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Amicizia femminile: il motore del cinema, da Thelma e Louise a Le Ereditiere

Cinema
Una scena del film Le Ereditiere, in uscita in Italia il 18 ottobre

Solidarietà tra donne, ecco la tematica più cara al filone cinematografico capitanato dal film Thelma e Louise. L’ultimo della lunga lista è Le Ereditiere, in sala dal 18 ottobre: la storia di una donna che grazie ad altre figure femminili riuscirà a liberarsi da tutto e tutti. In primis da ciò che più la ingabbiava: se stessa
 

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Articolo di Camilla Sernagiotto

L’arma numero uno del women’s power è la solidarietà che solo le donne sanno intessere tra loro.

Proprio le reti che le uniscono sono quelle di sicurezza, quelle che - purtroppo solo a volte - riescono a non farle rovinosamente cadere. O per lo meno ad attutire il colpo.
Questo filo che si dipana da una donna all’altra è anche tanto del filo narrativo che da sempre intesse le trame dei film e delle narrazioni in generale: da Piccole donne a Thelma e Louise, il fil rouge del discorso spesso è un fil rose, intriso di quella femminilità rosea che pulsa più ritmicamente e passionalmente del sangue.
Uno degli ultimi esempi di donne che danno del filo da torcere al fallocentrismo narrativo, quello che dai tempi di Omero (per non parlare degli evangelisti) mette in croce proprio il gentil sesso, ha un titolo tutto al femminile: Le Ereditiere.

In uscita nelle sale italiane il 18 ottobre, la pellicola diretta da Marcelo Martinessi ha fatto incetta di premi al 68° Festival internazionale di Berlino, accaparrandosi tra gli altri l’Orso d’Argento per la Miglior Attrice (andato a un’eccezionale Ana Brun), il premio Alfred Bauer e il premio Fipresci della critica internazionale.


L’Ana Brun incensata a pieno titolo a Berlino per la sua interpretazione strabiliante è colei che interpreta Chela, una donna di mezza età che si ritrova ad attraversare un difficile momento a causa di un tracollo finanziario e dell’incarcerazione per truffa della sua compagna di vita, Chiquita.
Ma questo tragico tassello che sembra mandare in frantumi tutto il resto del puzzle della sua esistenza in realtà le permetterà di riscoprire se stessa, spiccando il volo per la prima volta.
Più che di volo, si dovrebbe parlare di corsa dato che il mezzo d’evasione di Chela è proprio l’automobile.
Per racimolare qualche soldo, infatti, la donna incomincia a prestarsi come tassista, accompagnando le signore del quartiere a giocare a carte, a fare compere, a sottoporsi a trattamenti medici e addirittura ad assistere a funerali.
A bordo della sua automobile, ereditata dal padre e messa in vendita per ovviare al tracollo finanziario (ma ancora invenduta), Chela troverà il modo di riscattarsi e di emanciparsi rispetto a una vita che l’ha rinchiusa in se stessa. E, più che in se stessa, in ciò che gli altri pretendevano fosse, in primis la compagna Chiqui.
Se la scena iniziale ambientata nell’appartamento delle due donne rende perfettamente l’idea di uno spazio ristretto e angusto, figlio legittimo delle ambientazioni soffocanti di retaggio beckettiano, proseguendo nella visione ci si accorge di quanto quella casa sia per Chela una cella, ben più opprimente di quanto poi non sarà la prigione per la sua partner.
Da un lato Chiquita si ambienta velocemente in carcere, sentendosi come a casa, mentre Chela rimasta sola nell’appartamento si ritrova ingabbiata, in isolamento forzato da tutto e tutti. Per uscirne, si chiuderà in uno spazio ben più ristretto eppure per lei ossigenante: l’abitacolo dell’automobile.

