire "incapace", mentre spesso il supporto in ospedale è carente. "Ed è pericoloso sentirsi dire nei primi giorni frasi come 'questo dovresti saperlo già fare' oppure 'te l'ho già spiegato'. La psicoterapeuta spiega che cadere nella depressione post partum "è molto facile". E tra i fattori di rischio ci sono appunto quello del mancato sostegno "sia fuori che dentro l’ospedale. Il supporto dovrebbe essere sia pratico che emotivo. Due esempi banali: se ho una crisi di pianto perché sono stanca, devo sapere che mi è concessa. Così come mi deve essere concesso il sonno o il tempo di una doccia". Il rooming-in? La via giusta sarebbe alternarlo al nido. "Credo che un formula mista sia la soluzione migliore: averlo vicino, ma anche permettere alla mamma di dormire qualche ora". Va ricordato, spiega, che una volta che il bimbo nasce finisce il lavoro del ginecologo, la figura di riferimento durante i nove mesi, mentre inizia quello della mamma. Che però da quel momento inizia a essere sola.

"Mamma, bisogna che te la cavi da sola, a casa noi non ci saremo". Sono le 3 di notte, mia figlia è nata alle 19, dopo oltre 20 ore di travaglio. Ci siamo appena svegliate, io e Agnese, entrambe dopo 3 ore di riposo. Urla e piange, ha fame e devo attaccarla al seno. L'ho fatto solo una volta prima di quel momento, subito dopo il parto, mentre mi ricucivano sotto dosi massicce di anestesia locale. Ora l'effetto è svanito, ho il coccige lussato e non riesco a stare seduta. Le altre mamme e i loro bimbi dormono. Non voglio che il pianto della piccola li svegli privando anche loro del meritato riposo. Mi alzo a fatica e arrivo in infermeria. Chiedo una mano per attaccare la bimba al seno e l'infermiera mi dice proprio così: "Mamma, bisogna che te la cavi da sola, a casa noi non ci saremo". Lo so, lo so, le rispondo, è che non riesco a stare seduta e faccio fatica, mi sentirei più tranquilla se mi aiutasse. "Se hai male chiedi un antidolorifico e non fare tante storie". Prendo l'antidolorifico che mi porge con aria stizzita e, ringraziandola "per i preziosi consigli", allatto mia figlia come viene stringendo i denti dal dolore. Non una parola di comprensione, non un sorriso, non un aiuto, per due giorni (solo e per fortuna). La cosa che mi dava più fastidio era il modo in cui usavano la parola "mamma". Non c'era niente di tenero, dolce. Sembrava quasi un monito, come a dire, ora che sei diventata mamma non ti devi più lamentare, una mamma robot. Una mamma che secondo lo stereotipo non può lamentare dolore, paura, fame, freddo, sonno. Oh, e di sonno dopo 20 ore di travaglio ne hai tanto. Tante volte mi sono addormentata in quel letto d'ospedale con mia figlia sdraiata accanto a me. Ho rischiato? Sicuramente, ma il dolore era troppo, non riuscivo a stare seduta in alcun modo e appena mi sdraiavo e allattavo non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Cosa avrei dovuto fare? Al mio compagno non era consentito stare con me per più di 15 minuti. Comunque nessuno mi ha mai detto nulla. No, il problema non è il rooming in, non è nemmeno la carenza di personale. Il problema è che per fare un lavoro del genere devi essere una persona empatica. Devi sapere trattare le donne che ti sono state affidate con gentilezza e devi avere la capacità di accogliere la loro fragilità e le loro paure; devi sapere aiutare, sostenere, capire quando è troppo. Io questo riguardo l'ho avuto solo durante le brevi visite delle ostetriche e da quello che leggo in giro devo anche ritenermi fortunata. Non sono i protocolli che devono essere cambiati, ma le idee: l'idea che una donna nasca naturalmente votata al sacrificio e che diventi madre naturalmente partorendo con dolore. Che se si lamenta ora non sa cosa l'aspetta poi, poveretta, perché a casa loro non ci saranno e naturalmente sarà sola. Ecco, in quella solitudine non c'è nulla di naturale. È una costruzione socialmente determinata da una prospettiva patriarcale di cui queste figure si fanno ancelle. No, io sapevo, ed era quello a darmi sollievo, che a casa ci aspettava la persona con la quale ho scelto di avere un figlio, che di noi si è presa cura e che non ci ha abbandonato, ma ci ha accolto e sostenuto. Come è naturale. Che la nostra casa l'abbiamo costruita su una prospettiva differente.

Martina

"Mia nuora aveva chiesto di tenere il bambino al nido per quella notte perché stanca, le hanno risposto che si doveva abituare, e che se non se la sentiva di fare la mamma ci doveva pensare prima!"

