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Renato Zero, buttare l'anima oltre le nuvole è un Atto di Fede

Musica

Fabrizio Basso

A questa immensa opera corale si abbina il ritorno sul palco con Zerosettanta, quattro concerti-evento in programma il 23, 24, 25 e 30 settembre a Roma, al Circo Massimo. L'INTERVISTA

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Tutto parte da una domanda: ce lo meritiamo questo Dio? L'interrogativo introduce la nuova opera di Renato Zero. Atto di Fede è un progetto bifronte, libro e doppio cd, in uscita per edizioni Tattica venerdì 8 aprile in tutte le librerie, nei negozi di dischi e nei book store digitali. Si tratta di diciannove inediti di musica sacra scritti e composti da Renato Zero e arrangiati e orchestrati da Adriano Pennino per altrettanti testi-pensieri e riflessioni degli Apostoli della Comunicazione: Alessandro Baricco, Luca Bottura, Pietrangelo Buttafuco, Sergio Castellitto, Aldo Cazzullo, Lella Costa, Domenico De Masi, Oscar Farinetti, Antonio Gnoli, Don Antonio Mazzi, Clemente J. Mimun, Giovanni Soldini, Marco Travaglio, Mario Tronti, Walter Veltroni e le voci narranti di Oscar Farinetti, Pino Insegno, Giuliana Lojodice, Marco Travaglio, Luca Ward e, appunto, Renato Zero. A sublimare il nuovo lavoro di Renato Zero la presenza della Budapest Art Orchestra diretta da Andras Deak, la rinnovata collaborazione con il Coro Internazionale istituito dall’Orchestra Filarmonica della Franciacorta e le interpretazioni di Giacomo Voli e Lorenzo Licitra. L’artwork è curato dal cover artist Paolo De Francesco. Un lavoro collettivo, di più anime e voci autorevoli,unite insieme sotto l’egida di un'artista incredibilmente prolifico, superbamente immaginifico che scava forse come nessun altro nell’ontologia. Ad Atto di Fede si accompagna il grande ritorno dal vivo, per la prima volta al Circo Massimo con Zerosettanta, quattro concerti-evento il 23, 24, 25 e 30 settembre, prodotti da Tattica. Quattro appuntamenti che saranno un viaggio lungo la storia artistica di Renato, durante il quale i fan potranno ascoltare i brani dell’intero repertorio del grande artista romano, dagli anni Settanta a oggi.

Renato riparti con un Atto di Fede.

