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Benvenuti in casa Esposito, la recensione del film in prima tv su Sky

Cinema sky cinema

Alessio Accardo

Dal romanzo omonimo di Pino Imperatore, una riuscita parodia sulla camorra diretta da Gianluca Ansanelli e interpretata sa Giovanni Esposito e Antonia Truppo. In  prima tv su Sky Cinema Uno Domenica 13 febbraio

 

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Dopo School of mafia, sugli schermi di Sky Cinema arriva Benvenuti in casa Esposito, un’altra pellicola che si incarica di mettere in burletta la malavita organizzata; per spiegare chiaro e tondo che è solo una montagna di escrementi, usando però le armi della risata. Se quella era mafia questa è camorra, se lì le location erano New York e la Sicilia, qui siamo a Napoli, di cui gli autori selezionano tutti gli stereotipi più risaputi, dalla mozzarella alle sfogliatelle, per farli poi brillare grazie alla carica esplosiva della satira. Una satira bonaria tuttavia, ma non per questo meno divertente. Una satira fiabesca, diremmo, totalmente inscritta nella più recente attività cinematografica di Alessandro Siani (Si accettano miracoli, Il giorno più bello del mondo e Chi ha incastrato Babbo Natale), che non a caso produce il film. Così come non è un caso che il regista di Benvenuti a casa Esposito sia Gianluca Ansanelli, autore televisivo e teatrale napoletano, che quei film li ha sceneggiati, e che qui adatta per il grande schermo un romanzo di Pino Imperatore, giornalista e scrittore umoristico, cresciuto all’ombra di Giancarlo Siani, ucciso proprio dalla camorra. Romanzo che Imperatore presenta così: “Benvenuti in casa Esposito non è un libro sulla camorra, ma dentro la camorra. Ne esplora la sua quotidianità. Ne offre una visione dal basso, non dall’alto. Certo, è un romanzo, e come tale va considerato. In alcune parti potrà sembrare eccessivo. Credetemi, non è così. Io non ho fatto altro che registrare e illustrare, mediante il formidabile strumento dell’ironia, fatti e personaggi che a Napoli si verificano e si incontrano tutti i giorni. Chiamatelo realismo comico, se volete. Più che in qualsiasi altro posto del mondo, a Napoli la realtà supera ogni fantasia.”

UN CANDIDO NAPOLETANO INADEGUATO ALLA CAMORRA

La storia è semplice, e ancora una volta dopo School of mafia si basa sul confronto impietoso tra genitori irreprensibili, nella logica perversa dei codici malavitosi, e figli totalmente inadeguati. Qui abbiamo Tonino (soprannominato sintomaticamente “O’ fesso”), figlio degenere del boss di turno, incapace persino di riscuotere il pizzo, che nel film viene ironicamente definito “contributo per la sicurezza”. Talmente inetto e inabile al ruolo di comando che avrebbe dovuto ereditare geneticamente dal padre, da essere costretto a chinare il capo di fronte alle buffissime sfuriate d’ira della moglie (l’ottima Antonia Truppo) e persino del figlio adolescente. Umiliato e offeso dagli strati più infimi delle gerarchie criminali. In una serie di siparietti comici dal respiro cabarettistico assistiamo dunque alle disavventure semiserie di questo candido voltairiano, interpretato da Giovanni Esposito, la più classica delle maschere napoletane (era Mariano Apicella in Loro di Paolo Sorrentino); una vita da caratterista visto in centomila commedie, che assurge stavolta al ruolo di protagonista. Non ne azzecca una Tonino: si fa rubare lo scooter da un paio di guappi neanche troppo feroci, va a prendere un boss dei cartelli sudamericani all’aeroporto ostentando un cartello con su scritto “narcotrafficante”. O ancora si fa derubare di una preziosissima macchina fotografica alla quale il suo ospite messicano era legato sentimentalmente, naturalmente subito dopo aver decantato la sicurezza di Napoli! Dimodoché, l’aspetto comico più esilarante (ma anche l’anima più “politica” del film) è costituito proprio dallo scollamento grottesco e patetico tra le ambizioni criminali e l’imbelle pusillanimità del soggetto, totalmente sprovvisto del physique du rôle. Una sorta di satira antifrastica per cui tanto più egli è inadeguato al crimine, tanto più è forte la condanna del “sistema” (come viene pudicamente e ipocritamente definita la camorra) che dovrebbe rappresentare

NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE NAPOLETANA, E NON SOLO

Al suo fianco, il braccio destro Enzuccio, interpretato da Antonio Orefice, un autentico campione di idiozia se possibile ancora più improbabile di Tonino e spalla perfetta di una coppia che si colloca nel solco della tradizione comica regionale di cui il nostro film è un degno epigono, e che ha in Totò e Peppino o in Massimo Troisi e Lello Arena i suoi esempi più fulgidi. Tradizione esplicitamente rivendicata da Ansanelli, che in una delle scene più esilaranti del film cita persino la celeberrima lettera di Totò, Peppino e la malafemmina (già omaggiata peraltro da un’altra coppia regina del cinema italiano, Troisi e Roberto Benigni, in Non ci resta che piangere) e che qui diventa, mutatis mutandis, un messaggio WhatsApp dettato da Tonino ad Antonio (che grazie alle corde comiche di quest’ultimo si colora di nuances ancor più surreali rispetto al modello originale). E quella di accordarsi con una tradizione di topoi e leggende della commedia napoletana non è la sola virtù del regista classe ’74. Egli infatti vivacizza la materia del romanzo grazie a un ritmo forsennato da sketch comico, non immemore del retaggio del principe della risata, sfruttandolo sia nel senso della comicità di situazione, che in quella fisica e verbale (in cui il vernacolo partenopeo, talora davvero esilarante, gioca un ruolo fondamentale anche se per i nati altrove forse richiederà l’uso dei sottotitoli). Ma anche adottando uno stile di montaggio ipercinetico tipico del cinema orientale di arti marziali, il cosiddetto “wuxia” o ”wuxiapian” (immortalato da capolavori come La foresta dei pugnali volanti di Zhang Yimou o La tigre e il dragone di Ang Lee). Oppure, infine, rischiando delle incursioni non scontate nel musical, sulle le orme di nobili precedenti come Tano da morire di Roberta Torre o il più recente Ammore e malavita dei Manetti Bros.

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BENVENUTI IN CASA ESPOSITO: UN CAST DA STANDING OVATION

Epperò la matrice letteraria dell’opera di Pino Imperatore non viene abbandonata nel trasloco da un media all’altro, anzi il regista decide di conservarne gli echi grazie a un procedimento generalmente poco amato dalla critica e che tuttavia appartiene a pieno titolo alla grammatica cinematografica, oltre che alla sua storia migliore: la voce fuori campo o voice over che dir si voglia (basti pensare a pochi esempi tra tanti: Viale del tramonto di Billy Wilder, Manhattan di Woody Allen, L’uomo che non c’era dei fratelli Coen, Papà è in viaggio d’affari di Emir Kusturica o Tutta la vita davanti del nostro Virzì). Qui il ruolo di voce narrante, che – attenzione – cuce la trama di un’opera leggera, leggerissima, capace però di strappare allo spettatore risate sincere e spensierate, è affidato a Peppe Lanzetta, attore teatrale e drammaturgo napoletano di enorme spessore, messosi in luce grazie al cabaret sociale della scena partenopea di fine anni ’70. Ma è tutto il cast a meritare un profluvio di applausi. La moglie di Esposito, Patrizia Scognamiglio, è Antonia Truppo (qui eccezionale come sempre), vincitrice per ben due volte del David di Donatello come migliore attrice non protagonista: nel 2016 per Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e nel 2017 per Indivisibili di Edoardo De Angelis. Il boss, Pietro De Luca, è Francesco Di Leva, capace nel corso della sua carriera di dare corpo a tutte declinazioni del camorrista, a partire dal protagonista del capolavoro di Mario Martone, Il sindaco del rione Sanità; ma anche in certe varianti comiche come il Fefè di Natale col boss di Volfango De Biasi. La mamma del protagonista è Betti Pedrazzi, che abbiamo apprezzato nel ruolo della Baronessa Focale, in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Infine, nella parte dei suoceri di Tonino, troviamo Salvatore Misticone immortalato grazie al mitico signor Scapece, nel dittico Benvenuti al Sud\Benvenuti al Nord diretti entrambi da Luca Miniero; e Nunzia Schiano, applaudita di recente in Gomorra 5 in cui recitava la vedova di “O' Galantommo”. A lei spetta la battuta più divertente del copione, alla nipote che si scopre fidanzata col figlio di un magistrato dice così: “Ma non ti potevi mettere con un bel pregiudicato come fanno tutte le ragazze del quartiere?!?”

Sipario.

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