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Sergio Castellitto, il tuttofare del cinema italiano - L'INTERVISTA

Cinema

Massimo Vallorani

Alla vigilia dell'uscita del film Il Tuttofare di Valerio Attanasio  (dal 19 aprile), Sergio Castellito ci parla del suo ruolo in questa divertente commedia distrubuita da Vision. LEGGI L'INTERVISTA

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Intervistare Sergio Castellitto è un po’ come ripercorre all’indietro un pezzo di storia del cinema italiano. Un viaggio a ritroso in quasi 40 anni di carriera in cui vengono in mente i tanti ruoli da lui interpretati. Avvocati azzeccagarbugli (La Buca di Daniele Ciprì), professori rancorosi (Caterina va in città di Paolo Virzi), un giovane e aperto psichiatra (Il grande Cocomero di Francesca Archibugi), un piccolo truffatore dal cuore troppo buono (L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore), un pittore e illustratore di favole per bambini (L’ora di religione di Marco Bellocchio).

Grandi prove attoriali, costruite anno dopo anno e arricchite anche da grandi film come regista (Libero burro, Non ti muovere, La bellezza del somaro, Venuto al mondo, Nessuno si salva da solo, Fortunata). Tutto riconosciuto dalla critica, che lo ha ricoperto di premi strameritati (Pardo d’oro alla carriera nel 2013 al Festival di Locarno, 3 david di Donatello, 5 nastri d’argento, 3 globi d’oro, 6 ciak d’oro) che ne hanno fatto uno dei personaggi di punta del nostro cinema italiano, forse l’unico erede, o il continuatore, dei grandi del passato come Mastroianni, Vittorio de Sica, Manfredi, Gassman e Sordi. Un artista eclettico ed indipendente che non ha perso, però, il gusto della sfida, accettando ora di interpretare il film “Il Tuttofare” (dal 19 marzo nelle sale con Vision Distribution) di Valerio Attanasio, regista alla sua prima prova dietro la macchina da presa. 

Perché accettare un ruolo di un regista esordiente?
Valerio (N.d.R.. Attanasio) è alla sua prima regia, ma già aveva scritto il soggetto e la sceneggiatura di Smetto Quando Voglio. Aveva, inoltre, scritto e diretto il cortometraggio Finché c’è vita c’è speranza. Non mi è sembrato un azzardo, anche perché Attanasio oltre ad esser stato uno studente di giurisprudenza conosce bene il mondo dei praticanti legali in quanto figlio di un avvocato. Quello che mi ha convinto, però, è stato il quadro che ha costruito attorno al mio personaggio, Salvatore Toti Bellastella.

Allora a questo punto le chiedo chi è realmente Salvatore Toti Bellastella?
Salvatore "Toti" Bellastella, protagonista de “Il Tuttofare”, è un po’ la sommatoria di tutti i peggior difetti degli italiani. Avvocato, principe del foro, professore universitario, grande oratore a contatto con i potenti, la massoneria, i mafiosi. Finge di amare i giovani ma, in cuor suo, li odia proprio perché giovani. Li assume ma li detesta.

Una tipologia abbastanza comune in Italia...
Si, direi che ce ne sono molti in giro di questi “inciucisti”.  Sono i maghi del potere consolidato e dell’intrallazzo. Sempre pronti ad essere forti con i deboli e deboli con i forti. Sembrano sempre sul punto di estinguersi, di scomparire per sempre, ma poi te li ritrovi con un incarico da ministro del nuovo governo. 

Nel personaggio di Toti Belastella sembra esserci un’eco di quella categoria, molto cara alla commedia all’italiana, del cosiddetto “cialtrone”. Gli esempi certo non mancano: da Sordi e Tognazzi. Le è piaciuto interpretare un personaggio del genere?
Moltissimo. Soprattutto perché mi ha dato modo di essere coinvolto in una storia in cui ad una prima lettura il tema centrale sembrerebbe essere la classica satira sul precariato e sulla “baronia” universitaria. C’è anche questo, sicuramente, ma c’è anche l’eterna lotta per la sopravvivenza tra generazioni, tra giovani e vecchi, tra il potere consolidato e quello che vuole disperatamente emergere. Ecco, trovo che queste tematiche facciano di questo film una vera commedia all’italiana, di quelle che facevano ridere senza dare a vedere che stavano raccontando tragedie.

Se non sbaglio lei è arrivato al suo 57mo film, contando anche le regie e le prove televisive. Le piace ancora essere attore o, come ha dichiarato dopo il successo di Fortunata al Festival di Cannes, si diverte di più a fare il regista?
Dipende. Se c’è una parte che mi convince non ho problemi. In questi ultimi anni, poi, ho imparato ad essere leggero. Credo che questo mi abbia fatto raggiungere una bella serenità e mi ha aiutato a lavorare per puro piacere e non per ambizione. Per questo passare da attore a regista non è davvero più un problema. Quello che comunque deve rimanere è la curiosità, e la continua osservazione di quello che ti passa davanti. Mai far finta che nulla accada.

E’ stato complicato per lei recitare con un attore alle sue prime esperienze come Guglielmo Poggi?
Guglielmo Poggi è un attore giovane ma capacissimo. Nel film interpreta Antonio Bonocore, praticante in legge che sogna un contratto nel prestigioso studio del suo mentore, il principe del foro Salvatore “Toti” Bellastella. La sua intelligenza sta nel fatto di aver capito che la sua parte doveva essere recitata in maniera completamente drammatica. Solo in questo caso il controcampo comico è riuscito ad emergere. Non ha tentato di portarsi a casa le risate. Non è una commedia di battute e basta ma di “situazioni”. Io sono il clown, lui si direbbe in teatro, il controcampo dell’attore giovane, e quindi deve assorbire continuamente riconsegnando la parte attraverso questo suo stato di ansia perenne, di affanno continuo, in contrasto al mio ruolo che è vissuto in maniera diretta e solare, quasi egocentrica. In questo ha dimostrato di esserte davvero bravo.

Un’ultima cosa: sua moglie sta scrivendo per lei?
Sì, stiamo progettando qualcosa di nuovo. Ma è ancora in fieri. Vedremo.