Ringrazio tutti a nome della musica italiana che patisce l’assenza del palcoscenico ma soprattutto del camerino, la nostra sacrestia.
Un titolo con una sua sacralità.
Sono arrivato ad accarezzare Dio da vicino, lo ringrazio per avermi fatto mantenere intatta la fede quando ci si assume la responsabilità verso gli altri. Si parla di spettacolo con leggerezza ma c’è anche religiosità, io mi segno la croce ogni volta che salgo sul palco, è una tutela perché possa dare tutto al pubblico.
Accogli nella tua opera scrittori, attori amplificando il senso di aspirazione all’infinito.
Ho messo insieme le persone del pensiero e dell’azione. Atto di Fede è una sfida, non abbiamo frequentato Dio da tempo, abbiamo lasciato che apatia e stanchezza intellettuale avessero il sopravvento. Buttiamo ogni tanto il pensiero attraverso le nuvole e ringraziamolo anche per il dolore che ci dà perché attraverso il doloro conosciamo noi stessi.
Cosa è la Fede?
La chiave che ci permette di osare oltre le nostre capacità e potenzialità. Abbiamo paura di fare un salto per timore di essere inadeguati. Dobbiamo prevaricare il dubbio e il sospetto ogni mattina, serve il coraggio di sentirsi difettosi e inadeguati. Dobbiamo cercare la soddisfazione di un sorriso, di una persona che ti dice hai fatto bene. Qui godo di una vittoria, di avere amplificato l’orizzonte della mia musica e della mia scrittura, sono andato molto vicino a quel sentire e trasmettere.
Torniamo a chi ha contribuito ad Atto di Fede.
In questo progetto ho identificato le anime che mi hanno permesso una coralità anche da posizioni apparentemente distanti. Io ho considerato le provenienze delle persone cui ho chiesto gli scritti. Basta con la settarietà, tutto collima e può essere applicabile. L’umiltà è la chiave universale per non disperdere preziose compagnie. È un lavoro che mi inorgoglisce nel suo parlare della Fede mettendola in condizione di fare riaccendere il dialogo. È non solo in Dio ma nel nostro operato, la vicinanza è il termine giusto. L’universalità del pensiero va attuata da domani, deve trasformarsi in operosità.
Hai attraversato due anni difficili?
Abbiamo digiunato per abbondanti due anni. Per me è stato meno doloroso che per altri perché io vado a domicilio, non aspetto la gente sul palco. Non ho il dono dell’ubiquità ma ci sto lavorando, voglio restare lo zingaro che va al mercato. Il Circo Massimo premia la mia romanità, a volte mi sono sentito straniero a casa mia per l’invadenza politica: perché non spostano il Governo a Torino? A Roma siamo pronti a rinunciare a essere la capitale d’Italia perché lo siamo del mondo. Offriamo ai romani la possibilità di prendere possesso della loro collocazione, a Roma manca la voce dei romani. Al Circo Massimo mi faccio gladiatore per conquistarmi ancora una volta l’applauso.
Quali sono oggi le difficoltà?
Non sono solo la guerra né la pandemia ma quel disagio che ti entra dentro. Ci siamo voltati dall’altra parte spesso. Ora al Circo Massimo cerco un abbraccio che prometta un nuovo percorso. I miei fan devono aspettarsi di tutto, come da tradizione, come l’albero di Natale che sembra sempre uguale ma non lo è mai e non è neanche lo stesso Natale. Inviterò amici che hanno condiviso con me un pezzo di vita e tutte le sere cambia la scaletta perché chi verrà più volte avrà uno spettacolo diverso. Anche logisticamente sarà un Circo Massimo diverso da tutti quelli che ci sono stati precedentemente. Non voglio gemellaggi. La musica da soli non si fa, diventa un soliloquio. Senza anima il talento sparisce se no siamo marionette e basta.
L’Atto di fede dei giovani?
È verso loro stessi. È cambiato l’assetto geografico della famiglia per i motivi che la vita impone. Il giovane deve sapere che crescere, è un diritto è un dovere. Io non sarei qui se non avessi avuto fede in me.
Come celebri i tuoi 70 anni?
Lo faccio con ostinazione. Mi aspetto di riprendere un dialogo con la vita e con Renato, non deve essere soddisfatto solo per i dischi e i biglietti che vende. Non mi faccio prendere la mano da pensieri deleteri.
Perché in Italia non si fanno collaborazioni?
Noi siamo tutti attori quello che manca è la regia, intesa nella conduzione di un discorso e un rapporto. Ci vorrebbe una regia per il lavoro, la scuola, il tempo libero, i governi. Non abbiamo più i navigatori del vivere. Oggi ci si nasconde al dovere e all’impegno ed è gravissimo: nessuno fa un passo avanti e denuncio. La regia è assumersi responsabilità e non delegare. Abbiamo dormito troppo e questo è un disagio mondiale, la puzza di polvere da sparo c’era prima della Russia. Questo accade per una mancanza di partecipazione costante. Ci è sconosciuto il pianerottolo: se non apri la porta non amerai mai.
Come è cambiato il percorso dalle messe sotto il tendone a quelle di oggi?
La tradizione dei natali a Zerolandia era innocua, univa la religiosità all’appagamento degli occhi e dello spirito anche in altra direzione. A mezzanotte saliva sul palco un sacerdote per la messa. Avrei continuato la tradizione ma mi chiusero il tendone perché quando diventi importante vogliono limitare la tua crescita e la tua libertà. Non vogliono che diventi ancora più fondamentale.
Come hai ritrovato entusiasmo e creatività?
Ho sempre la valigia pronta. La pandemia mi ha impedito l’esercizio delle mie attitudini ma trovo sempre come riempire il tempo pensando a progetti che mi fanno superare gli spazi vuoti. Per affrontare la Fede avevo bisogno di una democrazia di pensiero. Tutti i miei apostoli della democrazia sono diversi, forse solo la poesia li accomuna. Si crea amicizia attraverso l’arte.
Ti tremano ancora le gambe quando sali sul palco?
Possono fare quello che vogliono, le gambe, ma comando io e dunque mettono le ali.
Che rapporto hai con la censura e la morale?
La censura è un tentativo deplorevole di controllo sulla cultura che offende l’essere umano. È un diritto inalienabile la trasmissione del pensiero. Ci ha provato in svariate occasioni con me la censura: un atto criminoso la chiusura del tendone di Zerolandia. Ciò detto sono il primo censore di me stesso ed è un diritto fondamentale: la sincerità va indirizzata, dobbiamo considerare che il nostro messaggio va a chiunque, dobbiamo essere comprensibili a tutti.