Si chiama “Earth4all e il mondo di Francesco” ed è il reportage che racconta l’incontro tra il Pontefice e nove leader nella lotta per il clima. Un colloquio avvenuto in occasione dell’ultima Giornata dell’Ambiente e che è stato seguito dalle telecamere di Sky TG24.
Il documentario
Chi sono le protagoniste
Ineza Umuhoza
Viene dal Ruanda. Responsabile di Loss and Damage Youth action. Si definisce eco-femminista
Maya Gabeira
Brasiliana. Atleta e Campionessa Unesco per l’Oceano e i Giovani
Sophia Kianni
Iraniana-americana. Una tra le più famose attiviste per il clima
Licypriya Kangujam
Nata nel 2011, è riconosciuta come la più giovane attivista globale per il clima
Un piano per salvare il pianeta
Il progetto nasce da un possibile piano – Earth4All – per salvare il nostro Pianeta. Economisti, climatologi, sociologi e giovani attivisti di tutti i continenti si sono confrontati con il Papa, ritenuto a buon diritto tra le personalità ambientaliste più influenti del nostro tempo. Nel reportage la lotta ambientalista si intreccia con la riforma del sistema economico e di quello scolastico, con un nuovo ruolo delle donne nella società e un nuovo sistema di produzione del cibo secondo il motto “System change, not climate change”. L’obiettivo di questo incontro è quello di creare una conversazione interdisciplinare su queste tematiche con un approccio di speranza e ottimismo, senza ricorrere al catastrofismo, per ispirare chiunque lo veda a desiderare un futuro più sostenibile.
L'intervista a Johan Rockström: l'anticipazione
L'intervista a Johan Rockström: l'anticipazione
Il discorso integrale di Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle! Sono passati più di cinquant’anni da quando si inaugurò a Stoccolma, il 5 giugno 1972, la prima grande Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano. Essa ha dato il via a varie assise che hanno convocato la comunità internazionale a confrontarsi su come l’umanità sta gestendo la nostra casa comune. Per questo il 5 giugno è diventato la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Non dimentico, quando sono andato a Strasburgo, che l’allora Presidente Hollande aveva invitato per ricevermi la Ministro dell’Ambiente, la Sig.ra Ségolène Royal, e lì mi ha detto che aveva sentito che stavo scrivendo qualcosa sull’ambiente. Le dissi di sì, che stavo pensando con un gruppo di scienziati e anche con un gruppo di teologi. E lei mi ha detto questo: “Per favore, lo pubblichi prima della Conferenza di Parigi”. E così è stato fatto. E Parigi è stato proprio un bell’incontro, non per questo mio documento, ma perché l’incontro era di alto livello. Dopo Parigi, purtroppo… E questo a me preoccupa. In questa metà di secolo sono cambiate molte cose; basti pensare all’avvento delle nuove tecnologie, all’impatto di fenomeni trasversali e mondiali come la pandemia, alla trasformazione di una «società sempre più globalizzata [che] ci rende vicini, ma non ci rende fratelli». Abbiamo assistito a una «crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura», maturando «una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (Enc. Laudato si’, 19). Gli esperti evidenziano chiaramente come le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti per migliaia di anni. Si è ampliata la nostra conoscenza sull’impatto delle nostre azioni sulla nostra casa comune e su coloro che la abitano e che la abiteranno. Questo ha accresciuto anche il nostro senso di responsabilità davanti a Dio, che ci ha affidato la cura del creato, davanti al prossimo e davanti alle generazioni future. «Mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (ibid., 165). Il fenomeno del cambiamento climatico ci richiama insistentemente alle nostre responsabilità: esso investe in particolare i più poveri e più fragili, coloro che meno hanno contribuito alla sua evoluzione. È dapprima una questione di giustizia e poi di solidarietà. Il cambiamento climatico ci riporta anche a fondare la nostra azione su una cooperazione responsabile da parte di tutti: il nostro mondo è ormai troppo interdipendente e non può permettersi di essere suddiviso in blocchi di Paesi che promuovano i propri interessi in maniera isolata o insostenibile. «Le ferite portate all’umanità dalla pandemia da Covid-19 e dal fenomeno del cambiamento climatico sono paragonabili a quelle derivanti da un conflitto globale», dove il vero nemico è il comportamento irresponsabile che ha ricadute su tutte le componenti della nostra umanità di oggi e di domani. Sono venuti a vedermi alcuni anni fa i pescatori di San Benedetto del Tronto, che in un anno sono riusciti a togliere dal mare dodici tonnellate di plastica!
Come «all’indomani della seconda guerra mondiale, è necessario che oggi l’intera comunità internazionale metta come priorità l’attuazione di azioni collegiali, solidali e lungimiranti», riconoscendo «la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta» (Laudato si’, 15). Una sfida grande, urgente e bella, che richiede una dinamica coesa e propositiva. Si tratta di una sfida “grande” e impegnativa, perché richiede un cambio di rotta, un deciso cambiamento dell’attuale modello di consumo e di produzione, troppo spesso impregnato nella cultura dell’indifferenza e dello scarto, scarto dell’ambiente e scarto delle persone. Oggi sono venuti i gruppi del MacDonald, il ristoratore, e mi hanno detto che hanno abolito la plastica e tutto si fa con carta riciclabile, tutto… In Vaticano è proibita la plastica. E siamo riusciti al 93%, mi hanno detto, senza plastica. Sono passi, veri passi che dobbiamo continuare. Veri passi. Inoltre, come indicato da più parti nel mondo scientifico, il cambiamento di questo modello è “urgente” e non può essere più rinviato. Diceva recentemente un grande scienziato – alcuni di voi sicuramente eravate presenti –: “Ieri è nata una mia nipote; non vorrei che la mia nipotina fra trent’anni si trovi in un mondo inabitabile”. Dobbiamo fare qualcosa. È urgente, non può essere rinviato. Dobbiamo consolidare «il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta» (ibid., 14), ben consapevoli che vivere «la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario» (ibid., 217) della nostra esperienza di vita. È, poi, una sfida “bella”, stimolante e realizzabile: passare dalla cultura dello scarto a stili di vita improntati alla cultura del rispetto e della cura, cura del creato e cura del prossimo, vicino o lontano nello spazio e nel tempo. Ci troviamo davanti a un cammino educativo per una trasformazione della nostra società, una conversione sia individuale che comunitaria (cfr ibid., 219). Non mancano opportunità e iniziative che mirano ad affrontare seriamente questa sfida. Saluto qui i rappresentanti di alcune Città di vari Continenti, che mi fanno pensare come questa sfida vada affrontata, in maniera sussidiaria, a tutti i livelli: dalle piccole scelte quotidiane alle politiche locali, a quelle internazionali. Di nuovo, va richiamata l’importanza di una cooperazione responsabile ad ogni livello. Abbiamo bisogno del contributo di tutti. E questo costa. Ricordo che quei pescatori di San Benedetto del Tronto mi dicevano: “Per noi all’inizio la scelta era un po’ difficile, perché portare plastica invece di pesci non ci faceva guadagnare”. Ma c’era qualcosa: che l’amore per il creato era più grande. Ecco la plastica e i pesci… E così sono andati avanti. Ma costa! È necessario accelerare questo cambiamento di rotta a favore di una cultura della cura – come si curano i bambini –, che ponga al centro la dignità umana e il bene comune. E che sia alimentata da «quell’alleanza tra essere umano e ambiente che dev’essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino». «Non rubiamo alle nuove generazioni la speranza in un futuro migliore». Grazie di tutto quello che fate.