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Addio a Vialli, l'attaccante che visse tre volte

Sport

Cristian Paolini

La Sampdoria, la Juventus e il Chelsea. Tre maglie, tre versioni di uno degli attaccanti più moderni ed efficaci della storia del calcio italiano che ha saputo vincere ovunque in maniera sempre diversa 

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Gianluca Vialli è stato l’uomo che ha vissuto tre vite, almeno sul campo di gioco. Nella prima è stato una punta agile e scattante, bravissimo nel coordinarsi per battere a rete in modo folgorante, nella seconda è stato un centravanti più fisico, di stampo più tradizionale, ma ugualmente efficace, e nella terza si è addirittura sdoppiato in giocatore e allenatore. A cucire le tre parti della sua carriera il filo della classe. E quello della tempra. Eccezionale, prima per la verve qualche volta anche polemica sul terreno di gioco, poi con lo straordinario carisma e la capacità di trascinare il gruppo, qualsiasi gruppo. Il primo Vialli, dopo gli esordi nella Cremonese, è stato autore di quel miracolo chiamato Sampdoria, trainando, insieme all’inseparabile amico e compagno Roberto Mancini, i blucerchiati al loro primo e unico scudetto, sotto la guida dell’allenatore padre, ma non padrone, Vujadin Boskov. Attore protagonista di una lunga pellicola da sogno infranta nella notte di Wembley dal siluro di Koeman che consegnò la Coppa dei Campioni al Barcellona nel 1992 e spinse Vialli ad accettare le avances della Juventus. E proprio a Torino tre anni dopo riuscì a riacciuffare quel tram chiamato non desiderio, ma Champions League, che sembrava sfilato e invece impugnò saldamente come quella coppa alzata al cielo dopo l’interminabile sfida di Roma contro l’Ajax. Prima però c’era stata la trasformazione in un nerboruto condottiero dopo che qualche infortunio che ne aveva frenato le prestazioni in maglia bianconera, sollevando più di un dubbio sulla sua nuova avventura. Ad allontanarli definitivamente l’incontro con Marcello Lippi con cui trovò uno straordinario feeling e soprattutto la via del gol. Reti a volte imprevedibili, come le rovesciate che divennero il suo marchio di fabbrica, anche nel merchandising con la sua sagoma alla Michael Jordan ricamata su felpe e cappelli da baseball. Sempre un passo avanti agli altri. Incredibilmente moderno, anche quando al Chelsea visse l’ultima esaltante parentesi dopo avere lasciato la Juventus da capitano. Player manager come usa Oltremanica, non solo simbolo, ma ancora perfetto mattatore proiettato verso la nuova frontiera che poi era uguale a quella vecchia, fatta di altri successi: una Coppa d’Inghilterra, una di Lega, un’altra Coppa delle Coppe, dopo quella con la Samp, e una Supercoppa europea. L’ultimo poker, calato con gli scarpini da gioco, per l’attaccante che visse tre volte.