Nell’angusta metratura quadrata della macchina le emozioni emergono chiaramente e una volta al volante (posizione in cui la cultura popolare ancora troppo maschilista pone quasi sempre l’uomo), Chela incomincia a realizzarsi.
Non sa andare in autostrada ma ci prova, non ha mai fumato ma incomincia: ogni piccola conquista è una tappa di quel viaggio d’iniziazione che è Le Ereditiere.
Come ogni viaggio iniziatico che si rispetti, questa metamorfosi è inoltre on the road, il binario preferenziale delle trasformazioni che fanno schiudere le esistenze dal proprio guscio in nome della libertà.
Da Thelma e Louise, la cui Ford Thunderbird è da considerare a pieno titolo una terza protagonista proprio al pari delle due messe a titolo, a Grindhouse - A prova di morte, il film del 2007 firmato Quentin Tarantino in cui a fare da compagna alle quattro protagoniste è proprio l’auto a prova di morte con cui braccheranno il misogino Stuntman Mike, un assortitissimo filone di cinema arricchisce di un nuovo senso il proverbio (misogino almeno tanto quanto Stuntman Mike) “donna al volante, pericolo costante”.
Ma per quanto riguarda Chela, il pericolo non è lo speronaggio né il salto nel vuoto ma semmai il salto fuori dal buio della sua cecità esistenziale che la rendeva così ipovedente da costringerla nei panni inamidati della bambola perfetta.
Non a caso, il suo soprannome è Poupée (che significa proprio "bambola") ma come la Nora di Ibsen smetterà di essere il sacco vuoto che gli uomini amano riempire a proprio piacimento, uscendo finalmente dalla spettrale casa di bambole (che comunque ormai cadeva a pezzi poiché ormai smembrata dai compratori di mobili e oggetti messi all’asta).

Il motore che mette in moto questo risveglio è una donna: Angy, una giovane ragazza disinibita e affamata di vita che farà partire a tutta birra la rivoluzione che era già in atto (ma ancora solo in folle) in Chela.
Un rapporto di amicizia che scavalca le barriere socialmente imposte, diventando così un sentimento che va oltre, sconfinando nel terreno amoroso e dunque omoerotico. Anche in questo caso gli archetipi sono numerosi, uno su tutti ancora una volta Thelma e Louise.
Da Viola di mare a La vita di Adele, da Carol a Io e lei, l’amicizia tra donne che si rivela ben più potente di qualsiasi altro sentimento è un tema caro alla settima arte.
E tutte le volte che viene rappresentata ad arte, ciò che emerge è un affresco idilliaco in cui l’uomo non esiste oppure è ridotto a fantoccio.
Lo scenario de Le Ereditiere è un mondo solo al femminile, fatto di rapporti e relazioni esclusivamente tra donne. Amiche, compagne di cella, guardie carcerarie femmine, padrone e domestiche, tassista donna e clienti trasportate… sono sempre donne-ragno quelle che intessono la trama del film.
Le rare volte in cui troviamo figure maschili, si rivelano solo comparse di poco conto e con una parte ridotta all'osso: l’uomo che viene lasciato da Angy perché l’ha tradita; i facchini che trasportano il pianoforte pesantissimo appena acquistato a casa di Chela da compratrici donne (che ordinano ai facchini cosa e come fare, dove portare i mobili, dominandoli e soggiogandoli totalmente); il venditore di panini che cucina per la protagonista e le serve la cena…
Un mondo al rovescio che, esattamente come nel Carnevale medievale teorizzato da Bachtin, ribalta la situazione reale e i ruoli della società: ne Le Ereditiere sono le donne a decidere, il maschio non conta più.
Addirittura al funerale dell’uomo morto a cui Chela accompagnerà alcune signore è la vedova la protagonista, incarnando la perfetta figura di mantide religiosa che tiene in pugno il maschio inerme.
L’arma che impugnano le donne di questo mondo è la solidarietà femminile. Metaforicamente simboleggiato dall’asciugacapapelli che Angy impugna come una pistola nella scena in cui lascia il fidanzato fedifrago con l’aiuto di Chela, il mutuo soccorso che dai tempi di Eva le donne si prestano l’un l’altra è il fil rouge.
Un fil stavolta davvero rouge, dal momento che Le Ereditiere è ambientato in Paraguay, la tristemente celebre capitale della tratta delle donne rapite e costrette a vendersi.
Chela è il simbolo di tutte loro e di tutte le donne in generale, anche quelle che dall’alto del loro attico in centro o dell’ufficio ai piani alti vorrebbero evadere dalla propria vita, sognando di salire in automobile, mettere in moto e partire.

Perché purtroppo dopo i titoli di coda de Le Ereditiere si torna in un mondo in cui anche chi sembra privilegiata deve pagarne lo scotto a carissimo prezzo. Quasi sempre a un uomo.