Pina

Io ho partorito due volte, nel 2015 e lo scorso novembre, due cesarei, il primo di urgenza. Nel 2015 almeno facevano entrare il marito, i parenti a qualsiasi ora… la prima notte fecero rimanere mio marito in stanza… penso di aver cambiato mio figlio la prima volta a casa.
Questo novembre invece poteva venire il padre 40 minuti al giorno e l’assistenza ostetrica/infermieristica non era sufficiente per tutte le mamme… dopo 4 ore da un taglio cesareo in anestesia generale ero in piedi ad accudire mio figlio, sarebbe inimmaginabile dopo qualsiasi intervento chirurgico paragonabile.
Sicuramente la vicinanza del bambino favorisce l’allattamento ma se si hanno i mezzi per accudire mamme e neonati nelle proprie stanze!

Alessia

I dati su personale e parti

Come vediamo da questa mappa dell'Eurostat, nell'Unione europea l'Italia non è tra i Paesi peggiori per carenza di personale specializzato in ostetricia e ginecologia. Secondo i dati del 2020, in Italia si conterebbero in queste aree 20 medici ogni centomila abitanti. 

L'Oms ha stabilito la soglia standard di 500 parti l'anno per valutare l'idoneità di un punto nascita. Eppure, nel più del 30% delle strutture italiane questa direttiva non è rispettata.

"Dove ho partorito io poteva restare con me una donna per tutto il tempo che stavo io e mio figlio e devo dire che è stato un grandissimo aiuto! Come si fa a restare sole dopo un parto? Fate restare una persona con loro almeno la prima notte!"

Melania

Ho partorito per la seconda volta (la prima con parto naturale) con taglio cesareo e anestesia totale 30 anni fa. Il mio cesareo è stato per me già di suo traumatico: non mi ero ancora addormentata quando hanno iniziato a operarmi col bisturi e ho creduto davvero di morire... per molte ore una volta sveglia non sono riuscita a raccontarlo.
A quei tempi per fortuna i neonati stavano nella nursery e per me che avevo subito un cesareo è stato un bene... Ho un ricordo ancora molto nitido di me che con i dolori di schiena. Dopo l'intervento durante la notte mi hanno portato la mia bambina per allattarla... Io felicissima di quel momento così intimo, ma a un certo punto ho iniziato a tossire (per via dell'intubazione) e più tossivo più i punti tiravano, la mia piccola piangeva e io mi vergognavo di non essere stata capace di vivere quel momento come avrebbe dovuto essere... Fui costretta a dire all'infermiera di prendere mia figlia... non ce la facevo... con un senso di frustrazione e vergogna che non avrei dovuto provare... Penso che sia capitato a tutte le mamme, almeno una volta di crollare di sonno mentre si allatta. E che sia necessaria una rete a sostegno delle donne che mettono al mondo un figlio.

Laura

"Quando ho partorito la mia prima figlia ero distrutta e dolorante, mi hanno lasciata totalmente da sola, con la bambina H24 in stanza, anzi se chiamavi qualcuno si stizzivano pure! Ci sarebbe potuta essere ognuna di noi in una situazione simile!"

Federica

"Io ho partorito il 18 novembre del 2022, mio figlio me l'hanno portato subito dopo i controlli pediatrici ma l'infermiera e l'ostetrica mi ha detto: “dopo che allatta lo metta nella culla”. Io così ho fatto anche se mi dispiaceva perché avrei voluto stesse con me nel letto. Negli ospedali manca proprio un po' di umanità, soprattutto le infermiere donne che ti trattano come se fossi di ferro".

Yolanda

Io ho partorito nel 2021 con parto cesareo e non ho avuto la mia bambina in stanza solo perché ha avuto bisogno della culla termica e sono riuscita a riprendermi. Appena partorito i bambini vengono portati subito in stanza dalle mamme sfinite, penso che invece debbano restare al nido soprattutto adesso con il covid. Dovrebbe essere rivisto tutto: assistenza ai genitori prima e dopo, informare su tutto, fare corsi e soprattutto bisogna avere personale preparato e disponibile. Noi mamme siamo lasciate sole prima, durante e dopo la gravidanza.

Barbara

L'attivista Francesca Bubba: “Al lavoro su una proposta di legge contro la violenza ostetrica”

Francesca Bubba si occupa di maternità come attivista. “Per me è diventata una forma di attivismo perché da quando ho un figlio ho notato quanti stereotipi ruotano attorno a questo tema. In primis la romanticizzazione”. Alla base, spiega, c’è un concetto fuorviante: l’equazione che paragona il sacrificio all’amore di cui la maternità è investita.
Invece avremmo bisogno di più onestà, quella che normalizza la stanchezza delle ore successive al parto, ma non solo. Il sacrificio, come la privazione del sonno, non è una forma di amore”. Spesso, spiega, sia ostetriche che consulenti autocertificati portano avanti questa visione della maternità ancestrale e totalizzante. Cosa si può fare per migliorare le cose? "Sicuramente serve un cambiamento culturale ma i tempi sono lunghissimi. Nel frattempo è necessaria un’azione concreta e collettiva. Per questo ho pensato a una proposta di legge volta a regolamentare gli ambienti dedicati alla maternità, delimitata da criteri specifici che non lasciano margini di libera interpretazione perché è soprattutto lì il problema. Ho coinvolto un gruppo di attiviste professioniste. Abbiamo steso alcuni punti, tra cui quello della violenza ostetrica: dagli illeciti da parte dei consulenti, alla gestione del rooming in, ai parti in casa e i protocolli di sicurezza". 

