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Paolo Fresu: Jazz, Tango e oltre in "Tango Macondo". L'intervista

Musica

Bruno Ployer

foto: Michele Stallo

Il nuovo album dell'eclettico musicista parte dalla Sardegna e arriva in Argentina, come in un sogno dove linguaggi e arti si incontrano. Le parole dell'artista a Sky Tg24

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“Non siamo nel mondo del Jazz, anche se c’è l’improvvisazione; non siamo nel mondo del Tango, anche se ce ne sono tre cantati in scena e nel disco. Poi c’è la Sardegna e tanta voglia di cercare, di aprire. Non parliamo di musica tradizionale pura: il mondo si evolve, la musica diventa sempre più meticciata e quindi anche con gli strumenti tradizionali uso effetti e pedali elettronici. Cerchiamo nuove strade.”

Paolo Fresu descrive così la natura del suo nuovo album ‘Tango Macondo’, che contiene la musica dello spettacolo teatrale omonimo prodotto dallo Stabile di Bolzano e diretto da Giorgio Gallione, in tournée fino a dicembre. Con il musicista, che dimostra ancora una volta di preferire gli orizzonti ampi alle strade già percorse, parliamo di viaggi immaginari, suoni sorprendenti, voci straordinarie.

 

Fresu, la musica di ‘Tango Macondo’ ha il timbro di un originalissimo trio di strumenti: la sua tromba, il bandoneon di Daniele di Bonaventura e l’organetto di Pierpaolo Vacca. Ci parla di questa combinazione?

 

PF: “Bandoneon e organetto sardo raccontano ciascuno una geografia. La storia dello spettacolo parte dalla Sardegna con due personaggi nati dalla bellissima follia creativa dello scrittore Salvatore Niffoi: vanno in giro a vendere metafore. Succedono catastrofi e a un certo punto decidono di imbarcarsi per l’Altro Mondo, l’Argentina, dove fondano il Paese di Macondo. Il bandoneon quindi rappresenta l’Argentina: è lo strumento del Tango, anche se nasce in Germania. L’organetto sardo invece è lo strumento tradizionale delle feste in Sardegna. Questi due strumenti vengono dunque da due parti diverse del mondo, ma di fatto poi si confondono, come avviene nelle migrazioni.  La tromba è per me l’Oceano, che ai primi del ‘900 era attraversato dai piroscafi che partivano da Napoli e Genova. Un luogo indefinibile. Con questa musica troviamo probabilmente nuovi oceani da attraversare.”

 

Parliamo allora dell’origine dell’album, cioè lo spettacolo teatrale. Cosa succede sul palcoscenico?

 

PF: “Molte cose, perché ‘Tango Macondo’ è l’incontro di molti linguaggi diversi: la musica ha un peso importante perché sul palcoscenico suoniamo sempre, dall’inizio alla fine. Poi c’è un testo, con tre attori, quattro danzatori e una scena incredibile. Sono molti linguaggi che si fondono per una storia di sogno. Lo spettacolo è ispirato a un libro di Niffoi: ’Il venditore di metafore’, ma c’è anche il realismo magico di Gabriel Garcia Marquez e poi Borges, Campana.”

 

La musica di ‘Tango Macondo’ parla benissimo anche da sola. Perché avete deciso di aggiungere le immagini e l’azione del teatro?

 

PF: “Perché credo che quando si lavora con linguaggi diversi c’è una crescita. E’ molto difficile e sarebbe più facile fare un concerto o teatro tradizionale, ma quando si mettono insieme linguaggi diversi diventa una grande festa collettiva, particolarmente adatta a raccontare la parte onirica di questo spettacolo. Non è una nostra invenzione, è stato già fatto ai primi del ‘900 e prima ancora con l’Opera italiana. Siamo stati a lungo costretti nelle nostre case e abbiamo bisogno della bellezza del sogno.”

 

Colgo lo spunto: che impressione le ha fatto tornare a esibirsi in teatri con la capienza consentita al 100%?

 

PF: “Per me è stato incredibilmente emozionante. Il primo applauso l’ho ricevuto al Conservatorio di Milano in occasione del Jazz MI: l’auditorium era strapieno di gente. Non riesco neanche a descrivere l’emozione di quel momento, sarà forse perché non ricordavo più quel suono. Probabilmente è una delle cose che ricorderò di più di questi ultimi anni.  L’applauso ti fa anche sentire parte della società. In questi due anni i lavoratori dello spettacolo hanno vissuto con grande difficoltà e oggi sentirsi con un applauso di nuovo nella comunità è un segno che non riguarda solo il nostro lavoro o l’emozione che possiamo dare al pubblico. Riguarda anche il fatto che riscopriamo arte e cultura come una parte fondamentale dell’architettura della società che stiamo costruendo.”

 

Nell’album Malika Ayane, Elisa e Tosca interpretano ciascuna una canzone. Come siete arrivati a questa collaborazione?

 

PF: “E’ stato semplice. Quando ho chiesto loro di partecipare al progetto discografico hanno risposto con un entusiasmo che non mi aspettavo. Per me questo è uno spettacolo al femminile e volevo affidare tre tanghi a tre voci femminili, perché il Tango è passione, è donna. Elisa, Malika e Tosca lo hanno incredibilmente riportato verso l’Italia, ognuna nella propria straordinaria diversità. In fondo è normale, perché la cultura argentina è fatta anche dagli Italiani. Quando sento Tosca o Malika, mi sembra quasi di sentire Napoli, quella melodia e quella struttura vocale che ci appartengono. E’ stato molto interessante questo approccio. Elisa canta ‘Volver’, quindi ‘Tornare’ e non è casuale, perché ogni viaggio non è a senso unico, ha anche un ritorno. Le tre voci incarnano bene la filosofia di questo lavoro.”

 

Lo spettacolo girerà ancora per qualche settimana. La tournée riprenderà?

 

PF: “Sì, a gennaio 2023. Molti teatri hanno difficoltà a programmare la prossima stagione, ma torneremo.”

 

Le piacerebbe portare lo spettacolo in America latina?

 

PF: “Sarebbe molto bello. Da cosa nasce cosa: il progetto potrebbe salpare come i protagonisti per andare dall’altra parte del Mondo. Sarebbe un bel viaggio.”