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Golda: il film intensamente drammatico sul primo ministro israeliano con Helen Mirren

Cinema

Letizia Rogolino

@berlinale 73

Presentato a Berlino, il film è un ritratto profondo e tormentato di una leader carismatica e stoica dipinto da una interpretazione favolosa dell'attrice britannica

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Un’ombra di schiena a bordo di un’auto avvolta nel fumo della sua sigaretta introduce il film Golda, di Guy Nattiv che, dopo Skin, si avventura a delineare i tratti intimi e spigolosi del primo ministro israeliano Golda Meir. Come Pablo Larrain, il regista fa uno studio sul personaggio, la “nonna di ferro di Israele”, interpretata da una magistrale Helen Mirren che rende perfettamente quel “misto di morbidezza e fermezza” richiesto, anche grazie a un ottimo lavoro di make up che rende il film verosimile e onesto.

Una donna, due guerre

Ambientato durante la guerra dello Yom Kippur del 1973 quando una coalizione di Stati arabi lancia un attacco a sorpresa contro Israele nel giorno più sacro del calendario ebraico, Golda non è un film di guerra in senso tradizionale, ma piuttosto il racconto di una donna forte, fonte di ispirazione, che ha combattuto molteplici conflitti all’interno e all’esterno. Solida, determinata, ma irrimediabilmente dipendente dalle sigarette, Golda ha dovuto gestire una guerra, difendere Israele, mentre combatteva un cancro linfatico che l’ha uccisa poi cinque anni dopo. “Penso che molte persone non sapessero che fosse malata, non conoscevano il tormento fisico che ha attraversato mentre combatteva la guerra”, ha detto il regista che prova ad avventurarsi sotto la pelle della sua protagonista, avvicinandosi prepotentemente con la telecamera alle rughe profonde, il viso stanco e un corpo tormentato che rappresenta la resistenza e la fermezza, mentre intorno il mondo è danneggiato. Nella testa di Golda come alla radio, si sentono urla strazianti e testimonianze dei soldati in prima linea che chiedono un intervento immediato e soccorsi.

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Il dolore fisico e morale… femminile

Il film fortemente drammatico mescola la realtà con le suggestioni di Golda, trasmettendo allo spettatore il malessere e il peso della responsabilità della figura al centro della storia. Come se le emozioni e i sentimenti della leader nata in Ucraina ed emigrata a Milwaukee, in Wisconsin, assumessero una forma tangibile. Filmati di repertorio aiutano la sceneggiatura a ricostruire i fatti e in alcuni si può vedere anche la vera Golda nel pieno delle sue decisioni politiche. Golda è qui anche simbolo di potere femminile, sottolineando in molte scene come lei sia determinata a farsi strada in un mondo quasi esclusivamente maschile. La vediamo più volte seduta a un tavolo di soli uomini, mentre discute strategie militari e definisce il modo migliore di portare avanti una guerra che deve finire prima che sia troppo tardi.

 

La guerra è come vissuta a distanza, attraverso trasmissioni radio e il dolore di Golda che si fa sempre più invadente, di notte e di giorno. Incubi la perseguitano in quei giorni difficili, portandola allo stremo. L’ansia, lo stress, unite alla grave malattia terminale con cui deve fare i conti ogni giorno, la mettono a dura prova. Ed è questo che interessa al regista, raccontare al mondo il conflitto israeliano di quegli anni attraverso la donna che ha avuto un ruolo fondamentale e ha lasciato il segno nella storia del suo Paese.

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