"È successo anche a me, io fortunatamente avevo mia mamma vicino ma sono crollata senza capire niente al mio risveglio ero nel panico... Mia mamma aveva preso il bambino perché vegliava su noi".

Agata

Ho partorito 16 anni fa mio figlio. Da quando è nato è stato sempre in camera con me, piangeva giorno e notte, lo allattavo e mi addormentavo per quel poco che dormiva, con lui nel letto e poi mi alzavo e lo cambiavo io, le infermiere praticamente assenti, solo una notte una è passata e vedendo che mi ero addormentata con lui di fianco ha tirato su la sponda del letto per paura che cadesse.

Elena

La violenza ostetrica

Nel 2017 Doxa ha realizzato per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia la prima ricerca nazionale sul tema, prendendo in considerazione gli anni dal 2003 al 2017 e un campione di 5 milioni di donne.

Una su cinque è stata vittima di violenza ostetrica durante il parto o il travaglio. Il 44% ha dichiarato di aver subito pratiche lesive della propria dignità o integrità psicofisica e il 33% di non essersi sentita adeguatamente assistita.

"Quando ho partorito io a Catania facevano stare una persona anche la notte per dare una mano perché siamo esauste. Invece da un paio di anni non fanno stare nessuno con il risultato che la notte il personale si dilegua e se lo chiami si infastidisce".

Sonia

Esperienza terribile partorire a Roma. Sono stata fortunata perché era il secondo figlio perciò sapevo cosa fare, ma le ragazze che erano con me nemmeno sapevano attaccate i bimbi, venivano ignorate totalmente dalle infermiere. Io alla richiesta di aiuto per un cambio pannolino (a quattro ore da un cesareo) mi sono sentita rispondere “si alzi e vada lei, non lo fate o figli se non avete energie”.

Benedetta

"Dopo 11 ore di travaglio me lo tolsero alle 2 e alle 5 mi svegliarono dicendo "mamma ecco il tuo bambino". Io ho rischiato tanto! La notte dopo ho suonato il campanello e detto: o mi portate il bambino al nido oppure mi cade dal letto perché non dormo da 24 ore!"

Fabiana

Io sono stata accanto a mia sorella per settimane per tutti e tre i figli per farla riprendere bene prima di farle fare la madre da sola. Ed era veramente debole e stremata. Come è possibile averle dato subito il bimbo dopo 17 ore di travaglio? Almeno facciano stare vicino i parenti.

Annarita

"Fino a pochi anni fa, quando partorivi stavi in ospedale almeno 5 giorni. Si aspettava che la mamma si riprendesse e che il neonato si attaccasse bene al seno... Ora dopo 24 ore sei a casa e chi s'è visto s’è visto!!! Se non hai qualcuno che ti aiuta è dura".

Barbara

Ho partorito a settembre 2020, mio marito ha potuto assistere al parto, rimanere un paio d'ore e dopo a casa… Per fortuna il mio parto, oltre ad essere il secondo, è andato abbastanza bene, ho fatto tutto in autonomia perché potevo, ma ci sono quei casi in cui si ha veramente bisogno di qualcuno di supporto. L'allattamento, e ne se qualcosa, ti divora le energie, e tantissime volte mi è capitato di addormentarmi. Questa mamma non mi permetterei mai di giudicarla, punto il dito verso chi l'ha lasciata sola. Per lei non ci saranno parole che potranno consolarla, porterà con sé un dolore atroce, e mi auguro e le auguro con tutto il cuore che il tempo potrà lenire il suo dolore.

Rosy

"Anno 1992, mia madre fu ricoverata per avvisaglie di parto al settimo mese. A mezzanotte circa, dunque notte inoltrata, disse agli operatori sanitari di turno che non si sentiva bene. Stavo per nascere, disse. Gli operatori le dissero "ma no, è impossibile, lei è di sette mesi sono solo avvisaglie". 15 giorni prima era caduta da una sedia dunque si era pensato che appunto fossero solo avvisaglie e fu ricoverata "per tenerla ferma al letto, a riposo". Quella notte sono nata, di 7 mesi, con parto naturale. Quando invece sarebbe stato più idoneo un parto cesareo. Nacqui con innumerevoli ematomi al viso, dato dal fatto che il parto naturale in quelle condizioni non fu proprio un toccasana. Mi portarono immediatamente con un’ambulanza in un ospedale a mezz'ora di distanza (l'ospedale in cui ero nata non aveva una unità di terapia intensiva neonatale). Mia madre non mi ha potuta né toccare, abbracciare per circa un mese, poiché non permettevano l'accesso dei genitori alle terapie intensive.  Subito dopo quel parto mia madre ebbe, per lungo tempo, problemi a camminare. Dovette stare per alcuni mesi in sedia. Oggi mia madre pensa al suo primo parto con orrore, risentimento. Le ho detto che ha sperimentato un episodio di violenza ostetrica. Quando gliel'ho detto mi ha fissata, non ha saputo che dire se non 'alla fine è finita'. Si, per lei è finita ma per molte madri no".

Giada